Un voto al giornalista di sinistra

14 Novembre 2016 di Stefano Olivari

Chi parla di destra e di sinistra odora (non vogliamo dire ‘puzza’, né tanto meno ‘profuma’) indubbiamente di Novecento. Non c’era bisogno di Trump, eletto soprattutto ‘contro’ (contro Hillary Clinton, contro le élite finanziarie e culturali, addirittura contro il suo partito), per ufficializzare che nei paesi democratici le aggregazioni oggi avvengono soprattutto intorno a temi trasversali e a figure di sintesi, con quel che rimane dei partiti tradizionali ridotti a contenitori senza contenuto o, peggio ancora, con troppi contenuti. Una politica senza schemi, difficile da interpretare persino per i politici di professione e quindi figuriamoci per i giornalisti.

Che però sbagliano anche secondo i vecchi schemi, volendo credere alle ricerche citate in questo articolo di lavoce.info da noi letto fuori tempo massimo. In pratica sia a livello internazionale sia italiano la distribuzione ideologica dei giornalisti è molto più a sinistra rispetto a quella della popolazione ed in particolare rispetto a quella dei lettori non assidui. Il dato interessante di queste indagini (che secondo noi si basano su un presupposto antico, ripetiamo, ma le domande sono le stesse per giornalisti e lettori) è però che i giornalisti sono mediamente schierati più a sinistra anche rispetto ai lettori forti e cioè in sostanza al loro pubblico.

Non parliamo di giornali e televisioni in generale, con bandiere spesso identificabili, ma dei giornalisti che ci lavorano. Fenomeno che gli USA ha proporzioni maggiori che in Italia, dove comunque molti lettori di normalissimi Corriere della Sera o Stampa, così come molti spettatori del Tg1 o di SkyTg24, avvertono una chiara corrente di antipatia e di ‘maestrinismo’ dei giornalisti nei loro confronti, venendo in certi casi portati a votare secondo la logica del vaffanculo (cit. Michael Moore) nei confronti di quello che viene percepito, a torto o a ragione, come il candidato del sistema.

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