L’eredità facile di Pianigiani

29 Giugno 2017 di Oscar Eleni

Oscar Eleni sulla via dolorosa che porta da Gerusalemme a Lilla, ma, per fortuna, non si ferma ad Ostrava, fra miniere grondanti di lacrime, dove abbiamo rivisto l’atletica creativa. Era inferno nella Francia nordista, è stata meraviglia, per creatività, sensibilità della gente, la festa dell’addio di Usain Bolt mentre Van Niekerk provava la corona. La trovata della gara di giavellotto fra tedeschi e cechi è stata sublime. Tutto è stato bello dove l’atletica piace, tutto è diventato più bello se a commentarlo per Fox hanno messo Nicola Roggero e un Baldini che ci piace quasi più del campione che faceva saltare sulle sedie nei chilometri finali della sua maratona d’oro olimpica. Lasciate spazio ai credenti e non avrete delusioni. Quasi sempre. Certo esistono i deviati, ma si può convivere cercando di aiutarli. Non è gente che ascolta. Sono inchiodati sul mago Bolt che, effettivamente, ha qualche chilo di troppo, ma ancora un mese per stupirci ai Mondiali. Inutile bussare alla porta degli ottusi.

Ve lo dice uno che è sulla via dolorosa da tempo non avendo trovato, sul giornale dove scrive dal 1974, anno della fondazione, uno spazio per la meraviglia di D’Antoni allenatore dell’anno nella NBA, partendo alla sua ironia con Lopez roseo (“Di solito l’allenatore dell’anno viene cacciato nella stagione che viene dopo”) che farà toccare amuleti persino a Sarri prigioniero a Castel dell’Ovo del produttore cinematografico, un’ elemosina di spazio per le scelte di Azzurra del Messina che non ha centri e non può fare confusione su chi sarà il regista all’Europeo, un commento sulla scelta del figlio di una contrada senese come quella della Lupa dove Pianigiani imparava l’arte d a un collega mai rimpianto abbastanza come il Corsi. Pazienza. Quando sei martello batti, ma se diventi incudine statti, dicono a Napoli.

Torniamo sulla via dolorosa di Gerusalemme dove Simone Pianigiani passa, senza croce, dalla Chiesa della Flagellazione vicina alla spianata delle moschee, fino alla torre Antonio Livia. Doveva liberarsi dall’abbraccio dei campioni d’Israele, amati fino a prova contraria, per vestirsi nell’Emporio Armani. Lui il Messia per la bella Olimpia armonizzata. Nel coro che ci ricorda Viva la pappa col pomodoro, mentre la servitù canta Battiam le mani, viva viva il direttor, ci si domanda se davvero non c’è niente della Siena minucciana nella Milano proliana.

Qualcuno protesta, a Milano, ma lo facevano anche a Torino per Allegri. Dopo Messina nessuno in Italia ha vinto di più del figlio di una Lupa che ha passato anni senza Palio. Perché discuterlo? Certo si resta confusi se chi comanda scrive, speriamo non sotto dettatura, che Milano cambia e non poteva essere altrimenti. Si vantano di aver anticipato che sarebbe stato Pianigiani l’allenatore. Da molto tempo gli “sgoop” del basket milanese sono privilegio di chi può permettersi paginoni con ragazzi in occhiali Armani. Il mercato, bellezze. Invidia? Be’, fate voi. Resta una domanda, che coinvolge Pilato e la sua corte: Pianigiani per ridare entusiasmo, lo stesso Simone che Petrucci mandò via dalla Nazionale perché, secondo lui, creava angoscia.

Nella via dolorosa la croce è sulla spalle di Repesa, campione d’Italia come lo fu Banchi, ringraziato con stile. E sì. Durante il suo piccolo regno, fra telefoni spia, qualcosa ha portato a casa nella società che pensa di non farcela in Europa perché altri hanno più mezzi. Sarà vero, ma se Pianigiani a Gerusalemme, dove il presidente si è un po’ risentito se un giocatore ubriaco non lo ha riconosciuto, prendeva più di un milione in euro, considerando che Repesa aveva ancora un anno di contratto, come il Banchi licenziato su ordine del figlioccio preferito e poi considerato non più degno del vitello grasso, sembra che i soldini non manchino. Eredità facile. Peggio del Gelsomino rimasto con il cerino della Coppa Italia non si può fare. Vedremo.

Eravamo conviti che fosse una bella squadra anche quella costruita per tempo l’anno scorso. Errore di chi non sa che le società puzzano dalla testa. Aspettiamo la prossima, mentre i campioni perdono addirittura cuore Filloy che va ad Avellino dall’Alberani. Chi sarebbero i rivali? No. Milano deve essere forte in Europa, l’Italia è una colonia. Magari. Via dolorosa per una stagione disastrosa, lo ammettono anche loro. Gli stessi che dovrebbero rimpiangere di aver preferito Tizio a Melli, Caio ad Hackett, quelli che da Siena hanno preso quello che potevano, pagandoli bene e in chiaro, sia chiaro. Potere della ricchezza. Milano pronta a conquistare territori che non vedono l’ora di essere colonizzati, mentre si sputa sul Pianigiani senese, sei scudetti sei, che potrebbe sempre ricordare una verità: in ogni squadra scudetto sempre uno scelto nel rancido. Venezia ha vinto a con Ress ed Haynes, barattato da Milano, e Viggiano. Un caso. Forse.

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