Quelli delle venti e quarantacinque

12 Settembre 2016 di Oscar Eleni

Oscar Eleni dalla casa misteriosa del visconte di Bragelonne, che è esistita davvero nella geniale mente di Alexandre Dumas. Soltanto in questo posto mitico possiamo pensare al naturale crepuscolo, alla malinconia che ci prende adesso che il basket, cancellato per mesi dal flop dei ragazzi in azzurro, ridotto alle brevi, sembra tornare ad interessare, anche se manca ancora tanto alla prima giornata di un campionato che sarà lungo, forse anche bello come ululano i venditori, ma soltanto per sapere chi arriverà secondo e avrà le porte aperte sull’Europa chiusa dall’ukase di chi, nel nome di una equa distribuzione dei beni (basta che il meglio vada nelle sue tasche), ha lasciato senza il vero basket di sviluppo una Reggio Emilia finalista scudetto per due anni consecutivi. Un crimine sportivo, travestito da legge federale internazionale, denunciato dagli esiliati Trinchieri e Pianigiani.

No, da noi si preferisce tacere. Certo che si fanno progressi cercando di capire perché gli altri vanno più forte, saltano più in alto. Messaggio degli esiliati. Qui nel borgo, con la cioccolata stantia della grande scuola che tutto risolve spaziando e cercando soluzioni tattiche, rimaniamo poi senza denti al primo blocco fatto davvero bene. Finita la quarantena anche per chi cantava le gesta della nazionale più forte di sempre, i teologi del famolo strano. Da oggi possono ricominciare a raccontarvi il basket che non vedrete mai sui vostri schermi. Certo che un torneo olimpico esalta, fa ballare, interessa, ma se quello era il top, allora cerchiamo altri toni scendendo certe scale di valore. Noi come gli ospiti nel castello del visconte di Bragelonne restiamo malinconicamente seduti a guardare le foglie che cadono, non riconoscendoci in un mondo dove, è sicuro, saranno ben contenti di prendersi le ultime meschine vendette, ma, alla fine, vedrete, come è capitato al re di quella Francia per giardinieri, scopriranno il nuovo cinismo, gli eterni bugiardi a cui sembra facile essere spietati con chi è troppo vecchio e troppo solo per potersi difendere bene.

Non è una resa. Soltanto la triste verità, cari lettori che vorreste essere solidali. Speravamo che ci fosse una rivolta. Niente. Al massimo si litiga per questa stucchevole ricerca della visibilità gravitando intorno a Milano. Tutto nella città della squadra più tosta, della società più ricca. Supercoppa, ovviamente. Ma anche presentazione del campionato. Dove, altrimenti, squittisce la corte? Be’, se avete così tante qualità fatecele vedere con un po’ di fantasia. Certo non si è discusso su Milano per mettere in scena lo spettacolino. Soltanto sulla data, perché le volpi avevano deciso che si potesse fare tutto durante la Supercoppa. Non sappiamo come risolveranno. Scelgano bene per far diventare mezze pagine, paginoni quelli che sono stati i mesi delle brevi, a meno che Shaq non si bevesse la trielina per parlare con Kobe, a meno che l’italiano Scariolo aiutasse chi ancora ci domanda se i migliori allenatori italiani sono all’estero o, addirittura, disoccupati vista la quarantena che ancora tiene fuori uno come Luca Banchi che pure due scudetti li ha vinti. Certo Messina, numero uno anche dopo il bagno acido nel Po, Pianigiani e Trinchieri sono fuori dai confini, ma è un bene per loro, un male per il mondo che hanno lasciato dove ancora arriva gente che ci fa sapere come il basket abbia bisogno di visibilità e dove al passato si guarda in cagnesco come urlano gli estromessi del consorzio di Cantù, Marzorati in testa.

Non discutiamo qualità e competenza di Federico Zurleni, nuovo direttore generale della Lega a servizio, ma questo sogno di imporre il prodotto migliorando l’offerta sa tanto di copia e incolla. Ci viene in mente che in tanti si sono presentati con la medesima formula, come direbbero gli storici, o anche i muri di Bologna che conobbero l’entusiasmo di Bassani e Tranquillo quando cercarono di cambiare il difficile rapporto con l’informazione. Adesso siamo alla sfida col carattere più piccolo, con il sito che apre solo alle nuove generazioni. Qui, nella rivoluzione dei bagni schiuma, una cosa è rimasta sicura: le partite della sera si inizieranno alle 20.45. Ora chi vuole migliorare l’offerta sa benissimo che i quotidiani hanno orari di chiusura sempre più anticipati, ma è vero anche che le parole volano e gli scritti rompono. Meglio affidarsi ai maghetti dell’incredibile, quelli della perfetta parità, quelli che amano pattinare su lavagne tecniche per distanziarsi da chi cerca ancora di guardare negli occhi i giocatori al momento in cui l’espada non può sbagliare se non si vuole essere incornati.

Cari legaioli vi invitiamo a leggere bene una parte dell’intervista dell’Elefante della Gazzetta a Marco Giampaolo, allenatore di grande qualità, l’uomo di oggi per la Sampdoria, del domani per squadre che abbiano in mente qualcosa di nuovo anche se magari perdono per un rigore fasullo. Giampaolo ha cercato di spiegare come si possono organizzare rose a carattere uninominale: ogni giocatore, dice il tecnico, è un’azienda diversa perché fattura a modo suo. Ecco quello che succede davvero nel nuovo mondo sportivo, quello dove il silenzio è abolito, ma soltanto per dare spazio al rumore che tutto confonde. Questo fatturare a modo proprio spiega perché è così difficile fare squadra. Sul campo. In una Lega, nella stessa federazione.

Dunque non si disperi Messina, non vada in depressione come la prima volta nel regno di Azzurra, quando gli sembrava di non poter guidare uomini su cui non aveva poteri coercitivi come succedeva alla Virtus. Adesso è così. Salomè balla e se le società abboccano, se i dirigenti sanno poco o niente della vita in uno spogliatoio, zac, si taglia una testa. Avanti un altro. Messina che sfoglia le margherite del Texas non ci pensi troppo: torni per l’Europeo, avrà anche l’occasione di ritrovare l’eterno ragazzo Tanjevic che col Montenegro vuole essere ancora l’Houdinì del mondo dove si può sognare benedicendo la povertà. Se ha letto, ascoltato, guardato il dopo Torino capirà subito. La ruota gira sempre a favore dei giocatori, ma si può anche tentare di non guardare le facce truci, sapere che scarpe portano, da chi sono protetti, per affidarsi al concetto di squadra come potrebbe testimoniare Sasha Djordjevic dopo il suo viaggio meravigliao nell’arena di Rio alla guida di una Serbia dove non mancavano certo i peperini che hanno reso difficile la strada di Azzurra.

Ci sarebbe l’esempio di Conte e dei calciatori, e in quel mondo altro che aziende uninominali come potrebbero testimoniare tutti quelli che hanno avuto a che fare con certi agentoni, certi giocatoroni, bravissimi nei separè. Il visconte di Bragelonne ci fa segno che è ora di stringere il brodo, senza fingere di aver capito come stanno davvero certe squadre già nel precampionato. Allora le pagelle della nuova stagione, quella che finirà nel 2017 dove speriamo di ritrovare italiane forti in Europa. Milano prima di tutte, anche se Repesa ha già limitato una parte del territorio parlando con Pisa di Repubblica: entrare nelle otto. Forse ha ragione. Ma siamo sicuri che l’Olimpia Armani stia studiando per essere fra le quattro finaliste e questa volta la stagione è partita lavorando, non sfilando. Un passo in avanti.

10 A Jack GALANDA, direttore editoriale del mensile BM diretto da Mario Arceri, per la dolcezza con cui ha cercato di accompagnare fuori dall’arena il suo grande compagno Basile, sperando che l’uomo dei tiri ignoranti vada avanti ancora un po’, la riva Meneghin è ancora lontana, perché avremo sempre bisogno di uomini come il ragazzo di Ruvo che non voleva più alzarsi all’alba per lavorare nei campi. Magari potesse parlare lui ai futuri azzurri di Messina, anche se tutti pensano che potrebbero essere di Sacripanti.

9 Al PIANIGIANI di Gerusalemme, euforico per la doppia vittoria della Lupa nel Palio, per come si è ripresentato al mondo basket italiano parlando con Oriani e Barocci su Gazzetta e Corsport. Dice bene presentando come stanno certe cose nel mondo intorno a noi. Ha il diritto, direbbe Agnelli, di considerare incancellabili le vittorie sul campo della sua Siena, un po’ come fanno ancora gli juventini, ma dovrebbe anche liberarsi del rospo azzurro. I fatti hanno dimostrato che il difetto non stava nel manico, ma nella lega con cui sono stati fatti soldatini della Nazionale.

8 A ROMEO SACCHETTI che fra qualche giorno ci presenterà il libro sulla sua vita di grande giocatore ed eccellente allenatore: ”Il mio basket è di chi lo gioca” (editore ADD), Vorremmo tanto che Brindisi potesse ritrovare quello che ha lasciato a Sassari.

7 Alla BRAGAGLIO, presidentessa della Brescia neopromossa grazie anche al colpo Moss, scelta come dirigente dell’anno dal mondo della A2 che anche quest’anno sembra muoversi meglio dei padroni del giochino al piano di sopra. Sarà davvero il campionato degli italiani a cui molti si appassionano più che alla giostra dei vari saraceni in A1.

6 A BOLOGNA e ROMA che non sono più nel grande giro, ma ci ripropongono la magia delle stracittadine, un ponte per arrivare in terre consacrate dove un tempo erano campioni. Forse, vista le preghiere del nuovo direttore generale della Lega per avere basket forte in grandi città, servirebbe una seconda squadra pure a Milano, dove si sognava lo zio d’America poi sparito, dove ancora si spera nella vena cestistica del Thohir in distacco dall’Inter.

5 A BASKET MAGAZINE, quindi anche a Galanda, perché la cadenza mensile, in questo cartaceo dove il basket ha sempre meno spazio, ci lascia insoddisfatti, costretti a lunghe attese, sapendo che è difficilissimo stare dietro a tutto. Possibile che non ci siano sostenitori per riavere un settimanale come ai tempi di Giordani? Certo Giordani non c’è più, ma certe passioni esistono ancora.

4 Al MELLI che dopo un eccellente preolimpico si è ripresentato in Italia vincendo il premio MVP al torneo di Trento vinto dal suo Bamberg contro Milano. Sembra che voglia ricordarci, ancora una volta, che ha lasciato questo basket perché non sappiamo davvero valutare il nostro patrimonio. Visto che temiamo abbia pure ragione, ecco perché si merita un voto basso. Fa venire i rimorsi. Speriamo non soltanto a noi.

3 Alle TELEVISIONI
che posseggono il basket e vorrebbero anche possedere il mondo che lo organizza. Questo legame alla partita delle 20.45 sa di rancido, un po’ come l’inizio delle gare alle 18.15 per il campionato. Un dialogo fra sordi. E la Lega insiste a dire che cerca visibilità.

2 A Kobe BRYANT se davvero dovesse ascoltare l’invito dell’americano che ha intenzione di riportare al vertice il calcio a Reggio Emilia dove già fa benissimo il Sassuolo di Squinzi. Non voleva aiutare il basket italiano? Allora investa nella squadra di Menetti e Dalla Salda, oppure cerchi qualcosa a Roma, magari con idee un po’ diverse da quelle che non fecero mai decollare la Milano del suo babbo…

1 Agli ARBITRI ITALIANI, bistrattati dalla Fiba, se impediranno a Stefano Tedeschi, presidente del comitato regionale emiliano, il dirigente emergente che sembra in perfetta sintonia con Petrucci, da cui ha avuto il mandato come commissario straordinario del CIA, di fare il lavoro di ricostruzione della “strana famiglia” a cui tutti vogliono bene. Magari soltanto prima delle partite.

0 A Danilo GALLINARI e all’ex cinno BELINELLI perché le loro confessioni dopo il flop torinese ci fanno ancora più male. Dicono verità che erano intuibili e Messina dovrebbe chiedere a chi lo ha consigliato, aiutato, perché certi segnali sono arrivati quando era obbligatorio dire che Azzurra era squadra e tutti i ragazzi erano d’oro. Patinati d’oro, ma chi lo ammette.

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