L’inglese della EF e l’italiano da B1

2 Febbraio 2017 di Indiscreto

L’Uomo Indiscreto parla un inglese madrelingua appreso durante la sua infanzia passata all’estero, nella peggiore delle ipotesi ha studiato nella scuola inglese o americana della sua città. Non stiamo chiaramente parlando di lui, modello irraggiungibile e cosmopolita, da aperitivo a Monte Carlo prima della pizza a Mergellina. Noi della piccola borghesia, terreno di coltura del populismo, invece almeno una volta nella vita siamo stati spediti a fare una vacanza studio della EF o di suoi concorrenti, con risultati modesti anche per nostri limiti personali, perché l’inglese l’abbiamo imparato alla cazzo di cane anche quando ci siamo trovati per mesi in contesti di lavoro senza italiani.

Questa polverosa premessa è solo un pretesto per citare una ricerca effettuata dalla EF stessa (EF Corporate Solutions, la parte della EF che si occupa di formazione aziendale e non di adolescenti svogliati), condotta su 510mila persone testate, appartenenti a 2.078 aziende. Da questa ricerca, resa pubblica qualche settimana fa, risulta che l’Italia è al ventesimo posto nella classifica mondiale della conoscenza dell’inglese in azienda (stiamo quindi parlando di gente inserita nel mondo del lavoro, non di Budrieri o dello spacciatore maghrebino passaportato), con un livello medio B1 del quadro europeo di riferimento. Siccome i livelli, secondo lo standard europeo CEFR, sono 9, da A1 a C2 (C2 è il più elevato), significa che l’italiano medio che lavora è al sesto gradino della scala (di peggio ci sono A1, A2 e A2+).  Al primo posto, ovviamente fra i paesi non anglofoni, i Paesi Bassi, poi Danimarca, Svezia, Norvegia e Finlandia.

L’Italia è dietro nazioni come Germania, Spagna e India (ma l’India non vale, secondo noi) e davanti a Francia, Cina e Russia. Significativo che l’Italia negli ultimi anni sia peggiorata, scendendo dalla 15esima alla 20esima posizione nonostante siano aumentati gli investimenti informazione linguistica (quindi la EF non serve?). Va detto che la tendenza al lieve peggioramento c’è in tutti i grandi paesi europei, situazione davvero strana visto quanto siamo costretti a leggere e parlare in inglese. Da sottolineare che in Italia i dirigenti di più alto livello parlano un inglese peggiore di quelli di livello inferiore: clamoroso che questo avvenga nei media. Potrebbe essere perché, azzardiamo, i top manager sono più anziani, oppure perché per fare carriera è ancora oggi più utile iscriversi a un partito o a una loggia massonica che studiare l’inglese. Lo zio natalizio con il cardigan direbbe che per imparare le lingue bisogna andare sul posto, anche se forse basterebbe studiarle con la stessa dedizione che abbiamo avuto nel seguire Roma-Cesena.

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