L’unica riforma degli atleti di Stato

25 Agosto 2017 di Mario Orimbelli

L’improvviso annullamento dell’edizione 2017 dello storico meeting di Rieti, dopo che già l’anno scorso a causa del terremoto non si era disputato, è l’ennesima cattiva notizia per l’atletica italiana. Ci dispiace per Sandro Giovannelli e per i tanti che avevano iniziato a lavorarci gratuitamente, ma per gli sport diversi dal calcio non ci sono soldi ed è stupido (anche se qualcuno lo fa) chiederli ad enti pubblici, a maggior ragione in zone che hanno altre priorità. L’atletica andrà avanti lo stesso ed in generale il sistema dei meeting ha stancato: anche ieri sera a Zurigo, in gare dove in teoria contava soltanto il piazzamento (prima metà delle finali di Diamond League, le altre 16 fra una settimana a Bruxelles), gli organizzatori sono riusciti ad infilare le lepri. Il più volte ipotizzato azzeramento dei record potrebbe dare il colpo di grazia…

Il tema del nostro intervento non è però questo, perché odiamo i piagnistei ed alla fine un meeting deve reggersi sulle sue gambe: il professionismo sportivo non è un valore da difendere, ma qualcosa che può esistere solo se c’è un pubblico pagante. Volevamo in realtà parlare, fin dalla fine dei Mondiali di Londra, di un meccanismo che riguarda i gruppi sportivi militari e che ci dicono stia diventando di moda. In pratica quando un atleta (non solo dell’atletica leggera) non ha più niente da dire e da dare può accadere che sia invitato ad usciere dal gruppo sportivo e ad iniziare il lavoro vero e proprio come poliziotto, carabiniere, finanziere, eccetera. È il caso, per dire, di Marco Lingua, che è nella Guardia di Finanza ma adesso il martello lo lancia come dopolavorista dopo essere stato anni nel gruppo sportivo senza, va detto, ricoprirsi di gloria. E ai Mondiali di Londra ha ottenuto il miglior risultato della sua vita…

Molti però continuano letteralmente a rubare lo stipendio, anche quando sono infortunati senza alcuna possibilità di rientro o già di fatto ritirati. Borderline è chi si prende un anno sabbatico o semi-sabbatico, come la Grenot: perché dobbiamo pagarle le vacanze in Florida? Qualche cifra: degli oltre 1200 (!) atleti militari italiani, anche se il numero esatto nessuno lo sa con esattezza, 182 (come da inchiesta di Andrea Schiavon su Tuttosport) sono riferibili all’atletica, con aggiunta di 42 tecnici. Ecco, ai Mondiali c’erano 36 azzurri, 3 in più del minimo storico di Daegu 2011. Aggiungiamoci qualche giovane dal buon potenziale, cioè l’unico tipo di atleta sul quale si dovrebbe investire: arriviamo a fatica al 25% di chi passa a ritirare uno stipendio di Stato. Ma c’è di più, cioè il meccanismo di cui parlavamo prima: quando a qualcuno del rimanente 75 viene chiesto conto del proprio rendimento la reazione è spesso stizzita e in alcuni casi (invitiamo ad indagare gli organismi preposti) si perfeziona con il farsi riformare, grazie a provvidenziali e improvvisi malanni fisici dovuti al ‘servizio’. Il che significa poter prendere da subito, già da trentenni, una pensione non d’oro ma che in buona parte d’Italia consente di vivere dignitosamente. È quindi evidente che i gruppi militari possono motivare solo giovani alla ricerca del posto fisso o della baby-pensione, ma certo non atleti desiderosi di migliorare.

Detto questo, bisogna chiedersi perché a parità di Stato italiano gli azzurri del nuoto (non prendiamo in considerazione sport praticati da quattro gatti) facciano in proporzione molto meglio. L’argomento è interessante, ma nessuno ha interesse ad affrontarlo: non il CONI e le federazioni, che fanno pagare a Pantalone stipendi che spetterebbero a loro, non gli atleti che vivono protetti, paradossalmente nemmeno le società private che con il trucco del doppio tesseramento possono anche risparmiare. Insomma, cambiare Giomi potrebbe essere utile ma cambiare sistema è indispensabile. Alla fine l’unica ‘riforma’ rischia di essere quella basata sulla perizia di un medico.

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