Un pacco alla Gabbani (Dimarco non è da Inter)

13 Febbraio 2017 di Stefano Olivari

Il giorno dopo Inter-Empoli è un lunedì come tanti altri, per lo meno al Champions Pub. La rissa per la data delle politiche, Draghi che difende l’euro, Schulz che sorpassa la Merkel nei sondaggi, il Papa che denuncia la corruzione in Vaticano, le motivazioni della Consulta sull’Italicum sono notiziole, buone giusto per riempire un Tg di provincia con in coda un servizio sul vestito della Leotta all’Ariston. Tutto ovviamente scompare di fronte al due a zero con cui i nerazzurri hanno battuto la squadra di Martusciello, dando un po’ di senso al pomeriggio e forse anche alle vite del Gianni, del Walter, del Franco e di Budrieri, che hanno seguito la partita al loro solito secondo anello rosso, a poca distanza dalla tribuna stampa dove il Max era accreditato per SuperMegaInter.com, anche se si è perso sia il gol di Eder sia quello di Candreva perché troppo impegnato a tampinare la Fede. L’inviata di punta di Nerazzurrecontaccododici.net stava però chattando con uno youtuber da sei milioni di visualizzazioni all’ora, con i suoi tutorial su come raggiungere l’erezione dopo il quinto aperitivo nella stessa serata (è chiaramente impossibile, già dopo il secondo, ma i video sono comunque molto divertenti e virali: Pier Luca è un suo follower da mesi, apprezzandone la stickiness), conosciuto venerdì su Tinder. Per una volta ha trovato uno che non mente sulla sua professione, solo una innocente bugia sull’indirizzo di residenza (non al Bosco Verticale, ma vicino al Bosco in Città: in via Novara, quasi a Figino, non lontano dal travesta preferito del Gianni) e sull’età (43 anni, non 24). Più interessato al calcio è senz’altro Budrieri, che ha partecipato alla doppia pañolada usando l’unico fazzoletto bianco trovato in casa, pieno dello sperma di D.J. John (L’Erminia l’ha invitato a non usare più le tende, anche perché lei in ogni caso non le lava). Così anche oggi, mentre il mondo brucia, nella periferia ovest di Milano il parlare di calcio è l’unica cosa che tenga attaccati alla vita insieme agli sconti 30% del Simply, al video poker, al centro massaggi Tuina, al Nails Paradise e al pacco di Gabbani, 25 presunti centimetri che hanno generato più di una discussione in un contesto in cui tutti asseriscono di scopare.

Sono le due del pomeriggio e i demotivati dipendenti della nuova Tuboplast risanata stanno sorseggiando un caffè che puzza di gomma bruciata, servito da Paolo-Wang in tazzine lavate a Capodanno, con la sua mente alle figure testa e spalle ribassiste che avrebbe individuato in almeno 120 titoli del listino milanese: sta valutando dove entrare con decisione, anche se i 31,7 euro sul conto lo limitano fortemente. Per fare soldi occorrono soldi, oppure, come gli ha detto stamattina Zhou mentre starnutiva dentro le piadine cotto, pesto e brie (tutti e tre scaduti, mentre le piadine fornite da Ping non riportano date e quindi tecnicamente non possono scadere) in preparazione: “Dove ghè daneè n’è gh’en van” (soltanto lui, Budrieri e altre dieci persone in tutta la Lombardia sono in grado di capirne il significato). Seduto all’unico tavolino non traballante del locale, Tosoni con una mano fra le cosce di Mariella dopo aver criticato il sessismo di Trump declama i risultati di una recente ricerca, secondo cui il 67% dei lavoratori italiani non ha competenze digitali adeguate, percentuale che sale al 99,8% alla Tuboplast dove i computer sono degli assemblati che Ping ha fatto arrivare da Prato, con processori 486 per i dipendenti di grado più basso e Pentium per i manager. “Per la Tuboplast il capitale umano è fondamentale – ha spiegato l’amministratore delegato -, presto inizieranno corsi per mettersi al passo con i tempi”. Corsi, ha aggiunto Cogodi, al tempo stesso obbligatori e a carico dei dipendenti. Saranno esentate le cinque nuove assunte, le amiche del Get Fit di Mariella, in quanto, ha spiegato Tosoni “Native digitali, già in possesso di skills adeguate”. Intanto in un angolo, torvo, José Luis finisce il gallo pinto che si è portato da casa e osserva il suo tatuaggio sull’avambraccio sinistro, ‘Sin piedad’, che si fece al centesimo sandinista ucciso. Zhou avrebbe tanta voglia di ammazzare quel portinaio somozista (pur affine alle sue idee politiche) e Tosoni, perché Milano deve tornare alla produzione e ai milanesi, ma anche Paolo-Wang quando gli parla di minimi di reazione e di neck-line. Si accontenterebbe anche del primo web developer incontrato per strada, ma in via Novara non ce ne sono tanti.

Max è disperato, al punto di invidiare lo youtuber della Fede. È reduce da una settimana in cui i server di SuperMegaInter.com si sono fusi, da tanti accessi ci sono stati per il post Inter-Juventus: gli Agnelli sono stati e sono una sciagura per l’Italia, omaggiati dalle stesse persone che inculano (in senso più o meno metaforico), ma per Google Adsense sono una manna. Così il più inutile laureato in scienze della comunicazione, cioè della più inutile delle facoltà, ha viaggiato alla media di 767 post al giorno su Rizzoli, Elkann, Nicchi, Icardi, eccetera. Certo chi nei grandi portali di informazione la sfanga con una photogallery su Marica Pellegrinelli o con titoli tipo ‘Chioma funk e fisico da urlo, la fidanzata di Vincent Cassel che ha stregato l’Ariston’, è mille volte più fortunato di lui, che si trova fra l’incudine della spazzatura quotidiana e il martello dei magazine o webmagazine di qualità estrema, che in teoria da fine maggio dovrebbero essere spazzati via da Hidegkuti e dai pezzi di Ridge Bettazzi. Nell’ultimo inviato dal più grande intellettuale di Pinarella di Cervia, intitolato ‘Il sogno spezzato di Luigi De Rosa’, Bettazzi racconta ai lettori di target alto di Hidegkuti la storia non autorizzata del Pescara 2006-2007, che retrocesse in C1 nonostante fosse guidato prima da Ballardini, poi da Ammazzalorso e infine proprio da De Rosa. Che spiegò calcio a tutta la serie B dell’epoca, dove c’erano Juventus, Napoli e Genoa, lasciando un segno in una generazione di allenatori.

Nel pezzo, scritto alla Buffa del periodo di New Orleans, questa volta manca Happel. Il resuscitato santone austriaco rimuore infatti subito, per le risate che gli fanno esplodere un cuore già messo a dura prova da Jongbloed, appena vede Diletta Leotta testimonial contro il cyberbullismo e la violazione della privacy. Michels è invece vivo ma triste, per la morte del suo Keizer. Si rianima soltanto leggendo il ricordo della Gazzetta: “I compagni, nell’estate del 1973, gli consegnarono la fascia di capitano togliendola a Cruijff”. In effetti sarebbe stato difficile lasciare la fascia di capitano dell’Ajax ad un giocatore ceduto al Barcellona… Nel paradiso degli allenatori Michels discute con Tom Rosati proprio di quella stagione chiusa da De Rosa con la retrocessione in C1, nonostante innovazioni tattiche che attirarono l’attenzione addirittura di Guardiola, che nel 2006-2007 si dedicò soltanto allo studio dei maestri, prima di prendere in mano il Barcellona B.

Chiusura con citazione del solito Senad Gutierrez, che sul sempre antifranchista Explotadores y Explotados di questa settimana (in allegato una videocassetta Vhs, perché una volta era tutto meglio, con un monologo in spagnolo di Corrado Augias contro gli autotrasportatori del Wyoming che votano Trump) ha scritto proprio di quel Pescara che spiegò calcio ad una serie B il cui campo di partecipanti era degno della Champions League di oggi: “Quando De Rosa prese in mano la squadra tutta Pescara riscoprì la sua anima antifascista, di città medaglia d’oro della Resistenza. Vantaggiato e Nello Russo furono i rinforzi di gennaio, i giovani combattenti per lottavano per la libertà dell’Abruzzo. E Pescara sembrava davvero una piccola Rosario, la terra promessa della fantasia e della poesia applicate al futbol. Quando Martini entrava in campo l’Adriatico gridava compatto tutti i suoi valori, mentre Delli Carri forniva un impianto ideologico forte alle masse che lo seguivano. Gonnella chiedeva un mondo più giusto, un mondo che non fosse schiavo della multinazionali e dove anche i più umili ascoltassero non imbonitori di piazza ma uomini di cultura come Gautieri. La nuova formazione politica messa in piedi da Pisapia si rifà ai quei valori, per questo la sede del Campo Progressista dovrebbe essere Pescara, per il suo forte valore simbolico”.

La settimana di Sanremo ha creato più di una polemica, anche in casa Budrieri. L’inserimento di Linus nella giuria di qualità ha rovinato a D.J. John giorni che sul piano professionale, come intrattenitore-animatore, sarebbero stati felicissimi (sabato pomeriggio a una festa per figli di ex paninari ha recitato la parte del barbone al quale dare fuoco, nella quale ormai si sta specializzando) e forieri di sviluppi. L’ex astro nascente dello showbusiness pugliese l’ha presa davvero male e dopo essersi fatto una sega di fronte al fermo immagine (non che i Budrieri abbiano MySky, l’ha registrata in Vhs e per una sega va benissimo pur con le righe orizzontali) di Diletta Leotta si è sfogato con Budrieri: “In altri tempi Linus avrebbe cagato sulla musica italiana, adesso per pura bulimia presenzialistica vuole mettere il cappello anche lì. Forse è invidioso del successo televisivo di Savino, forse una volta di più vuole umiliare Albertino rimasto a Milano a mandare avanti la baracca. Con questa scelta anti-Al Bano, poi, ha una volta di più rinnegato la Puglia. Per me Linus non esiste più”. Non essendo rimaste brocche venete, D.J. John si è sfogato sulla ciabatta della zingara, che Budrieri aveva incautamente tolto dal controsoffitto per potersela annusare in pace: l’ha scagliata contro la libreria, dove ovviamente non c’erano libri (l’unico di casa, quello di Sarugia, era al sicuro nel controsoffitto), ma quella zeppa che ha resistito a tanti inseguimenti fuori dal Simply ha resistito anche al modesto muro di cartongesso dei Budrieri. Sabato sera comunque tutta la famiglia era riunita davanti a Sanremo, Marilena compresa, con l’Erminia che per l’occasione aveva preparato una delle sue ricette preferite: bocconcini di bufala pseudo-campana acida in un letto di songino scondito. Il tutto dopo un aperitivo a base di Tuc già aperti e opportunamente sbriciolati.

Anche Frank e Kevin da Langley stavano seguendo il Festival: durante l’esibizione della Mannoia hanno telefonato a casa Budrieri per ringraziare delle Tepa originali e dei piumini Legea deformi, annunciando l’invio di un vaglia postale per rifondere Budrieri delle spese. Anche l’obamiano Kevin ha detto la sua sul Festival (“Ho saputo che gli hacker russi faranno vincere Gabbani e arrivare molto in alto Michele Bravi”), mentre il trumpiano Frank ha espresso una speranza (“Soltanto Michelle Obama e la Botteri mi stanno più sul cazzo della Mannoia. Peccato per Al Bano, che piace alla gente reale e non ai segaioli del web”) e chiesto al pensionato ATM, l’unico contributivo, di recuperargli anche un paio di Tiglio, di Soldini o al limite di Antonini di fine anni Settanta, anche usate, perché, parole sue, la fashion blogger con cui sta uscendo vedendolo con scarpe del genere gli si concederebbe all’istante. Poi mentre si stava esibendo Michele Bravi altra telefonata di Frank: “Budrieri, non so se hai letto di questa storia degli hacker russi che avrebbero messo nel mirino la Farnesina, ai tempi in cui ministro era la Mogherini…”. Un attimo di silenzio. “Sì, Frank, ho visto il titolo nella sezione Altri Mondi della Gazzetta ma sull’articolo c’era una macchia di pomodoro e non l’ho letto. E poi cosa cazzo c’è da spiare della Mogherini?”. “Caro amico, mi sa che si tratta degli stessi che erano a casa tua a Gorino con le negre incinte. Quindi aspettati una visita dei servizi segreti italiani, forse anche di quelli deviati”. Budrieri ha ringraziato per la dritta, poi gli ha detto la sua personale classifica sanremese (Primo Gabbani, seconda Paola Turci, terzo Ron), visto che ai familiari non interessava, e ha ricordato i suoi viaggi musicali in America, da cantante e frontman della banda dell’ATM che per un breve periodo suonò anche a Las Vegas con Elvis Presley. Nel più giovane Budrieri quell’Elvis ormai imbolsito vedeva l’Elvis splendente che quasi vent’anni prima aveva conquistato l’America all’Ed Sullivan Show, avrebbe voluto tenerlo con sé ma Budrieri scelse la famiglia e il lavoro sui tram. Poi dopo qualche settimana Elvis morì e non se ne fece più niente.

Mentre Lifen, sabato sera picchiata dai vecchi Tong durante l’esibizione di Alessio Bernabei, quando padre e nonno hanno scoperto che aveva comprato (da Ping, quindi a 5 euro) un cappottino blu uguale a quello di Ivanka Trump, spiega ai pochi avventori che l’era dello scontrino è superata e si va verso l’autocertificazione, Budrieri cerca di leggere la Gazzetta sul bancone della Sammontana ascoltando in sottofondo il Gianni, il Walter e il Franco (felice perché i fratelli forestali juventini ieri sera hanno visto la partita con il Cagliari a Corsico, ospiti di imprecisabili parenti) analizzare la vittoria con l’Empoli, mentre Ibrahim, Nabil e gli altri spacciatori maghrebini dal passaporto variabile cercano di tirare sera elogiando lo stile di John Elkann e ascoltando Rtl che esalta Bianca Atzei, insieme alle solite battute sul momento in cui uccideranno gli italiani di quel bar. Che del resto nemmeno se ne accorgerebbero, presi come sono a discutere di come Sarri reggerà la pressione del Bernabeu. Budrieri èsempre stato il primo nemico di ogni forma di populismo, ma quando sente frasi copiate pari pari dai giornalisti, del tipo ‘Kondogbia qualità e quantità’, ‘Pioli ha trasmesso tranquillità’ e ‘Visto chi abbiamo sulla sinistra una chance a Dimarco la potevamo anche dare’ getta per terra la Gazzetta spiegazzata e piena di chiazze di più salse scadute che titola ‘Tuono Eder’ e di puro carisma affronta le migliori menti del Champions Pub, gente di spessore che passa le giornate a parlare dei movimenti senza palla di Ocampos ma farebbe aumentare il PIL italiano dal 25% l’anno se soltanto fosse al posto di Padoan. Anche se lui che in nerazzurro ha visto giocare Dondoni e Stevanovic non dovrebbe mettersi sullo stesso piano di chi crede che l’Inter sia stata inventata da Pinamonti.

“Partita contro una delle 15 squadre finte della serie A, ma anche partita che in altri tempi saremmo stati capaci di buttare. In effetti ci siamo andati vicini: se Handanovic non avesse fatto quella paratona su Krunic… Poco da dire, se non che Pioli è arrivato troppo tardi. In questo campionato di merda puoi recuperare punti solo negli scontri diretti: se fra due settimane non battiamo la Roma a San Siro la stagione può già considerarsi finita. Poco da dire su ieri: meglio del solito, come testa, Kondogbia, e molto vivo Eder. La difesa a tre maschera un po’ la scarsezza dei singoli ma nessuno fra Murillo, Medel e Miranda fa partire l’azione in maniera decente. A sinistra la solita girandola: D’Ambrosio non bene, Ansaldi male. Ma non venitemi a parlare del solito terzino sinistro avversario, che da noi farebbe sicuramente bene: Dimarco da noi c’è cresciuto e non è certamente da Inter”.

(Continua. La versione riveduta e corretta di questa puntata sarà pubblicata a giugno 2017 con il nuovo e definitivo libro, che conterrà tutta la storia di ‘Non è da Inter’ a partire dal 2002 e chiuderà l’epopea della rubrica).

Avvertenza per i nuovi lettori: Non è da Inter trae ispirazione dalla realtà, ma non è la realtà. Chi lo ritiene volgare o si ritiene offeso può semplicemente non leggerlo.

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