Bastasse la faccia cattiva

28 Agosto 2017 di Oscar Eleni

Oscar Eleni fra le case bianche sulla collina di primavera chiamata Tel Aviv alla ricerca del tempo perduto, con l’incubo che anche questa Italia del basket resti con zero tituli. Ci consoliamo a Giaffa con l’amico Havi Razon, tifosissimo del Milan dai tempi in cui lavorava al consolato di Milano e che adesso vuol sapere tutto di Cutrone chiedendosi, come tanti, perché se hai un giovane di talento vai a cercare altre punte.

Misteri gloriosi, adatti a capire il momento adesso che alla federazione di atletica hanno finalmente acceso un cero sotto l’icona del past president Primo dei Nebiolo perché all’Universiade, la creatura del genio tornese nato a Scurzolengo, si è sentito di nuovo il respiro di un mondo che al Mondiale era stato messo sotto i piedi da quasi tutti. Meglio tardi che mai, dice la toscana di Poggibonsi Irene Siragusa, aiutandoci a dimenticare che prima di Taipei la riconoscevamo soltanto perché faceva linguacce alla telecamera alla partenza. Risvegli, sensazioni. L’Universiade ci ha detto bene tante volte. Non soltanto quando Mennea fece il suo record storico sui 200. Speriamo che sia così anche per uno sport dove il tradimento di molti ha reso viscida la strada per i pochi credenti rimasti. Dai giochi studenteschi dove Paltrinieri prende oro al fresco e al caldo, campione in tutti i sensi, uno da cui imparare a vivere nel grande sport, cioè senza cercare scuse, senza lamentarsi troppo, vincendo molto spesso, dall’umido e dal secco, prendiamo il messaggio delle medaglie italiane dell’atletica di nuova e vecchia generazione, nella speranza che tutto cambi, ma non perché nulla cambi davvero come  è sempre piaciuto ai Gattopardi dei vari sistemi, in ogni sport, da Tel Aviv alla Milano delle vendette private dove sei ammesso a corte, in quella che molti pensano sia una corte e non un cortile per case di ringhiera, soltanto se sai dire: il pranzo è servito. Stile non principesco, ma spesso chi governa non sa cosa fa il guardiano di chiavi con la saccoccia piena.

Camminare per le antiche strade, cercando di rivedere il passato, perché il presente, cari Messina e caro Petrucci, ci sembra abbastanza inquietante, anche se la tradizione dice, vedi Nantes oro 1983, Parigi oro 1999, medaglia europea messiniana in Spagna, Stoccarda e Stoccolma bronzi di squadre vere, che se l’Italia parte senza aver niente da perdere, oltre le solite etichette, forse farà anche bene. A Tel Aviv, nel regno di Mickey Berkowitz, ascoltando la gente che applaude Dino  Meneghin, avversario temuto, ma soprattutto amato, cercando di ricordare. Il pesce di Giaffa quando Cassani e Giulio Signori tenevano per mano  chi viaggiava per amore, soltanto per amore come ci ricordava  l’Alfredo Broggi, l’uomo che non dimentichi mai anche se a casa del Maccabi, in Israele, ci sei andato con tutti, non soltanto con Cantù. Che dire dei viaggi con Varese? Straordinari puzzle e il Charlie Yelverton salvato da Nico Messina mentre la milizia lo inseguiva in albergo dopo essere rimasta insospettita da quell’uomo nero in tuta bianca che correva  sulla spiaggia  dopo il tramonto. La prima Virtus da viaggio con l’esordiente Villalta e  Torquemada Porelli impegnato a placare le tensioni fra i fedelissimi Virtus e quelli delle altre testate nazionali che arrivavano da Roma, ma, soprattutto, da Milano. Sugar Ray Richardson in blue jeans, ancora sospeso dalla NBA, amico di Bob McAdoo che chiede ospitalità all’allenamento di vigilia della Milano che includeva e non escludeva. Fu uno spettacolo il cambio di ritmo dell’allenamento e il giorno dopo fu anche vittoria. Tanti ricordi, dai giorni di Belgrado, prima coppa dei campioni del Maccabi contro Varese. Gente che cantava, piangeva, una cosa che non abbiamo mai dimenticato perché quei colleghi di Tel Aviv li abbiamo poi ritrovati a Teheran dove la milizia dello scià inseguiva il giornalista non accreditato. Israele vinse l’oro di quei  Giochi nel 1974, anno in cui la Cina tornava nel grande sport e il Giornale scelse questo azzardo, ma la cosa interessava tutti e Bernardo Valli  ne fu il grandissimo testimone per il Corrierone, veniva da Cuba, dalla Guerra dei Sei Giorni, anche lui santo protettore quando un fotografo fin troppo scaltro ci mandò di traverso la cena raccontando di aver fatto ripetere esecuzioni capitali perché i primi scatti erano venuti male.

Ci siamo stati troppo volte per non sapere che Tel Aviv può stregarti o stordirti. L’ultima volta eravamo con la Fortitudo e nei meandri aeroportuali, fra visite corporali e domande fra il banale e il necessario, abbiamo visto un giocatore americano sbiancare perché si era confuso  nelle risposte e lo volevano ammanettare. Ci siamo nascosti a Giaffa perché è il posto più fresco, più bello da vivere aspettando di andare tutti verso l’arena del basket. In tasca un titolo che risponde a molti: ci rimane soltanto la faccia cattiva. Confessione del trio capinera Belinelli, Datome, Hackett al settimanale roseo. Bastasse quella. Sappiamo di avere una Nazionale di seconda fascia dal giorno in cui Danilo Gallinari ha deciso che doveva passare alla storia di Azzurra tenera per qualcosa. Peccato anche se pure con lui, forse, visto il buco al centro, non eravamo meglio della seconda fascia. Doveva essere la Nazionale del riscatto dopo Torino, dopo le cene saltate in altre grandi manifestazioni, la nudità al di fuori delle Olimpiadi ormai dal 2004. Sembrava che volessero tutti togliere ansiolitici al presidente federale, confermando che se non vinci in Nazionale resti un visconte dimezzato. Certo Belinelli campione d’Italia e della NBA. Certo Datome campione d’Europa con il Fenerbahce, Melli campione d’Italia e in Germania. Hackett sposato all’Olympiakos  campione dopo i due tituli in Italia fra Siena e Milano. Campioni in un certo senso, bravi giocatori in un certo modo, ma senza medaglie con la maglia che rappresenta un scuola. Con la squadra che dovrebbe essere di tutti, che è stata emozione persino per Sylvester, lui ha vinto con Azzurra, D’Antoni, persino Travis Diener che addirittura vede bene anche questa ciurma che secondo il geniale Taucer sembra una combriccola da albero della cuccagna, quando, per avere i premi, si tirano bastonate ad occhi bendati.

Non sarà l’ottimismo di pochi a far diventare pesante il pallone che ti passano da SKY con la prosopopea dell’adesso vi spiego tutto, dai calzini alla sotto maglia, dai giocatori che a 38 gradi si fanno imbalsamare da scaldamuscoli che tolgono ossigeno al cervello, ma qui ci sentiamo soltanto nostalgici e non certo per aver sentito urlare tante volte dalle tribune: accorciate le braghette che almeno si vedono i marroni. Certo, platea bolognese che sembra già incantata dal Gentile anno zero come dovrebbe indicare la sua nuova maglia nera, protagonista nel Memorial Luigi e Paola Porelli festeggiato lontano da casa Dozza contro Ferrara.

Dunque Italbasket alla prova della verità. Come avrete notato le ultime tre esclusioni di Messina, cioè Baldi Rossi, Cervi e Della Valle non hanno provocato alcuna polemica. Nel calcio sarebbe stata guerra per bande. Non lo è stata, per la verità, neppure all’inizio quando appunto furono lasciati a meditare Ale Gentile e Bargnani. Il movimento offre questa pattuglia di soldati. Se saranno davvero difensori della fede e del concetto che prima non bisogna prenderle forse avremo sorprese, anche se a questo punto dobbiamo temere pure la Georgia che ad Atene giocava più mascherata di noi. Ci serve almeno il secondo posto nel girone, ammesso che non si possa sperare di avere anche il primo perché esiste una verità in questo campionato europeo: nessuno ha squadre complete, nessuno è davvero al meglio. Sì, certo Serbia, Francia, Spagna, forse Russia o Turchia, una vanitosa che, però, gioca in casa, potrebbero avere qualcosa di più, ma non c’è pace neppure fra i loro ulivi. Tutti hanno difetti, in molti hanno detto sì perché precettati, ma non convinti.

Un’Italia che tiene gli avversari a 70 punti può essere meglio di Ucraina, Germania, Georgia, Lituania e dello stessa nazionale israeliana che pure gioca in casa, ma non è parente di quella che vinse l’argento a Torino nel 1979, l’anno in cui la Nazionale chiuse con Primo e passò al suo assistente Gamba con le stesse modalità usate, anni prima, per mettere l’allenatore romano al posto del professor Paratore. Soltanto nei tempi moderni si è cambiato metodo. Visti i risultati è andata pure bene, ma questo fino ad Atene 2004. Poi? Ah, saperlo direbbe il Pianigiani già stregato dalla vicinanza con il manovratore della storia recente di casa Olimpia. Niente di nuovo riportato dagli invitati eccellenti al desco della nobil casa, chi ha memoria ricorda che la stessa affinità elettiva aveva elettrizzato il matrimonio con Scariolo, Banchi e persino con Repesa. Saranno gli alberi del City Life a raccontare la nuova storia. Una cosa è certa: nessuno ha avuto la possibilità di prendere tanti giocatori importanti da unire ai reduci dell’ anno orribile del Gelsomino svanito nella nebbia. Come tutti gli altri anni, dal primo giorno di potere Armani, saranno i favoriti in Italia e temuti in Eurolega. Certo 70, 80 partite pesano, ma questa dura esperienza è già stata pagata da chi ha dovuto esplorare un territorio misterioso, quello dove il Fener infernale di Obradovic è arrivato al titolo perdendo più di 10 partite. Nessuno nasce imparato, dicevano alla scuola degli asini.

Tornando all’Europeo diciamo vento debole fino al 6 settembre, la vera tempesta si avrà dal 9: ottavi di finale nella grande arena di Istanbul Costantinopoli. Come nel tormentato meccanismo olimpico puoi anche sbagliare qualcosa nei gironi, mai il giorno della verità. Primi o secondi per schivare la Francia, favorita con Slovenia e la Grecia tempestosa nel girone di Helsinki dove Polonia, Finlandia e Islanda non vorrebbero essere soltanto spettatrici. A Istanbul vedremo se la Turchia sarà meglio dei serbi, uhm, dei russi, perché negli ottavi si incrocerà coi reduci del girone rumeno di Cluj Napoca, dove Spagna, anche senza LLull, e Croazia sembrano le migliori. Non chiedeteci adesso quale sarà il tono delle voci nelle dirette SKY. Se non vi accorgerete della differenza fra un’amichevole a Cagliari e una partita vera sarà soltanto colpa vostra.

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