La patente, Totò e la domanda dello iettatore

19 Aprile 2017 di Paolo Morati

Totò - La patente

Totò moriva 50 anni e tre giorni fa. Di lui abbiamo già scritto altre volte su Indiscreto e in questi giorni se n’è parlato un po’ ovunque, tra suoi film, ricordi e commenti. Eppure qualcosa da dire la trovi sempre, su quello che è da considerarsi l’attore comico per eccellenza, tra stile, risata e dramma. La palla allora la afferriamo al balzo per parlare dell’episodio La patente, tratto dal film Questa è la vita (del 1954, basato su quattro novelle di Pirandello), in cui il principe De Curtis interpreta lo iettatore Rosario Chiarchiaro, che decide di farsi certificare la sua qualità (sostenuta dai compaesani) per poter dare una vita migliore alla sua famiglia. Con tanto di tariffario per non influire negativamente in posti e situazioni.

Non ne scriviamo per dare un giudizio sul film e il particolare episodio, ma per evidenziare come Totò ancor prima che un grande comico e interprete della battaglia verbale (con la sua vittima preferita Peppino De Filippo, o il pari avversario Aldo Fabrizi), poteva anche solo servendosi della mimica dare potenza a un personaggio. E qui non stiamo parlando della marionetta, ma dell’uomo che drammaticamente fa di necessità virtù, o ribaltando il concetto, di virtù certificata la soluzione al problema.

Un personaggio desolato, più vicino al ferroviere Antonio La Quaglia di Destinazione Piovarolo o al portiere Antonio Bonocore di La banda degli onesti, che al pirotecnico musicista Antonio Scannagatti di Totò a colori o allo scarpettiano Felice Sciosciammocca, più volte portato in celluloide. Nella sostanza uno dei due volti del Totò attore, quello che ti fa pensare e riflettere più che reagire e scompisciarti dalle risate. E che in La patente fa alla figlia maggiore (e a sé stesso) una domanda decisiva e inesorabile, e la cui risposta resta ancora in sospeso: “Chi sarebbe la gente buona?”

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