Twin Peaks terza stagione, l’onanismo di David Lynch

27 Maggio 2017 di Indiscreto

La terza stagione di Twin Peaks, 25 anni anni dopo la seconda e da noi tanto attesa, è una boiata pazzesca. Basiamo il giudizio sulle prime due ore mandate in onda da Sky Atlantic, magari nei prossimi episodi David Lynch tornerà ad essere un genio compreso come nella prima e nella seconda serie, quando alternava feroce ironia sulla vita di provincia a compassione anche nei confronti dei peggiori criminali, citazioni di B-Movie a fellinismi di maniera, il racconto piatto e la divagazione grottesca. Il tutto in un incrocio di generi che rende Twin Peaks meno datato di quasi tutte le serie della sua epoca.

Ecco, di tutto questo è rimasto un certo gusto pulp e qualche delirio onirico. Si rivedono molti protagonisti delle prime due serie, su tutti l’agente Cooper  (Kyle McLachlan) ma non mancano una Laura Palmer (Sheryl Lee) morta né suo padre, oltre ad Hawk, Andy, Lucy, Benjamin Horne, la signora Ceppo e altri, ma l’azione si svolge in più luoghi: Twin Peaks, ovviamente, ma anche New York, Las Vegas e un paesino del South Dakota dove viene scoperta una donna decapitata con la testa appoggiata sul corpo di qualcun altro (quindi i decapitati sono due). Non è poi così sicuro che le trame si incroceranno in maniera meccanica, ma questo al genio si può anche concedere.

Il punto che la terza stagione di Twin Peaks non è interessante, non ha il primo livello del teen movie a rendere digeribile il tutto (anzi, è piena di vecchi incattiviti o cupi) né personaggi nuovi che colpiscano, ed è priva di un’idea diversa dal dimostrare allo spettatore che Lynch è un gran figo. È come se Messi invece di fare gol o assist nel 2017 si mettesse a palleggiare in mezzo al campo (facendo ogni tanto anche cadere il pallone, per non essere scontato) mentre sullo sfondo scorrono sue immagini di repertorio.

All’attivo ci sono invece citazioni ‘crime’, una maggior cura tecnica (negli anni Novanta i grandi registi facevano televisione con la mano sinistra) e soprattutto il rifiuto di schemi narrativi classici, con un intelligente cambio di prospettiva per quanto riguarda Cooper. Lynch ha tentato di non adagiarsi sull’effetto nostalgia, ma qui non c’è alcuna nuova idea a parte l’onanismo del regista. Non stupisce che una roba simile sia stata presentata a Cannes, con cinque minuti di applausi al mito dell’Autore. Va poi detto che a parità di bravura le necessità pop dei canali in chiaro e il compitino intellettualoide per canali via cavo sono due mondi diversi. Rimane il fatto che una roba simile si può guardare per l’effetto nostalgia (infatti non molleremo), ma non può piacere né a chi cerca la nostalgia né a chi vorrebbe idee nuove.

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