La Pro Patria di Mastropasqua

26 Novembre 2016 di Oscar Eleni

Oscar Eleni dall’Osteria del treno nella zona milanese della stazione centrale. Ospite felice dell’atletica come avevamo imparato ad amarla in Gazzetta sotto la guida di Alfredo Berra, convitato con tanti sassolini nelle scarpe pensando a quello che è oggi, uno dei tantissimi che sentivano l’obbligo di applaudire da quel regno magico del cibo e del liberty gli ottant’anni di Beppe Mastropasqua, dirigente sportivo come non se ne trovano più. Anima, mente, energia della Pro Patria che ha fatto storia e, fortunatamente, continua a farla in un mondo dove devi persino litigare per avere una pista decente all’Arena, per poterti allenare al XXV Aprile.

Raduno per credenti che hanno vissuto l’epopea in blu, le Grandi Notturne, gli anni dei trionfi, di squadra, dei campioni che Mastro ingaggiava parlando al loro cuore, ma senza mai dimenticare che dopo lo sport ci sarebbe stata la vita e per questo non li voleva soltanto bravi sul campo, ma cercava anche di trovare un lavoro per loro, una strada che potesse conciliarsi con il grande sport. Una sala piena e abbiamo camminato seguendo la commozione sincera di Corrado Tani, l’uomo della segreteria a tutte le ore, con Patelli, velocista fedele al rito e al mito, campione in pista e negli uffici, per la Beneamata che ha fatto la storia dello sport a Milano e in Italia. Non c’erano tutti i figliocci di Mastro che ha compiuto 80 anni, anche se i vecchi sembravamo soprattutto noi che avremmo dovuto imparare da un gigante di bassa statura che ha visto il sole, frequentato la migliore gioventù e non si è piegato neppure quando la malvagità lo ha derubato di quasi tutto.

Per noi la sua casa in piazza Giovane Italia, dove la vera filosofa del gruppo era la sua meravigliosa madre, per quasi tutti quelli che riuscirono a cambiare l’atletica con il Rinnovamento che poi portò Nebiolo alla presidenza, quella era la casa degli spiriti nobili. Mastro e la sua elettricità, la voglia di esplorare, dopo Malnati, per fare della Pro Patria qualcosa di speciale e nelle tappe evolutive come ricordava Giorgio Rondelli, uno dei sui figliocci più difficili da allevare, perché il talento era ribelle anche in pista o sul campo di calcio, più facili da accompagnare nelle grandi avventure come allenatore. Uno che ancora oggi quando pensa che l’atletica dovrebbe ripartire da zero (cari federali, perché non chiedete a lui un programma per rinnovare sul serio?) non si chiama fuori, sognando di poter lavorare ancora in maniera positiva. Il Giorgio alla Venini, oltre mastro Venini, che ha fatto davvero tanto e non sarà ricordato soltanto per gli ori olimpici e mondiali del ragionier Cova, il brianzolo che quando aveva la maglia gialla e non il blu della real casa costrinse Mastropasqua ad arrotare la sua errre proverbiale pur di averlo in squadra, per le imprese di Panetta trovato al Sud, per aver partecipato alla costruzione del primo gruppo dove c’era un capo tecnico, Cacchi, dove crescevano eccellenti allenatori e si miglioravano atleti stupendi.

C’era magia nella sala quando sul palco salivano i protagonisti delle varie epoche, da Siddi ad Eddy Ottoz, da Simionato a Preatoni , da Fontanella a Erba che cantò una sola estate da primatista e campione mondiale dei giovani, dal caro nemico Stefano Mei poi trovato a fine corsa proprio in Pro Patria, da Malinverni al geniale Zuliani che ancora oggi ci dimostra come la testa, oltre al cuore, possa creare campioni. Mancava un po’ di gente, ma la festa è andata bene lo stesso, aperta dalla lettera commovente di Roberto Fabbricini, l’anima di questo CONI in stile Malagò, impreziosita dai ricordi come quelli di Rudy Tavana che oggi è l’uomo medicina nella casa del Milan dove lavora da tantissimo tempo, dopo l’atletica, lo sci di fondo nell’era Vanoi.

Regia di Rondelli e della moglie Monica, una grande e straordinaria famiglia che ha ripubblicato il giornaletto Coach, nel ricordo del maestro Ferrario, per gli ottant’anni del presidente più amato della società che fu la prima ad avere anche uno sponsor grazie a Malnati e alla San Pellegrino. Maestro di cerimonie il Castelli che con il Cus ha ridato vita al club, come era già accaduto in passato quando lo sposalizio fra l’organizzazione universitaria e un club storico aveva permesso di volare e sognare, correre e saltare, lanciando bene come succede anche oggi direbbe Cocchetti che ha una pesista discobola di talento. Dei rinnovatori c’erano soltanto Di Michele e Luciano Barra, l’uomo che non fece quasi mai straripare il fiume Nebiolo, un dirigente di altissima qualità che ha voluto festeggiare l’amico sfidando il maltempo per il viaggio dal suo eremo, il famoso Rattoppo, nel senese.

Certo anche gli dei hanno aiutato. Dopo giorni di pioggia Milano ha rivisto almeno il sole per la felicità di Francesco Ferrari, il presidente di oggi, allevato bene nella nobil casa dove alla pipa del pres contrapponeva i suoi mai abbandonati toscani antichi, scrittore di successo con libri come “L’assassino non è il maggiordomo”, che gli ha fatto vincere il premio Cinque Terre e il città di Sarzana, esploratore di storie nelle Apuane. Premi che meriterebbe anche Carlo Santi arrivato da Roma con in regalo l’edizione 2017 dell’annuario che cura da anni per la Fidal, o il Bongiovanni che scritto una bella poesia per il Mastropasqua che sapeva essere dolcemente ruvido, ma sempre leale. Con tutti. Come dice Ferrari, rubando a Calamandrei, certe feste sono come la libertà e l’aria di cui ti accorgi quando vengono a mancare.

Auguri caro Beppe Mastropasqua, questa atletica malata avrebbe davvero ancora tanto bisogno di un dirigente che sapeva appassionarsi e non accarezzava soltanto i campioni, voleva bene a tutti, e sognava per tutti una vita alla grande, anche dopo lo sport.

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