Italia sopravvalutata ma non da noi (intervista a Danilo Gallinari)

2 Settembre 2016 di Stefano Olivari

La pallacanestro italiana non ha ancora superato la delusione per la mancata partecipazione olimpica, ma lo sport obbliga sempre a ripartire e Danilo Gallinari ha tanta voglia di farlo. Intanto in attesa di tornare al lavoro con i Denver Nuggets (il 26 di questo mese) si allena da solo e gira l’Italia in omaggio alla NBA e ai suoi sponsor: fra questi Ubi Banca, che per un anno avrà i suoi diritti di immagine per l’Italia e che ha organizzato una conferenza stampa per presentare le sue nuove carte di credito, che potranno essere personalizzate con i marchi delle 30 squadra NBA (che ovviamente è stata strapagata per il disturbo, così come il miglior giocatore italiano). Tante le domande e molte le considerazioni interessanti di un Gallinari che a 28 anni gode di stima quasi unanime e ha già un’età in cui ci si può guardare indietro. Ecco, guardandosi indietro vede zero trofei con le squadre e zero medaglie con la Nazionale: i soldi e lo status sono molto ma non tutto, per questo la seconda parte della sua carriera potrebbe riservare sorprese nella NBA e poi forse anche un clamoroso ritorno in Italia.

La solita domanda, che però non ha ancora trovato risposte: Danilo, cosa è mancato all’Italia nel preolimpico di Torino?

Sono mancate tante cose, nei singoli a partire da me e nella squadra. Dovrebbe essere il passato, ma ancora penso all’occasione buttata via di fronte a 15mila persone, in una situazione simile non ci troveremo più. Poi la Croazia ha fatto la sua parte, anche se non mi è piaciuto il modo in cui Petrovic ha fatto pressione sugli arbitri prima e durante la partita. In particolare su di uno, quello che mi ha fischiato contro 4 dei 5 falli. È una considerazione e non una scusa, perché una partita così avremmo dovuto comunque vincerla.

Sei il giocatore più forte di una delle generazioni con maggiore talento nella storia della nostra pallacanestro. Come mai, con allenatori diversi, non siete mai arrivati nelle fasi decisive di un grande torneo?

La risposta è che non siamo così forti come qualcuno dice o ha detto, i risultati degli ultimi anni sono evidenti. Credo che il nostro livello sia stato sopravvalutato, non certo da noi che vediamo le cose dal campo, e quindi veniamo giudicati con il metro dei grandi favoriti che perdono sempre. Prendiamo il quarto di finale dell’Europeo dell’anno scorso contro la Lituania: ecco, secondo me il livello dei singoli italiani è paragonabile a quello lituano, si può batterli o perdere per una questione di dettagli ma non è che, per come la vedo io, siamo meglio della Lituania. E passando il turno ci saremmo trovati a confronto con squadre molto più forti di noi come Serbia e Spagna. Non siamo insomma la squadra più forte d’Europa che poi delude, ma una squadra che in Europa è lontana dal livello delle prime e che purtroppo non riesce ad arrivargli vicino.

Credi che Messina rimarrà commissario tecnico?

Spero di sì, ma non spetta certo a me decidere.

Guardando il torneo olimpico di Rio in televisione hai avuto la sensazione che l’America si stia di nuovo allontanando da questa Europa?

Direi di sì. La NBA si è molto internazionalizzata, ma le differenze fra gli USA e gli altri movimenti sono rimaste quelle di tanti anni fa. E non dimentichiamo che avevano mandato la seconda squadra, per non dire la terza.

Quale aspetto della NBA importeresti nella pallacanestro italiana ed europea?

A livello teorico la prima cosa che mi viene in mente è che vorrei il salary cap anche da noi. A livello pratico è difficile: come si fa ad imporre ad Avellino di avere il budget di Milano?

Come giudichi la notizia NBA dell’estate, cioè il passaggio di Kevin Durant ai Warriors?

Con questi superteam per chi chi gioca nelle altre squadre è sempre più difficile. Personalmente nei panni di Durant sarei rimasto a Oklahoma City, una squadra che è stata ad un niente dall’eliminare proprio i Warriors. In ogni caso la NBA non è mai scontata: vedo decisamente più facile lo scudetto della Juventus rispetto al titolo di Golden State.

Cosa contribuisce maggiormente allo stipendio di un giocatore NBA?

Sono fondamentali sia le statistiche sia il ruolo all’interno delle singole squadre.

Dopo dieci stagioni Bargnani è tornato a giocare in Europa, cosa ne pensi?

Scelta giusta, perché è andato in una squadra come il Baskonia che punta a vincere in Spagna e fuori.

Nella NBA siete rimasti tu e Belinelli. E Gentile quando arriverà? Fra i più giovani vedi qualcuno con possibilità?

Houston non ha molto aiutato Alessandro nel suo percorso verso la NBA, non posso dire di più. Io so che lui voleva provarci davvero, ma adesso deve pensare a una grande stagione a Milano per poi vedere l’anno prossimo: penso che per lui nella NBA le porte saranno sempre aperte. Quanto agli italiani più giovani, non li conosco così bene da poter fare previsioni: oggi come oggi direi nessuno, ma domani chissà.

A proposito, quando tornerai a giocare in Italia?

Ho sempre detto che l’Olimpia è l’unica squadra dove giocherei, nel caso decidessi di tornare in Italia, e lo ribadisco. Perché ci ho giocato e perché ne sono tifoso. Di sicuro non tornerei per i soldi o da vecchio, per un’operazione nostalgia. Vedremo.

Come vedi l”Armani di quest’anno?

Bene, i trofei italiani si possono vincere tutti e si può anche fare strada in Eurolega.

E il tuo Milan?

È finita un’epoca che ci ha dato tante soddisfazioni e che doveva finire, ma non ho ancora capito chi lo sta comprando e se questi cinesi esistano.

Finirai in un superteam NBA, lottando per il titolo, o rimarrai a Denver?

La scorsa stagione, prima dell’infortunio, c’erano diverse possibilità concrete ma non ho voluto cambiare squadra a metà anno. L’obbiettivo è vincere qualcosa a Denver, che realisticamente significa fare bene in stagione regolare e arrivare ai playoff. La squadra di quest’anno può senz’altro farcela.

Sei contento della tua carriera NBA, arrivato a 28 anni?

All’inizio non è facile, perché di base nei confronti dei giocatori europei non c’è rispetto. Ma se tieni duro e vali ti guadagni quello dei compagni di squadra, poi quello degli avversari e infine quello degli altri addetti ai lavori. Per un italiano farcela è più difficile, ma proprio per questo la soddisfazione è più grande. Sì, sono contento anche se posso fare meglio.

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