Le tre parole che cambiarono il mondo, la soluzione che tutti conoscono

22 Febbraio 2017 di Stefano Olivari

Un insegnante coraggioso dovrebbe far leggere ai suoi ragazzi, già alle medie visto che il testo è di facile comprensione,  Le tre parole che cambiarono il mondo, uno dei più geniali libri del sempre geniale antropologo francese Marc Augé, l’inventore del ‘non luogo’ (concetto citato spesso a caso, come la società liquida di Baumann o le coperture preventive di Adani) ma anche lo scrittore che ha spiegato in maniera ‘scorretta’ sia il villaggio africano sia il centro commerciale europeo.

In questo breve libro, un centinaio di pagine, edito in Italia da Raffaello Cortina, Augé parte da domenica primo aprile 2018, con Papa Francesco in San Pietro sul punto di impartire la solita benedizione urbi et orbi. Tutto sembra correre sui soliti binari, di fronte a una folla un po’ adorante e un po’ distratta, quando ad un certo punto Bergoglio pronuncia le tre fatidiche parole: “Dio non esiste”. Sconcerto fra i fedeli, ma soprattutto fra gli esperti che vivisezionano ogni parola alla ricerca del vero significato della frase del Papa, arrivando ai livelli di cavillosità e giustificazionismo che tutti notiamo quando si deve far digerire al popolo un cambio di rotta. Il Papa da quel momento viene preso in ostaggio dalla gerarchia vaticana che punta su dimissioni alla Ratzinger, con le voci su una malattia subito fatte circolare ad arte.

Il cuore del libro non risiede nel disorientamento dei cattolici, scontato di fronte a una frase così forte, ma nella rabbia degli altri: dagli ortodossi ai protestanti in ogni loro variante, dagli ebrei ai musulmani. Insomma, tutti quelli delle ‘religioni rivelate’ sentono che il Papa ha minato le fondamenta del loro potere sulla libertà di pensiero e di vita degli esseri umani. La scomparsa del cattolicesimo non apre un nuovo mercato, ma sta per distruggere anche il loro. Qui entra in campo l’antropologo, ben consapevole che molti, per non dire quasi tutti, sono affezionati alle proprie catene e che una vita priva di schemi, sia pure fondati su dogmi incomprensibili, incongruenze logiche e metafore contraddittorie, fa spavento. Augé si inventa il movimento Librement, che ha lo scopo di rendendere liberi gli individui, movimento che a posizioni etiche associa una visione scientifica del problema: i ricercatori hanno infatti osservato che le esperienze mistiche iniziano nel momento in cui il lobo parietale superiore si spengono i fasci neuronali. L’idea sarebbe quindi quella di un farmaco che agisca contro questa ‘sospensione’, da far assumere se possibile a tutta l’umanità.

Non spoileriamo il resto del libro, la cui trama è dichiaratamente (primo aprile…) grottesca ma le cui annotazioni hanno grande forza: prima fra tutte quelle sulla distinzione fra moderati e fanatici, all’interno della stessa religione, come se le varie religioni si accorgessero della propria inconsistenza e volessero portare avanti un volto più rassicurante e razionale, che razionale non potrà mai ovviamente essere. A vincere è un’idea: senza dei, non credendo più a una vita ultraterrena, le persone darebbero molta più importanza all’unica vita a disposizione. Non si farebbero saltare in aria per uccidere un nemico che non è un più un nemico, non si autoimporrebbero divieti che limitano la libertà di conoscere, rispetterebbero di più un ambiente che nessuna entità superiore sistemerà mai al posto loro. Non è un libro utopistico, perché in ogni pagina Augé sembra suggerire che la soluzione è nota anche senza fare della scienza un’altra religione (infatti sfotte anche la scienza, non solo nelle parti su Librement), ma che i prigionieri non sappiano cosa farsene della libertà.

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