L’America è divisa (Yao non è da Inter)

23 Gennaio 2017 di Stefano Olivari

Il giorno dopo Palermo-Inter è un lunedì come tanti altri, per lo meno al Champions Pub. L’insediamento di Trump alla Casa Bianca, la slavina che ha seppellito l’Hotel Rigopiano, la nuova guerra per il controllo delle Generali, il bus degli studenti ungheresi che si è schiantato vicino a Verona sono notiziole, buone giusto per riempire un Tg di provincia con in coda un servizio di anticipazioni su Sanremo (grossa novità: fra le 22 canzoni in gara domina, come tema, l’amore). Tutto ovviamente scompare di fronte all’uno a zero con cui i nerazzurri hanno battuto la squadra di Corini al Barbera sotto la pioggia, dando un senso alla domenica e forse anche alla vita del Gianni, del Walter, del Franco e di Budrieri, che hanno seguito la partita lì al bar sotto casa mentre Paolo-Wang studiava il timing giusto per shortare sulla corona norvegese. Max aveva invitato la Fede a unirsi a loro, sperando chiaramente che in un secondo tempo si sarebbe unita a lui, ma la firma di punta di Nerazzurrecontaccododici.net ha preferito fare il pubblico a Quelli che il calcio, sperando di essere notata da Nicola Savino: la speranza di entrare nel mondo dello spettacolo c’è sempre, ma il giornalismo è un credibile piano B. Così anche oggi, mentre il mondo brucia, nella periferia ovest di Milano il parlare di calcio è l’unica cosa che tenga attaccati alla vita insieme agli sconti 30% del Simply, al video poker, al centro massaggi Tuina, al Nails Paradise, a Diletta Leotta e alla Calcagno che grazie alle schede tarocche di Ping tutti possono apprezzare.

Sono le due del pomeriggio e nessuno è minimamente interessato a eventuali nuovi superstiti della tragedia dell’albergo. Il progetto di Padoan ha fatto sì che alla Tuboplast siano tornati a lavorare una ventina di dipendenti, in attesa della scissione fra la nuova Tuboplast risanata e la bad company in carico allo Stato e poi a MPS. Paolo-Wang ha quindi ripreso a servire a buon ritmo i caffè ristretti di Ping, incazzato perché i vecchi Tong non gli hanno dato il permesso di andare a Davos (il trader italo-cinese ha in ogni caso una liquidità che gli consentirebbe a malapena di arrivare a Lomazzo). La Algoritmic lo sta deludendo, Michael è un erotomane fuori controllo mentre Budrieri, pur brillante, è più legato a un’economia tradizionale che ai mercati globalizzati. Paolo, da sempre studioso dei grafici del palladio, è ovviamente interessato anche al Sudafrica come paese e sta mettendo a punto una strategia di trading sul rand con una leva altissima, 200 (in sostanza se sbaglia un minimo movimento portano via la casa alle future otto generazioni di Wang), mentre i 10.000 euro che gli ha affidato il padre per investirli in Bund tedeschi li ha collocati tutti in una piattaforma per operare sulle opzioni binarie.

José Luis è molto preso da questa sua nuova associazione di portinai somozisti, che a Milano davvero tantissimi, ma non trascura il lavoro: su mandato di Tosoni e Cogodi ha appena spaccato i vetri alle auto di tutti i venti impiegati reintegrati. Mariella è sempre più nelle grazie del Cavalier Brambilla, del quale ieri è stata ospite nella villa di Moltrasio: l’anziano imprenditore, uno degli eroi dell’Italia della ricostruzione (negli anni Quaranta e Cinquanta è stato fra i primi prestanome della ndrangheta al Nord) che tutti rimpiangiamo, le ha mostrato la sua collezione di preservativi, entusiasmandosi nel descriverla (“Sotheby’s mi ha detto che avrebbe una base d’asta di 45 milioni di euro: pensa, ce n’è anche uno in lino, pare appartenuto a Casanova, e il primo in gomma prodotto dalla Goodyear nel 1855”) e le ha fatto tanti complimenti (“Vorrei tanto avere una nipotina come te”), assolutamente senza secondi fini. Zhou detesta profondamente Paolo, lo ritiene privo di una vera cultura industriale: la Milano di Zhou è quella tuttora esistente, ma minoritaria, della produzione e dei grandi progetti, mentre quella di Paolo è invece la Milano degli eventi, della finanza, del fumo, della comunicazione senza qualcosa da comunicare, degli influencer, dei foodblogger che comprano i follower su Instagram. A metà strada fra Paolo e Zhou si collocano i pragmatici Tong, che stamattina hanno acquistato il loro ventesimo bar. Al 90% in nero, come è stato per i precedenti diciannove. Situato in una via un po’ buia del Corvetto, dove si accede soltanto imbroccando sette sensi unici di fila, il Copacabana nei loro piani dovrebbe essere una specie di colonia penale per chi nel loro gruppo non si comporta bene. E la prima candidata alla deportazione è Lifen, sabato picchiata perché il PIL cinese nel 2016 è cresciuto soltanto del 6,8%, peggior risultato degli ultimi 26 anni.

Max è disperato, ma non perché negli ultimi cinque giorni abbia scritto una media di 14 post all’ora: l’unico che non lo abbia fatto vergognare, quello che più si avvicina al giornalismo di denuncia che sognava a scienze della comunicazione, è stato sul rinnovo di Forte fino al 2020 con passaggio, sempre in prestito, dalla Lucchese al Perugia. Certo chi nei grandi portali di informazione la sfanga con una photogallery di Emily Ratajkowski o della fidanzata di Iturbe è mille volte più fortunato di lui, che si trova fra l’incudine delle news di una riga e il martello dei magazine o webmagazine di grande qualità letteraria come Undici, Ultimo Uomo, Minuto 78 e tanti altri che rispondono alle esigenze di un lettore informato e curioso, impegnato nel sociale ma capace anche di divertirsi, micio e macho. L’ultima che Vincenzo ha scoperto si chiama Panenka, che ha attirato l’attenzione dello startupper di Isernia grazie a un articolo, chiaramente con l’Athletic Bilbao (mentre il frequentatore medio del Champions Pub, fascista dentro, si ostina a seguire Real Madrid e Barcellona) come pretesto, intitolato La edad inolvidable de Ramiro Pinilla. Per fortuna Vincenzo e Pier Luca sembrano in partenza per ‘Frisco’, come la chiamano loro, grazie alla dentatura guasta di mezzo Molise che ha consentito al padre di Vincenzo di finanziare il tutto, nella speranza che uno dei tre fondi di venture capital trasformi il figlio nello Zuckerberg italiano. Vincenzo ha fra l’altro pagato 15.000 euro a Pier Luca per l’1% di Sex Delay, anche se la sperimentazione non è ancora finita essendoci qualche difficoltà nel trovare uomini disposti a farsi infilare un sensore nello scroto.

Tutto sarebbe comunque sopportabile se non ci fossero Ridge Bettazzi e quelli come lui, che da due giorni stanno massacrando Allan (anche se la gente non lo sa, perché si leggono solo fra di loro) perché in un’azione di contropiede manovrato del Napoli contro il Milan, per cui questi infelici si sono masturbati, non ha servito Callejon sulla destra. La penna più brillante di Pinarella di Cervia (in italiano era l’unico del paese ad arrivare al 6) ha appena mandato un nuovo pezzo per Hidegkuti, che come al solito tocca a Max correggere. Si tratta di 665.987 righe dall’accattivante titolo ‘Il sogno spezzato di Fausto Silipo’, tutte sul Catanzaro di Gianni Di Marzio che nella stagione 1976-77 retrocesse in serie B. L’espediente letterario è il solito: i resuscitati Michels e Happel sono in vacanza a Soverato e mentre osservano il Turrazzo non possono fare a meno di maledire la convocazione di Jongbloed nella loro Olanda. Passa di lì Elisabetta Gregoraci, insieme a Briatore, e chiede ai due santoni se davvero il Catanzaro di Di Marzio era quel modello di calcio spettacolo che tutti  i calabresi di una certa età ricordano, soprattutto per le due stagioni in serie B. Happel con molta umiltà ammette che il modulo della sua Olanda al Mondiale 1978 era copiato da quel Catanzaro, mentre Michels fa alla Gregoraci una rivelazione: alla vigilia della finale mondiale del 1974 fu contattato dal presidente Ceravolo, che gli chiese di allenare il Catanzaro reduce dall’anonima stagione con Seghedoni e poi Di Bella in panchina. Michels rispose di sì con entusiasmo, perché riteneva esauriti i suoi cicli all’Olanda e al Barcellona, ma poi Di Marzio si liberò dal Brindisi e tutto saltò.

Chiusura con la solita citazione di Senad Gutierrez, che su Explotadores y Explotados di questa settimana ha scritto due pezzi, uno contro Melania Trump che secondo lui sarebbe stata volgare nel fare un regalo a Michelle (c’era già comunque pronto un pezzo analogo nel caso non avesse regalato niente) e l’altro proprio sul Catanzaro 1976-77: “Quando Silipo entrava in campo, il Militare gridava tutto il suo antifascismo e Catanzaro in quei momenti sembrava davvero una piccola Rosario. Ranieri era l’anarchico di sinistra dichiarato, l’eversore del sistema che tutte le grandi del Nord temevano: pur nella differenza di ruolo sono evidenti le sue somiglianze con Caszely o con il Trinche Carlovich. Nella persona di Improta era sintetizzata tutta la dignità della classe operaia, non di un operaismo con aspirazioni piccolo borghesi ma un operaismo attento ai bisogni di tutti i popoli del mondo. E Palanca, poi… Palanca era la risposta della sinistra italiana alla strategia della tensione: fiero e senza mai chinare la testa di fronte all’arroganza delle multinazionali che in quegli anni stavano mangiandosi l’Italia. Sarebbero state fermate qualche anno dopo da Amato, Monti e Letta, ma questa è un’altra storia. Quella che ci piace riguardare riguarda un Catanzaro che Di Marzio schierava in maniera coraggiosa e sbarazzina, valorizzando giocatori totali come Braca e Arbitrio”.

La settimana di Budrieri è stata piuttosto movimentata e la 127 inquinante sequestratagli dallo Stato, soltanto per far vedere ai tedeschi l’impegno italiano nei confronti dell’ambiente, non c’entra. È stata rottamata e compattata, dopo un cazzutissimo decreto d’urgenza cofirmato da Mattarella e Gentiloni, e adesso occupa uno spazio non superiore a un cubo di Rubik in una discarica vicina al Gratosoglio. Una violenza incredibile, nemmeno gli hanno salvato le musicassette smagnetizzate di Don Backy, allegate a Gente, che adesso sono state irrimediabilmente perdute. Mentre scriviamo queste righe Budrieri però ancora non sa della sorte toccata all’auto comprata con tanti sacrifici. Mercoledì pomeriggio infatti era andato al Simply a cercare le sue spinacine AIA con il 30% di sconto e qualche altra occasione, senza fare i conti con la livorosa cattiveria di Obama. Così verso le quattro, mentre stava valutando l’offerta speciale di 20 rotoli di Asciugoni Regina, ha visto avvicinarsi una specie di Steven Seagal ma ancora più inespressivo dell’originale, che lo ha subito puntato: “Mister Budrieri?”. Lui, che da adolescente l’inglese lo ha studiato, ha risposto un pronto “Yes, I do” e subito dopo è svenuto: il suo ultimo pensiero è stato quello di morire senza poter recuperare l’euro messo nel carrello.

La facciamo breve, perché è una storia ai confini della realtà e molte cose non si possono scrivere perché siamo tutti controllati, ma Budrieri si è risvegliato a al Camp Echo di Guantanamo, in una cella senz’altro più ordinata di casa sua. Non che abbia riconosciuto Guantanamo, dove si trovasse glielo ha detto lo Steven Seagal del Simply in un buon italiano: lui tanto per creare empatia ha detto di avere preso la maturità in Italia, a San Demetrio Corone, come Moratti. In buona sostanza la CIA voleva estorcere a Budrieri la confessione che gli hacker russi che operavano nel suo appartamento di Gorino avessero come compito principale quello di truccare le presidenziali americane in favore di Trump. Allo Steven Seagal, vero nome Frank, si è quasi subito unita una donna che sembrava una giornalista del Sky Tg 24 con l’occhialetto per sembrare più professionale: però parlava soltanto inglese, con Budrieri che ha giusto intuito che gli stesse leggendo i suoi diritti. Cioè nessuno. Ogni tanto uno dei due riceveva una telefonata e spariva. E Budrieri ha immaginato, andando vicino al vero, che Obama continuasse a chiedere aggiornamenti. Siccome l’ex tranviere non aveva niente da confessare e in ogni caso non capiva cosa dovesse confessare, verso sera è entrato in scena un nero, più giovane di Frank ma ugualmente cazzuto e anche lui con una buona conoscenza dell’italiano (“Mi sono scopato tua moglie”, la poco amichevole presentazione, ma Budrieri a quel tipo di battute aveva fatto il callo e nemmeno gli davano fastidio, conoscendo l’onestà dell’Erminia nei suoi confronti) grazie a un diploma conseguito a Caserta nella stessa scuola di Buffon (che però lo aveva comprato, mentre Kevin ha frequentato).

Hanno iniziato dandogli da mangiare un hamburger di maiale scaduto da sei anni e pieno di vermi, ma per chi è abituato alla cucina dell’Erminia e di Paolo-Wang l’effetto è stato nullo. L’ex colonna dell’ATM, affamatissima, ha sbranato hamburger e vermi. “Questo è un duro vero” – ha detto Frank – “Siamo stati stupidi noi a prenderlo con le buone. All’SVR li addestrano bene, noi che facciamo le spie ce l’abbiamo scritto in faccia mentre questo ha l’aspetto del vecchio coglione e ci frega come vuole”. Altre telefonate, Obama era nervoso. Forse anche Michelle. Fatto sta che verso mezzanotte Frank e Kevin hanno pronunciato quasi all’unisono, manco fossero i Neri per caso, una parola: “Waterboarding”. Hanno preso Budrieri, lo hanno legato a una panca e hanno alzato la panca dalla parte dove aveva i piedi. Lo hanno bendato e sono entrati nella stanza altri due, che Budrieri non ha visto, che gli hanno tenuto fermi mani e piedi. È iniziata così la tortura, che ha sempre sortito effetti quasi immediati anche sui terroristi più fanatici e disposti alla morte. Ad ogni getto d’acqua Frank, che nella natìa Galveston era iscritto allo Juventus Club Longobucco e che soprattutto aveva studiato attentamente il fascicolo personale di Budrieri, gli urlava cose come ‘Ronaldo con Iuliano aveva simulato’ e ‘Fatti salvare da Guido Rossi’. La donna era anche una specie di psicologa e non si capacitava di come il waterboarding non avesse effetti sulla psiche di Budrieri: non poteva ovviamente sapere che Budrieri non ha una psiche. Di sicuro nessun terrorista islamico aveva mai gridato a squarciagola che bisognava credere di più in Civeriati. Frank e Kevin, sempre più ammirati, continuavano a chiedergli dei russi e di quale ruolo avesse lui in SVR o FSB, ma Budrieri continuava a piangere: “Non capisco cosa cazzo dite! Lasciatemi tornare a casa, c’è un errore. Se continuate vado a denunciare tutto alla Vita in diretta”. I particolari pulp non ci piacciono, diciamo solo che Budrieri è stato l’unico a resistere a un metodo di tortura usato fin dai tempi dell’Inquisizione.

Nella notte fra giovedì e venerdì Frank e Kevin hanno provato anche buttarlo nella cella frigorifera, ma lì c’erano comunque due gradi in più rispetto a quelli che al mattino Budrieri trova nel suo cesso di via Novara (la signora Minghetti dice di avere parlato con l’amministratore, ma la situazione non migliora). L’hanno poi tolto dalla cella frigorifera, buttandolo in una di quelle normali. “Divertiti con l’Africa”, gli ha urlato Frank senza sapere che in Africa già Budrieri ci vive. I giornali pieni di marchette, con il loro presunto ‘Modello Milano dovuto all’entusiasmo del dopo Expo’, vengono lasciati in edicola dai lettori ma ancora riescono a inculare un agente della CIA. Venerdì il primo atto da presidente di Trump è stato quello di annullare tutti gli ultimi ordini speciali di Obama delle ultime due settimane e così si può dire, anche se Trump non lo conosce personalmente, che il nuovo presidente degli Stati Uniti abbia graziato Budrieri.

Frank e Kevin, quasi sentendosi in colpa, si sono scusati: quello che sembrava un vecchio coglione forse era effettivamente un vecchio coglione, ma più probabilmente si trattava della più preparata delle spie russe, dell’uomo che alla Lubianka usano per le missioni apparentemente impossibili. In entrambi i casi meritava rispetto. Se non fossimo stati in una parte di Cuba di proprietà americana potremmo dire che la vicenda si è conclusa all’italiana, con Kevin, milanista da sempre, a chiedere a Budrieri se davvero il 3 marzo ci sarà il closing con la Sino Europe, e Frank che pur essendo juventino confessava la sua ammirazione da sportivo vero, come tutti gli americani (almeno così sostengono gli esperti di America mai usciti da Cornaredo o da Rende), per Ciocci e Mandelli. Solamente quando ha capito che la situazione si stava risolvendo Budrieri ha osato fare una domanda a Frank e Kevin: “Prima mi rapite e quasi mi ammazzate, poi mi chiedete scusa e mi parlate di calcio come se a me interessasse soltanto il calcio. Ma che sistema è?”. Frank ha guardato Kevin, un tipo per il quale se al Champions Pub seguissero la pallacanestro troverebbero qualche somiglianza con Draymond Green. Kevin ha ridacchiato, poi ha dato a Budrieri la risposta definitiva: “Non hai letto Zucconi su Repubblica? Non segui il Tg3? L’America è divisa”.

L’ultimo ricordo che Budrieri ha di Guantanamo è quello di altri prigionieri, con facce arabe o giù di lì, che gli facevano segno che lo avrebbero sgozzato. Poi il buio, con risveglio su una panchina della Malpensa e in mano un biglietto per il trenino di Cadorna. Uno fra Frank e Kevin gli aveva fottuto il piumino della Legea, che in America non si trova, e lui si trovava così in pieno gennaio nel varesotto con una giacca mimetica americana del tipo leggero. È arrivato a casa verso le sei del pomeriggio, trovando soltanto D.J. John che si stava preparando per una festa per figli di ex paninari: il gioco prevedeva che lui dovesse truccarsi da barbone e i bambini dargli fuoco, gridandogli ‘Pezzente di merda’. L’ormai attempato deejay tarantino gli ha chiesto dove fosse finito negli ultimi tre giorni: l’Erminia in gennaio aveva già ritirato 1.500 euro dal suo Bancomat e stava cercando quello di Budrieri. “Ma non vi sono mancato? Mi ha cercato qualcuno?”, Budrieri si è pentito di queste domande mentre le stava facendo. “No, non ti ha cercato nessuno. Perché?”. Avrebbe avuto bisogno di un abbraccio della compagna della sua vita, ma D.J. John lo ha informato che era andata con la signora Minghetti, Yannick e un gruppo di bilaureati senegalesi a manifestare sotto il consolato americano con cartelli del genere ‘Trump, giù le mani dal corpo delle donne’. Budrieri ha guardato il suo trilocale ormai trasformato in un porcile, pieno di riviste strappate della Cairo Editore. Avrebbe anche fatto una doccia, se nel cesso non ci fosse stata una temperatura di meno 42 gradi. Così è andato al Champions Pub a vedersi Milan-Napoli con gli amici veri, nell’intervallo poi ha raccontato al Gianni gli eventi degli ultimi giorni senza che il Gianni staccasse gli occhi dall’iPhone, limitandosi a frasi di circostanza: “Grande Trump, ma soprattutto grandissime fighe Melania e Ivanka. Altro che Michelle, molto sopravvalutata: negre così le trovo anche a Pero, vicino all’inceneritore”.

Mentre Lifen spiega agli impauriti impiegati superstiti della Tuboplast che gli scontrini non saranno emessi per solidarietà con i terremotati (i soldi della carta risparmiata saranno inviati a un’associazione che si occupa degli aiuti, il cui tesoriere è Ping), Budrieri cerca di leggere la Gazzetta sul bancone della Sammontana ascoltando in sottofondo il Gianni, il Walter e il Franco (felice perché oggi i fratelli forestali juventini sono da loro imprecisati e imprecisabili parenti, residenti a Corsico, per un pranzo a base di stocco di Mammola) analizzare la vittoria di Palermo, mentre Ibrahim (che trova volgari i vestiti di Melania Trump, non come quelli di Michelle), Nabil (preoccupato perché Trump è freddo nei confronti dell’ONU) e gli altri spacciatori maghrebini dal passaporto variabile cercano di tirare sera facendo battute sul momento in cui sgozzeranno tutti gli italiani di quel bar, che del resto nemmeno se ne accorgerebbero, presi come sono a valutare lo stato di forma di Niang. Budrieri è lontano dagli estremismi, gli piace definirsi un socialista turatiano (“Non può esserci socialismo senza libertà” è infatti il suo mantra politico), ma quando sente frasi copiate pari pari dai giornalisti, del tipo ‘Pioli è uno concreto’, ‘Gagliardini sta crescendo’ e ‘Dovremmo tenerci i nostri giovani, come Gnoukouri e Yao’ getta per terra la Gazzetta spiegazzata e piena di macchie di maionese che titola ‘Inter 6 da Champions’, e soltanto con l’arma del suo carisma affronta le migliori menti del Champions Pub, gente di raro acume che passa le giornate a parlare della posizione di Mandzukic ma che ristrutturerebbe la Protezione Civile entro Juventus-Milan di Coppa Italia, se soltanto avesse pieni poteri (va detto che uno qualunque dei maghrebini sarebbe meglio di Errani). Anche se lui che in nerazzurro ha visto giocare Vonlanthen e Slavkovski non dovrebbe mettersi sullo stesso piano di chi crede che l’Inter sia stata inventata da Steven Zhang.

“Il giudizio sulla partita deve partire dall’avversario modestissimo, che in casa ha quasi sempre perso contro chiunque, e con l’allenatore in bilico. Detto questo, fra pioggia e interventi duri è stata la classica partita che Stramaccioni, Mazzarri o l’ultimo Mancini avrebbero pareggiato o peggio. Handanovic non ha mai corso un vero rischio, né su situazioni né su tiri in porta veri e propri, e nei pochi minuti dieci contro undici tutti hanno dato qualcosa in più. Inutile Banega, in una partita in cui oltretutto non ha sbagliato tante giocate individuali: è che c’entra poco con il resto della squadra, non si inserisce mai né potrebbe farlo perché le sue caratteristiche sono altre. Pioli non è un creativo, se l’ha messo titolare anche contro l’evidenza magari sarà stato per venderlo meglio adesso: speriamo di non vederlo più. Con João Mario dietro di lui, Icardi è meno solo e chiunque ha un’opportunità in più per il passaggio: non stiamo parlando di un genio del calcio, ma di uno che si muove. Ansaldi due falli uno più stupido dell’altro, ma fare a meno di lui non è una tragedia. Darei qualche altra opportunità a Santon, tanto non mi sembra che per lui ci sia la fila. Non mi metterei a fare acquisti alla cazzo in gennaio, in stile Mancini, piuttosto meglio guardare al futuro. A voi piacciono le rose di 200 giocatori, ma se Gnoukouri e Yao vanno davvero in prestito al Palermo sarà un bene per noi e per loro, che per quattro mesi potrebbero giocare in una squadra già retrocessa e quindi senza pressione. Su Gnoukouri mi sono già espresso, mentre un difensore di 21 anni e con quel fisico ha ancora qualche stagione per migliorare: di sicuro adesso come adesso Yao non è da Inter”.

(Continua. La versione riveduta e corretta di questa puntata, con tutti i personaggi, sarà pubblicata a fine maggio 2017 con il nuovo libro).

NonèdaInter (Copertina eBook)‘Non è da Inter – Alla periferia della vita’ contiene le puntate pubblicate fino al giugno 2015 ed è disponibile per Kindle di AmazoniPad-iPhone-Mac , ma anche per tutti i gli altri tipi di eReader attraverso la piattaforma di Bookrepublic. Prodotto da Indiscreto, ma giusto perché non lo abbiamo voluto dare a Mondadori e Feltrinelli, costa 4,99 euro. Il cialtronismo della cifra non è nostro, in periferia sappiamo benissimo che si tratta di 5 euro, ma dei poteri forti dell’e-commerce che pretendono che un prezzo termini in questo modo. 

Avvertenza per i nuovi lettori: Non è da Inter trae ispirazione dalla realtà, ma non è la realtà. Chi lo ritiene volgare o si ritiene offeso può semplicemente non leggerlo. 

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