Vendere casa e bollettini della vittoria

25 Luglio 2016 di Stefano Olivari

Quando leggiamo articoli sul mercato immobiliare i toni sono sempre un po’ da bollettino della vittoria, quando chiunque abbia provato negli ultimi anni a vendere una casa di livello piccolo o medio borghese (insomma, il livello del 99% dei lettori degli altri siti, mentre l’uomo Indiscreto ha soltanto il problema di gestire il castello di famiglia visto che il suo cosmopolitismo lo porta sempre lontano) in grandi città e soprattutto in provincia userebbe toni meno trionfalistici. L’ISTAT ha da poco reso noti i numeri delle compravendite immobiliari a titolo oneroso in Italia nel primo trimestre del 2016: sono state esattamente 159.932, il 17,9% in più rispetto allo stesso periodo del 2015. Una tendenza di tutto l’ultimo anno, trainata da chi negli immobili abita e non purtroppo da chi negli immobili lavora (solo l’8% del totale delle compravendite è per uso economico): rimandiamo all’articolo di Milano Finanza per tutti i numeri. Significativo che l’aumento dell’erogazione dei mutui sia più che proporzionale a quello delle compravendite, segno che le banche non hanno più aziende solvibili a cui fare credito e che anche l’ultima delle capre ha capito che questo sarebbe un buon momento per comprare. Non vogliamo dire il miglior momento, visto che basterebbe il fallimento di una banca importante per riversare sul mercato l’impossibile e far crollare i prezzi, ma se uno stesse cercando la casa per viverci e non per fare un affare potrebbe, con un po’ di soldi in mano ed il mutuo, avere chance migliori oggi rispetto a 8-9 anni fa. È iniziata la ripresa, è aumentato l’ottimismo, è tornata la voglia di formare una famiglia per bilanciare l’invasione demografica islamica? Non lo sappiamo, quello che è sicuro è che i prezzi continuano a diminuire perché secondo lo stesso ISTAT il calo prosegue (meno 0,4%) anche se con percentuali inferiori al recente passato. È infatti dal 2011 che la variazioni medie dei prezzi degli immobili hanno il segno meno, quindi chi ha comprato prima del 2007 (l’anno in cui i valori delle case in Italia hanno toccato il massimo) è stato sfortunato (o pessimo analista) e chi ha venduto prima fortunato (o geniale). Di certo il peso delle abitazioni nuove è inferiore di oltre un terzo rispetto a quell’epoca, come dimostrano fallimenti a catena nell’edilizia. Non può essere un caso che dal 2011 ad oggi fra una tassa e l’altra il peso fiscale medio sulla casa si sia quasi triplicato… Tutti i nostri discorsi sono chiaramente riferiti a medie nazionali, ma la tendenza è chiara: in molti posti d’Italia i prezzi a valore costante sono tornati quelli di fine anni Novanta, quando l’immobile è vendibile. Il gigantesco non detto, destabilizzante anche al solo pensarci, è che il numero delle case sfitte in senso stretto (cioè che non sono case per le vacanze e non sono affittate) è aumentato di tantissimo e in attesa di un nuovo censimento ci si può basare soltanto sul database dell’Agenzia delle Entrate, che indica nel 10% del totale degli immobili di proprietà, quindi 3,5 milioni su circa 35, la percentuale di case vuote e che presumibilmente vuote rimarranno. Insomma, un appartamento che non si riesce a vendere a a 200.000 euro non è detto che si riesca a venderlo accettandone 160.000, in certi contesti geografici e sociali potrebbe anche valere zero. Conclusione? L’aumento del numero di compravendite può darvi di sicuro delle gioie, ma soltanto se fate l’agente immobiliare.

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