Fedeli agli insegnanti (del Sud)

11 Gennaio 2017 di Biro

La scuola è un tema sempre molto amato e discusso, anche su Indiscreto, non fosse altro perché tutti ai loro tempi sono andati a scuola (non io, ma ero esentato in quanto gatto). Questo al di là della situazione dei loro figli nel presente, comunque peggiore di quella dei genitori. Subito la notizia, letta nei giorni scorsi: nell’anno scolastico in corso i maestri e i professori che hanno cambiato cattedra sono stati oltre 250mila. Secondo il dossier pubblicato da Tuttoscuola il 78% dei docenti che hanno ottenuto il trasferimento è nato nel Sud (che nell’analisi del sito comprende anche la Sardegna). Non significa che siano tutti trasferimenti da Nord verso Sud, ma la percentuale fa comunque impressione. Dato da incrociare a quello strettamente demografico: negli ultimi vent’anni le scuole del Sud hanno perso il 14% degli studenti mentre quelle del Centro-Nord (Tuttoscuola suggerisce che dipenda anche dalla maggiore presenza di immigrati) hanno guadagnato il 20. È quindi evidente che qualsiasi discussione su buona (o cattiva) scuola, algoritmi, deportazioni, ministri con lauree tarocche, riforme, malattie immaginarie, part time, vacanze, eccetera, scompaia di fronte a studenti che si trovano senza insegnanti e insegnanti che non hanno studenti: insomma, mancano proprio i presupposti umani per fare scuola. Non può matematicamente esistere, nell’Italia di oggi, una coerenza geografica fra chi intraprende la carriera di professore e chi quella di studente e la situazione non ha ancora causato rivolte di piazza, al Nord, perché si è ormai abituati a classi monstre e spesso si ha la fortuna di trovare supplenti più preparati e motivati dei titolari. Secondo noi ci sta tutto, al di là del liberismo e della flessibilità da scrivania, che un quarantenne con famiglia non abbia tutto questo desiderio di spostarsi a mille chilometri da casa (a me viene l’ansia appena vedo il trasportino). Ma il punto è che si può fare altro nella vita, non esiste soltanto la scuola e non è che sia obbligatorio fare lo stesso lavoro tutta la vita: soprattutto quando questo lavoro non è una vocazione, ma una fuga dalla disoccupazione. La vera riforma, che proprio perché vera scatenerebbe la rivoluzione, sarebbe quindi fare i concorsi su base regionale o addirittura provinciale, al Nord come al Sud. Così nessun vincitore sarebbe costretto ad allontanarsi da casa, a meno che non lo desideri. Per il momento si continua ad andare avanti a toppe, visto che la Fedeli da brava ex sindacalista ha preferito scaricare il problema sulla collettività: proprio a fine dicembre, infatti, è stata raggiunta fra il ministro dell’Istruzione e i sindacati l’intesa che di fatto depotenzia uno dei provvedimenti più intelligenti della Buona Scuola renziana, cioè quello dei minimo tre anni di permanenza prima di poter chiedere un avvicinamento. Almeno per quest’anno, poi si vedrà. In pratica, se non abbiamo capito male, un accordo sindacale ha superato una legge dello Stato. Complimenti alla Fedeli, merita un diploma (ad honorem).

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