Il tripletino del Mourinho condiviso

26 Maggio 2017 di Indiscreto

La vittoria del Manchester United in Europa League ha trasformato la stagione della squadra di José Mourinho da appena sufficiente a quasi buona, in proporzione ai mezzi finanziari: visto che i giocatori dell’Ajax sono costati in totale (!) una cifra inferiore alle commissioni pagate a Raiola da Juventus e United per l’operazione Pogba. A riprova che il fair play finanziario UEFA alla fine non fa altro che perpetuare il dominio di chi è già forte ed ha milioni di tifosi in tutto il mondo: non ci pare che in fondo alla Champions League quest’anno siano arrivate Copenhagen e Dinamo Zagabria né che nei prossimi anni ci possano arrivare, ma forse ci sbagliamo.

Questo non toglie che Mourinho da 15 anni, da quando con il Porto quasi tutto portoghese (non lo erano soltanto Derlei e Alenichev) vinse la Coppa UEFA 2002-2003, sia uno dei migliori allenatori del mondo: un periodo lunghissimo, per i parametri moderni, quasi assurdo pensando a come i ‘santoni’ si brucino molto più velocemente dei distributori di maglie. Va detto che il Mourinho pacificato con il mondo e in un certo senso ‘condiviso’ di questa stagione a Manchester, ma anche della sua seconda vita al Chelsea, ha perso un po’ della rabbia del vecchio Mourinho: da spettatori di quasi tutte le partite di quest’anno dei Red Devils (smadonnando per i soldi persi alle scommesse) lo consideravamo sulla via della bollitura, pronto per incassare 20 milioni a stagione da Suning e poi andare in pensione. Ci siamo sbagliati. Non che nel 2017 manchino avversari o ‘nemici’ stimolanti, ma avere 54 anni è di sicuro diverso dall’averne 39, al punto che anche il solito giochino mediatico con Guardiola in questa stagione non è mai davvero decollato nonostante la vicinanza geografica. È Mourinho il primo a sapere che Community Shield, coppa di Lega, Europa League e qualificazione alla Champions sono un punto di partenza, quando in quasi tutti gli altri club del mondo lo sarebbero di arrivo, quindi è sicuro che questa estate nasca davvero il suo Manchester United intorno a Paul Pogba, nella finale di Stoccolma molto più coinvolto emotivamente rispetto al Pogba di almeno mezza stagione di Premier League. In altre parole, nel 2017-18 una Premier League e una Champions League non vissute da protagonisti fino ad aprile sarebbero un fallimento, come tutti gli allenatori al top sanno.

Tatticamente Mourinho ha iniziato la stagione con l’amato 4-2-3-1, con Pogba e Fellaini a centrocampo e Rooney dietro Ibrahimovic (viene in mente la prima delle sfide con il City di Guardiola), per poi da inizio 2017 cercare un miglioramento della manovra nel modo più semplice: togliendo un difensore e aggiungendo un centrocampista. Tattica che a volte ha pagato (in campionato battuto il Chelsea di Conte nella partita forse più intensa della stagione) ma che non è nel cuore del portoghese né mai lo sarà: togliere un uomo di manovra per proteggere due centrali difensivi così così non lo esalta. L’accantonamento di Rooney e l’infortunio di Ibrahimovic gli hanno poi dato la spinta per aggrapparsi alle sue certezze, con variazioni sul tema come il 4-3-3 compattissimo che era anche il marchio del suo primo Chelsea che aveva in attacco Duff, Drogba e Robben e che si è visto contro l’Ajax. Schiavi come siamo delle dichiarazioni da titolo, ci dimentichiamo troppo spesso di osservare come giocano la sue squadre. Che hanno una costante: hanno giocatori che remano nella stessa direzione, anche soggetti in altri contesti ritenuti difficili. Se Ibrahimovic, uno con un ego doppio rispetto a Cristiano Ronaldo e Messi presi insieme, da zoppo si mette a fare il tifoso a bordocampo questo significa che ancora oggi Mourinho sa entrare nel cuore di chi lavora con lui e di chi tifa per la sua squadra del momento. Sono cose che non si possono né insegnare né imparare.

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