Fognini-Murray in prospettiva

17 Maggio 2017 di Indiscreto

La straordinaria partita di Fabio Fognini contro Andy Murray al Foro Italico può essere definita storica, pur senza dimenticare che nel tennis la storia vera viene creata dai risultati negli Slam, oggi ancora più di ieri quando gli Australian Open erano svalutati (fino all’era Flinders Park di sicuro): tutto il resto è contorno, più o meno di qualità, con motivazioni troppo diverse per considerare ogni risultato un responso definitivo o un giudizio di Dio. L’obbligo per quasi tutti i big, diciamo quasi visto che soltanto Federer ha tutti i requisiti per esserne esentato senza inventarsi infortuni, di partecipare ai Masters 1000, alla lunga poi stanca gli spettatori e gli stessi protagonisti, che non possono sempre tenere alta la tensione. Certo è che Murray difendeva i 1000 punti dell’anno scorso, quando vinse battendo in finale Djokovic, ma le motivazioni hanno contato meno di una stagione sulle terra partita male a causa dell’infortunio al gomito e continuata peggio, con l’eccezione di Barcellona (bellissima la semifinale persa con Thiem). Senza dimenticare che Fognini ha giocato grandi partite anche contro un Murray migliore, basti pensare alla vittoria in Coppa Davis di tre anni fa o all’occasione buttata ai Giochi di Rio.

Questi asterischi sul fuoriclasse scozzese non tolgono che Fognini sia soltanto il quinto tennista italiano, da quando esistono classifiche oggettive e compilate dal computer (quindi dal 1973), a battere il giocatore numero uno al mondo. Non ex numero uno, perché le ‘prede’ in declino vanno giudicate con un altro metro e può capitare che uno come Cané batta Wilander (che in quella famosa partita di Cagliari aveva la testa al padre in punto di morte), ma fuoriclasse all’apice della loro carriera. Poi che lo scozzese non stia vivendo un gran momento è un altro discorso, ma certo la sua leadership è al momento indiscutibile vista la discontinuità di chi gli sta dietro (Djokovic e Wawrinka), il tritatutto Nadal ancora a distanza di relativa sicurezza e Federer che a 36 anni si vuole concedere sempre meno (logica ma tristissima, veramente piccina, la scelta di saltare il Roland Garros).

Ma chi sono gli italiani che prima di Fognini hanno centrato l’impresa? Il primo è stato un ventunenne Corrado Barazzutti, che nel 1974 nei quarti di finale del torneo di Monaco (Baviera, non Montecarlo) superò Ilie Nastase 3-6 7-6 6-1, fra l’altro il primo numero uno del ranking al computer. Nel 1975 fu la volta di Adriano Panatta, che nella finale di Stoccolma battè Jimmy Connors 4-6 6-3 7-5, impresa replicata dallo stesso Panatta sempre contro Connors due anni dopo al primo turno di Houston (circuito WCT, all’epoca in concorrenza con il Grand Prix e in certe stagioni più qualitativo), 6-1 7-5. Nel 2000 l’intruso, con tutto il rispetto per Gianluca Pozzi che al Queen’s negli ottavi sfruttò il ritiro di Andre Agassi, che aveva vinto il primo set. I più giovani ricordano senza problemi l’impresa di Filippo Volandri contro Federer, 6-3 6-4 esattamente 10 anni fa al Foro Italico. Poi Volandri sarebbe arrivato fino alla semifinale con Fernando Gonzalez, il miglior risultato in carriera. E adesso questo 6-2 6-4 di un Fognini trentenne, che per la prima volta in carriera non ha sofferto la pressione di Roma.

Prendere acriticamente le statistiche non ha in ogni caso senso: Barazzutti e moltissimo di più Panatta erano giocatori che nel cuore degli anni Settanta se la giocavano regolarmente contro i migliori del mondo (da non dimenticare che Panatta più volte batté Borg, che in certe stagioni era il vero numero uno ma era penalizzato dalle sue scelte, come esibizioni a raffica e avventure folli tipo il WTT), Pozzi e Volandri certamente no. Fognini sta in mezzo, perché sulla terra non parte battuto nemmeno contro Nadal, e questo status di mina vagante glielo riconoscono più gli avversari che i giornalisti. Guardando certi risultati del Roland Garros degli anni Novanta e primi Duemila, si può dire che Fognini al di là del suo carattere, che in certi casi lo ha penalizzato, sia nato probabilmente nell’era sbagliata. Ma per gli standard di oggi a trent’anni non si è certo a fine carriera, il tempo (non tanto) per l’acuto c’è ancora.

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