La deflazione e gli italiani degli anni Cinquanta

5 Gennaio 2017 di Stefano Olivari

Qui al bar dell’economia si è ieri discusso molto di deflazione, certificata dall’ISTAT per il 2016 italiano: un meno 0,1% che è stato subito collegato al precedente segno meno, datato 1959 (meno 0,4%, per l’esattezza). Il nostro amico Paolo-Wang, un master alla Paolo Sarpi University (con tesi dal titolo ‘Pagare e incassare in nero, vivere in bianco’), sostiene che l’allarmismo sia ingiustificato e che l’Italia del decennio successivo al 1959, quella del boom, lo dimostri. Nel suo mondo di cuspidi, candele e inversioni la tesi può anche stare in piedi, in teoria.

L’amico pessimista Michael, di professione stalker, dice invece che tutti gli altri indicatori economici del 1959 erano strutturalmente diversi, a partire dalla crescita del PIL (quasi il 7%, roba da Cina di oggi, mentre l’Italia di Renzi ha segnato un più 0,9) in termini reali. Noi Zelig, che diamo ragione sempre all’ultimo che sentiamo, tendiamo più verso Michael: di per sé una stagnazione o diminuzione del livello generale dei prezzi non sarebbe una sciagura, se questa diminuzione fosse determinata da un aumento monstre della produttività (come fu nei nostri Cinquanta) e quindi con prezzi abbattuti dall’aumento dell’offerta. Il meno 0,1 attuale è invece figlio di altri fattori, tutti negativi: sfiducia, precarietà, disoccupazione, soprattutto rinvio di decisioni di acquisto.

Un direttore di filiale della SuperMegaBanca, zona Milano Sud, ha avuto dai vertici l’ordine di concedere mutui in maniera indiscriminata anche a gente priva delle garanzie reddituali e patrimoniali più modeste. E come lui tanti altri dirigenti bancari operativi sono stritolati dall’esigenza di ‘fare la banca’ con i tassi così bassi, al di là del proporre alla clientela mille cambiamenti per lucrare sulle commissioni. Stesso discorso per le aziende, non necessariamente le geniali start-up da bimbiminkia: chi ha voglia di fare oggi trova in banca più ricettività (non tanta, ma di più sì) rispetto anche soltanto a cinque anni fa. Prima di rifugiarsi nel passato, cosa che senz’altro si può fare (Arezzo ci dava economisti come Fanfani, oggi come papà Boschi), bisogna anche scrivere che mancano italiani con spirito di iniziativa e di adattamento. Nella media, ovviamente, non ci riferiamo all’amico del cugggino del cognato che dopo aver fatto il cameriere a Londra ha insegnato al MIT e adesso produce droni. Le banche, cattive per definizione ma anche necessarie per il funzionamento dell’economia, non sanno più a chi prestare soldi. In questo quadro esultano solo i pensionati più ottusi, le loro mele golden costano meno e possono così regalare 50 euro al nipote 35enne.

Share this article