Il rumore non fa gol, unicità di Facchetti

21 Settembre 2016 di Stefano Olivari

Soltanto Giacinto Facchetti poteva farci entrare nel mondo della graphic novel, dal quale ci tengono lontani i nostri pregiudizi anti-intellettualistici. Magari infondati, si tratta pur sempre di pregiudizi, ma fortissimi in chi in vita sua non ha perso un numero di Tex o Alan Ford. Soltanto Facchetti, dicevamo, perché già Meazza non sarebbe stato abbastanza. In Giacinto Facchetti – Il rumore non fa gol, scritto da Paolo Maggioni, sceneggiato da Davide Barzi e disegnato da Davide Castelluccio (editore Becco Giallo), che abbiamo appena finito di leggere, c’è l’intelligenza di non proporre in maniera wikipedistica la storia di una carriera che conoscono tutti, puntando sul significato che Facchetti ha avuto per generazioni di interisti (nel libro ce ne sono tre) e non solo.

Dall’esordio in serie A con Helenio Herrera fino al ritiro, avvenuto nel 1978 (con licenza poetica gli autori lo collocano nel 1980, forse per legarlo alla negatività portata dal calcioscommesse), Facchetti è stato un giocatore molto diverso anche dagli altri campioni interisti e non solo perché in rapporto al suo ruolo fosse il più bravo di tutti. La diversità di Facchetti, che nel libro viene tratteggiata bene pur cadendo nell’effetto santino, risiedeva nell’avere poco in comune con la furbizia, non necessariamente illegale, del mondo del calcio. Questo non significa che fosse stupido, come con lui ancora in vita diceva qualche addetto ai lavori invidioso, né tanto meno un perdente vista la leadership che esercitava sui compagni anche in Nazionale, ma soltanto che si staccava dalla massa di chi tirava a campare avendo un’idea del mondo e del calcio molto alta, forse persino troppo.

Ma venendo al libro, è interessante l’espediente del giornalista immaginario (elemento di realtà è che sia figlio di giornalista), interessato soltanto ai valori dello sport e non alle polemiche (ma quale lettore sarebbe interessato a pipponi sull’etica dello sport?) attraverso il quale i decenni di Facchetti vengono filtrati, in un’Italia che cambia più velocemente di quanto cambi Facchetti. Parte fumettistica promossa a pieni voti, capace di commuovere almeno chi è interista (e non è poco), mentre sa di già letta la parte di testo puro, fatta eccezione per l’intervista a Materazzi (improbabile ma reale il suo legame con Facchetti). Nelle sue parti extracalcistiche, tipo quella sui ‘giusti’, il libro ha la patina di una certa sinistra morattiana di cui ci eravamo per fortuna dimenticati, ma nonostante questo rimane un’operazione valida e fa sorgere una domanda: perché non c’è mai stato un fumetto sportivo italiano che abbia fatto storia? Se ancora ci ricordiamo il Dick Dinamite del Guerin Sportivo e il Mister Kappa dell’Intrepido, considerando hors categorie i vari Centravanti e Gol della situazione che avevano altro target (e altro utilizzo), significa che un tentativo vero non è mai stato fatto. Parliamo di fumetto popolare, almeno a livello manga. La graphic novel è per sua natura one shot, mentre a noi tossici piace la serializzazione.

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