Spostato di un secondo, le somme di Marco Masini

20 Febbraio 2017 di Paolo Morati

Marco Masini

“Che depressione, ascolti Marco Masini?”. Chissà quante volte questa affermazione è risuonata negli anni Novanta nelle orecchie dei ‘disperati’ e ‘disperate’ che si identificavano nelle storie del cantante e musicista fiorentino, nelle sue Malinconoia, Il Niente, Ti innamorerai o Bella stronza. Canzoni inseguite da una voce sparata con tutta la rabbia possibile, tra ritmo e melodia, e dove la trascinante Vaffanculo, l’invettiva del “pazzo che grida nei dischi il bisogno d’amore che c’è”, segnò un’epoca. Negli anni la rabbia delle emozioni si è moderata, e Masini è stato capace a differenza di altri di uscire dal cliché del cantante generazionale, riuscendo a mantenere un seguito, nonostante alcune cattiverie sul suo conto e le evoluzioni di un mercato discografico sempre più difficile. E nel mezzo la vittoria a Sanremo del 2004 con L’uomo volante.

Questa lunga premessa per parlare del nuovo album di Marco Masini, Spostato di un secondo, che proprio come l’omonimo brano sposa con convinzione ma senza esagerare il pop elettronico anni Duemila per tutti i dodici brani (compresa la cover finale di Signor Tenente), e il concetto di tempo che passa nelle sue diverse sfaccettature come tema dominante. Nel corso di Sanremo già dopo i primi ascolti della title track eravamo rimasti positivamente impressionati dall’approccio al cantato (quasi recitato nelle strofe), alla riflessione sulle ipotesi delle scelte e azioni condotte un secondo dopo rispetto alla loro effettiva realizzazione, per “fare tutto di nuovo un attimo dopo”.

Bella domanda e bella speranza, che in scaletta arrivano dopo Ma quale felicità (probabilmente la più ‘masiniana’ vecchio stampo della prima parte del disco) e Nel tempo in cui sono tenuto a restare (“potrei anche imparare a cambiare”, uno degli episodi più felici dell’insieme), e precede, Tu non esisti, un dialogo con una controparte, che mantiene ben salde le lancette dell’orologio di nuovo a scandire la storia. Invece di scriverti una canzone riprende poi la corsa elettronica senza stravolgimenti di stile, così come La massima espressione d’amore.

Si avvicina di nuovo il Masini dei tempi che furono in Guardiamoci negli occhi e Qualcosa che cercavi altrove (i capitoli meno coinvolgenti, per noi), mentre nel mezzo torna prepotente la trama del disco con All’altro capo di un filo (“il tempo non rallenta e lascia nelle tasche le note di passaggio”), in La vita comincia (“Hai speso i tuoi anni a studiare le carte ma non ricordi la meta”) e nella conclusiva Una lettera a chi sarò (“Una lettera a chi sarò, da mettere in tasca quando mi arriva, per riconoscere la nuova voce che avrò, quella di un vecchio amico”). In generale un bell’album il nuovo di Marco Masini, certamente moderno e che segue il filo conduttore dello scorrere della vita, tirando le somme di quel che si è fatto, si sarebbe potuto fare, e si potrebbe (ancora) fare. Scoprendo, in definitiva, che certe cose si allineano a stento.

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