Vinile, il lato giusto della musica

6 Gennaio 2017 di Paolo Morati

A volte ritornano. Stiamo parlando dei dischi in vinile, che secondo i dati rilasciati dalla britannica Entertainment Retailers Association nel 2016 hanno registrato solo nel Regno Unito un aumento delle vendite del 56,4% per un giro d’affari totale di 65,6 milioni di sterline, 3 milioni di unità vendute con in testa Blackstar di David Bowie. Un dato che riporta indietro la lancetta del mercato al 1991, quando il Compact Disc era ormai il supporto affermato mentre il vinile era sul viale del tramonto in attesa che la rivoluzione del file sharing in formato Mp3 e poi dello streaming non cambiasse decisamente lo scenario discografico. Ecco che proprio lo streaming ha registrato secondo i dati dell’ERA un giro d’affari di 418,5 milioni di sterline (+65,1%), andando probabilmente a intaccare anche il download legale (in diminuzione del 26,8%).

Certamente le tre milioni di copie dei vinili un tempo se le pappavano tranquillamente i tre album più venduti in Italia: oggi un disco d’oro vale 25.000 copie, quando 30 anni fa bisognava venderne almeno dieci volte tanto per aggiudicarselo. Eppure se il CD secondo l’ERA registra un calo di vendite attorno al 13% (tenendo però bene nelle feste natalizie), contro il 3,7% del 2015, il vinile continua la sua rincorsa dal passato al presente con un settore che sta immettendo da qualche anno sia ristampe di catalogo sia nuove uscite, magari in formato particolare, che alimentano l’attenzione sia di ragazzi della nostra generazione, affezionati alle copertine da tenere in mano, al supporto contenuto e al suo suono così concreto, sia di ragazzi della nuova generazione che vogliono ascoltare e non solo udire.

Qualcosa che non poteva appunto che ritornare con il vinile, seppure per ora in numeri comunque piccoli ma interessanti in un mercato lontano dall’epoca d’oro della musica fisica, proprio per quel gusto artistico e di dedizione che il grande supporto permette di assegnare ai singoli brani, scacciando il salto di traccia introdotto dal CD e poi reso quasi inevitabile dalla musica liquida. Non pensiamo di passare per nostalgici se diciamo che chiunque abbia vissuto gli anni Settanta e Ottanta si ricorda perfettamente in che occasione e dove ha acquistato i suoi vinili più importanti, e di come gustava l’apertura del cellophane, l’estrazione della busta e del disco ivi contenuto, e della immissione sul piatto per poi fare attenzione al posizionamento della puntina. Un rito che introduceva la concentrazione di un ascolto totale, immersivo e ripetuto, rigirando la copertina e leggendo i testi, di album anche brevi ma privi di riempitivi (lo abbiamo già detto altre volte, per noi il top sono le 8 tracce, lato A e lato B). Con un costo giusto e inevitabile che ci permetteva di comprare in modo selezionato, e di goderne appieno fino alla consumazione dei rispettivi solchi.

Share this article