Tanto non legge più nessuno

19 Settembre 2016 di Oscar Eleni

Oscar Eleni da una stazione dell’ignoranza, portando fiori per i reduci dalle Paralimpiadi di Rio. Giganti. Quelli che hanno portato medaglie, ma anche tutti gli altri. Sì, certo, per Beatrice Vio, Zanardi, la Caironi, Assunta Legnante qualche brivido in più, ma da Morlacchi in poi è stato un brivido unico. Disabile sarà lei che non vede, che porta i bambini a scuola con l’automobile, che non si ribella ad una scuola senza sport, che manda i “ragazzi” nei centri a pagamento e invece avrebbe il diritto di chiedere al suo Stato di fare qualcosa per tutti. Storie vecchie, ma poi quando arrivano certi eventi ti tornano in mente. Ce lo raccontava Lorenzo Sani, prima che gli tirassimo qualche pietra per lo scarso impegno nella scrittura, nel darci qualcosa di bello come “Vale tutto”, quando parlava della festa di San Lazzaro nel nome di Willie il re, sport per tutti, mischiando storie, passioni, varie abilità, una festa che dovrebbe indicare una strada a chi sta combattendo, ma è possibile, per convincere i concittadini a credere nel progetto olimpico per Roma 2024 che non può essere fermato soltanto perché in troppi sembrano sicuri che vinceranno i truffatori, le cosche organizzate, una sensazione d’impotenza che ha fatto diventare personaggi soltanto i cattivi. Nel mondo. Non soltanto in Italia. Eh no.

Certo ci manca la passione e la voglia di battersi di uno come Claudio Arrigoni che per il Corriere ha raccontato in maniera sublime questa edizione delle Paralimpiadi brasiliane, sul giornale che per i Giochi ha forse offerto il meglio con la sua squadra. Diciamo che i personaggi usciti dalla sua penna, pardon, dal computer, li abbiamo adottati, ce li siamo portati nei sogni, ne abbiamo urlato il nome a tutti quelli che non si sentono qualcuno se non si tingono i capelli, se non ti guardano con sguardo truce, che lasciano la paghetta per una ciucca in più, per il tatuaggio che servirà nella presentazione, una scorciatoia per bulli da quattro salti in padella, una durezza da sala giochi. Pensare a loro, i campioni di Rio, della seconda Rio, quella più vera, dove il samba aveva un senso mistico, e non a tutti quelli che svolazzano intorno, anche nella famiglia di Pancalli e proprio Sani potrebbe raccontare il triplo avvitamento per poter organizzare partite dove in campo andavano tutti: disabili e presunti abili.

Roba da inchiesta, ma al Coni dovrebbero sapere, così come alla Lega basket dovrebbero sapere cosa guadagnano giocatori ed allenatori. Il calcio ha fatto conoscere quali sono gli stipendi ufficiali depositati in Lega. Professionisti loro, professionisti quelli della palla al cesto. Eppure anche se sfidati, dopo averli invano invitati, questi cocchi belli non vogliono farci sapere cosa va in tasca ad ogni giocatore, allenatore. Un modo per nascondere e allora perché stupirsi per quello che è accaduto a Siena, anche se Petrucci farebbe bene a chiuderla questa storia perché non ci sono in giro santi che possano scagliare la prima pietra. Nei tempi. C’erano sospetti, ci sono state battaglie. Ora non pensiamo che ci siano società che abbiano voglia di mettere scudetti di riparazione se questi verranno tolti alla Mens Sana. Comunque sia, lo diciamo al presidente di Lega che fu proprio il liquidatore nel fallimento senese, sarebbe ora di togliere il settimo velo alle cifre dei contratti. Che la gente sappia quali sono le vere differenze di un budget, quanto vengono pagati gli italiani e gli stranieri, quanto si incassa davvero. Perché? Per evitare l’ipocrisia di chi ammette inferiorità se deve affrontare società più ricche, ma non vuole che si dica la stessa cosa se batte quelle più povere. Anche i giocatori piangina, quelli che ti dicono sempre di aver sofferto perché mentre gli amici andavano in discoteca a loro toccavano dieci suicidi in palestra: no niente di serio, di misticamente giapponese, sono esercizi, spesso punitivi fra le righe del campo.

Stiamo entrando nella zona gialla del basket giocato. Supercoppa a Milano dove, forse, si dice, avremo anche la presentazione del campionato, poi via alla prima smazzata, quella che darà le otto per la finale di coppa Italia. Ancora a Milano? Ma forse no. Soprattutto se davvero ci sarà Torino che è pronta a sposarsi con la Fiat. Il matrimonio che tutti sognavano, da Beppe De Stefano ai veterani del passato, la grande madre che diventa Pia anche per il basket degli omoni dopo aver fatto storia con la femminile, cinque scudetti, una Coppa dei Campioni vinta con Bruno Arrigoni, o diabbolo che faceva arrossire Petrucci per quello che non sussurrava alle nazionali impegnate nella prima olimpiade italiana della nostra storia, quella di Mosca. A proposito, l’Arrigoni lo hanno messo in pensione. Lui, però, non ci starà.

Come il Giancarlo Sarti da casa della gloria che era presente al Lombardia di Desio, quello dove l’Emporio Armani ha presentato il suo squadrone, pur senza Gentile e Hickman, portando al centro per il premio il Raduljica che Repesa ha definito forte, ma, soprattutto uomo intelligente. Ce lo diceva anche Sasha Djordjevic che lo ha smontato e rimontato dopo averlo riavuto indietro dalla NBA, quando il pivottone era convinto che intorno ci fosse soltanto mediocrità. Passo dopo passo la scoperta di certe realtà. Se lo era portato in Grecia, ora lo ha voluto Repesa che sta vincendo tutte le battaglie in silenzio, cercando nella difesa la salvezza per il tutto, una difesa a tutto campo e anche fuori dal campo. Saggio, anche se troverà sempre il bastian contrario come a Bologna, come ha scoperto anche quando lasciò la Fortitudo e molti nella Dotta indotta cercavano, cercano ancora, di sporcarne le credenziali. Roba da paese. Certo alla prima che perderà con una squadra che in Italia non è autorizzata a lasciare neppure una briciola, come faceva Pianigiani con Siena, si scateneranno di nuovo. Magari anche vicino alla santabarbara di re Giorgio. Questo è o paese del “so mi”, scoperta non tanto apprezzata dal Messina che se ne è andato depresso verso San Antonio.

Repesa fra dolci tessuti della real casa, sapendo che in città ci sono parafulmini che avrebbero già potuto chiedere un’indennità per poter andare a pescare lontano. Mancini ci è riuscito. A Montella e De Boer sarà più difficile, ma per qualche giorno hanno sorriso pure loro e le squadre passate oltre la grande muraglia cinese.

Il basket, ma quale sport non ne avrebbe bisogno, sogna che arrivino da oriente dei re magi per vivere meglio, anche se la nostra idea è che la salvezza stia nel consorzio, ammesso che a guidarlo ci sia gente di sport e non il cumenda che vuol farsi bello con la sua bella e allora va allo stadio, al palazzetto con il ghigno di chi è cresciuto alla corte di Hannibal Lecter o, magari, è andato soltanto a ripetizione da chi si vanta con gli amici di aver cacciato più allenatori di Zamparini.

Segui il denaro per capire uno scandalo, un omicidio, un disastro annunciato. Anche così, però, sembra che nulla turbi le corti amalgamate bene. Dicevano strage del Gavazzi presidente di un rugby andato in profondo rosso, nella cassa e nei risultati sul campo. Lo hanno rieletto, non con la maggioranza che ha fatto felice Barelli re del nuoto, ma abbastanza per tenere fuori il Marzio Innocenti nato nella Atene di Geremia al Petrarca. Succederà anche ad altri presidenti chiacchierati di essere rieletti, anche a quelli indagati. Italica bellezza.

No, nessun riferimento al basket che il suo presidente deve tenerselo stretto, anche perché è stato il primo a reagire al flop di Torino. Tutti gli altri con il muso musetto musone, borbottanti, depressi. Lui avvilito, sapendo di aver sbagliato quando ha valutato i giocatori più di quanto facciano già i loro agenti, i loro clan , ma pronto a ripartire. Basta che Messina gli faccia sapere presto che ha voglia di rivincite, non vendette caro Tancredi, ma certo ricominciando tutto da capo. La base? Il decalogo del Messina che scherzava soltanto con i fanti del suo ambiente, a tavola però, mai coi santi principi che per vincere si deve passare oltre il muro dove stanno di guardia i nostri campioni del paraolimpico.

Pagelle per farvi giustificare ogni cattiveria, il poco gradimento. Ormai abbiamo fatto il callo. Non si replica anche se non siamo Paganini. Qualcuno da odiare, diceva quel soldato salendo la collina del disonore. Aiuta a disintossicarsi, peccato che poi dobbiate andare al Palazzo per far vedere chi siete veramente.

10 A Ivano DIONIGI, latinista, ex rettore dell’università di Bologna dove in tanti, al momento sono soltanto ex, pesarese, amante del basket, che nel suo libro “Il presente non basta” ci ha aiutato a capire perché non saremo mai in sintonia con i boss del momento.

9 Al BULLERI che ha firmato per Varese  e a 39 anni si metterà ancora in gioco pur avendo vinto quasi tutto. Certo che apprezziamo chi si affida ai giovani, chi ha il coraggio di lanciare ragazzi che, magari, all’inizio sembreranno fragili, non quelli che mandava in arena Tanjevic, da Bodiroga a Gentile, da Fucka ad Esposito, che erano nati per stupire e si sapeva prima che iniziassero. Ma, tornando al Bullo, ci piace anche chi sa sussurrare ai veterani e averli in squadra non fa mai male.

8 A TRENTO perché nel suo precampionato, vittorie, sconfitte, esplorazione del patrimonio, ricerca di correzioni, dimostra che niente viene trascurato per fare ancora meglio, anche dopo aver perso l’ancora Pascolo, cambiato stranieri. Testa, insomma, organizzazione e nessuna paura di confronti difficili.

7 Alla FIAT se davvero darà una mano al basket torinese per i prossimi tre anni. Noi eravamo rimasti a Lapo Elkann che fermava un’azione su un campo NBA, adesso ci piacerebbe rivederlo al Ruffini tifare per la squadra di Forni e Vitucci, magari senza esternare come ha fatto domenica sera dopo la sconfitta della Juventus a San Siro contro la pazza Inter.

6 A SASSARI per come si è rimessa a correre, per le sue madrine Cucciari e Canalis, per questo entusiasmo che sembra quello dei giorni buoni. Non volevamo perderla la luna della Sardegna. Ce la stanno restituendo e allora avviso ai naviganti: potrebbero essere loro la grande sorpresa. Crediamo a Pasquini.

5 Alla nuova EUROLEGA dell’ULEB che costringerà molte squadre a giocare anche 4 partite in una settimana. Ci sembra esagerato. Non siamo, non possiamo tenere i ritmi NBA, lo abbiamo urlato tante volte anche se proprio in Italia ci hanno detto di chiudere il becco perché il play off mattanza, una partita ogni due giorni, è la loro goduria. In queste cose le associazioni giocatori, allenatori ci lasciano perplessi: protestano per il panino e il posto assicurato, mai per le cose che garantiscono un sano recupero senza beveroni o tuffi nell’acqua gelida.

4 A Boscia TANJEVIC che dovrà ricorrere al play off per qualificarsi con il Montenegro affondato nella casa di Topolica contro la Georgia battuta a Tbilisi, il campo dove, sarà bene ricordarlo, il Simmenthal del cavalier Rubini vinse, con una squadra italiana, contro i colossi della Dinamo, impresa che nessuno aveva fatto prima anche se poi la Dinamo passò al Palalido. L’amore per un grande uomo e un grande allenatore ci ha imposto questo voto basso perché pensavamo che fosse già qualificato, perché i suoi nemici, non soltanto quelli che lo hanno volgarmente fatto fuori dalla Nazionale italiana in Turchia, ci accuserebbero di essere di parte.

3 Al TROFEO LOMBARDIA, memoria di grandi feste precampionato nella storia del basket nazionale, perché è diventato quasi una breve sui giornali. Serviva davvero qualcosa di più e una Lega seria avrebbe dovuto aiutare. Ma certo le televisioni hanno altro da far vedere, magari il mondiale di freccette o la replica di partite dell’ultima stagione. Comunque teniamoceli cari questi organizzatori di Desio. Hanno ancora la passione.

2 A GALLINARI e BELINELLI che nei loro viaggi attraverso l’Italia ci ripetono sempre come abbiano dormito poco e vissuto amaramente il flop di Torino. Bene. Peccato che gran parte delle colpe siano state anche loro. Forse li rivedremo all’Europeo, vestiti d’azzurro si servono bene sponsor e la stessa NBA, ma tornando, per carità, smettano di soffocare i nostri  talenti”. Avete visto come reagiscono male, come rosicano, anche adesso che vi godete l’abbraccio del pubblico dopo la sconfitta.

1 Ai GRANDI ALLENATORI che ancora non ci hanno saputo spiegare perché il riscaldamento prepartita prevede almeno mezz’ora senza palla. Non si vedono risultati, mentre si registrano moltissimi stiramenti nella preparazione. Certo quello, magari, dipende dal fatto che non tutti hanno passato vacanze attive, salvo quello per alzare il braccio nel brindisi e far ridere il vicino di sdraio.

0 Alla LEGA che non risponde sugli orari demenziali, questo essere sotto scopa alla domenica e, magari anche al lunedì, col calcio, mettendo partite in concomitanza, tipo Armani nei giorni dove Milan e Inter sono di scena, che si fa difendere dai meschini con la frase che usano spesso gli stessi che hanno ammazzato grandi giornali: tanto non legge più nessuno.

ERRATA CORRIGE: Oscar Eleni, grazie a Luca Foresti, vi segnala che il Montenegro di Boscia Tanjevic si è qualificato, fra le migliori seconde. Resta il voto basso per non aver vinto il girone, ma lui spiega tutto, come sempre. Qualificazione già ottenuta, Georgia comunque forte. Il suo piano quinquennale funziona, va avanti. Resta il voto basso. “Sono abituato – dice Boscia – anche a scuola accadeva, ma se avessimo avuto bisogno di vincere ce l’avremmo fatta comunque”. Grazie per la vostra pazienza. Ogni commento è superfluo, anche se capita di sbagliare.

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