L’Italia dei finti galli

18 Luglio 2016 di Oscar Eleni

Oscar Eleni da Norcia, ai confini con la Val Nerina, dopo aver camminato insieme a tanti asinelli nell’Appennino umbro, nel cuore del parco sui monti Sibillini. Necessità di trovare un posto per la meditazione, cercando di riflettere sullo splash di Azzurra golosa, tenera e gelosa. Ci hanno bombardato in tanti. Troppo buono. Volevano una ghigliottina, teste da tagliare. Da Petrucci a Messina, senza salvare nessuno dei giocatori a parte gli esiliati Melli e Hackett che già conoscevano il mondo intorno ad Azzurra, questa italietta dello sport dove si processa sempre dopo, ma nessuno ha il coraggio di denunciare prima. Certo lo sapevamo che dietro la faccia dei bravi ragazzi, una squadra, una famiglia, un obiettivo, c’era qualcosa che è nella natura stessa di certi giocatori allevati a pane e televendite, quelli che non fanno mai il canestro che conta, nel momento in cui serve davvero, ma se la godono sulla spiaggia mentre gli imbonitori propongono il loro ottuso cinema Paradiso, delle prodezze un tanto al chilo, del famolo strano.

Nei commenti del dopo splash uno ci aveva colpito più di altri, quello fatto da Walter Fuochi sulla Repubblica. Un paio di righe. Una foto precisa. Sì. Era fin troppo evidente, conoscendo le compagnie di giro che sostengono persino uno come Bargnani, che ci fosse santa gelosia fra il dire e il fare. Davanti al maestro Messina tutti umili, cenere sul capo, lavoro, famiglia, pizzata collettiva, ma poi, al momento in cui il culo mangiava pigiama come sognava Petrovic, come sapevano in tanti, ecco prevalere il concetto “io so io, voi un beato cazzo”. Sì, era intuibile che ci fosse qualcosa meno della santa alleanza fra Gallinari e Belinelli per essere i primi del pollaio dove Datome sbatteva ali senza forza, emaciato e sperduto, ma sempre disponibile per stare in vetrina. Se poi nel conflitto d’interessi, alimentato da chi aveva scoperto che il filone NBA poteva servire per aprire cassaforti nazionali, grana cara gente, altro che fatica, ci si mette anche qualche altro che finge di trovare acerba l’uva della NBA e resta fra le coperte della casa che per lui ha sacrificato tuti gli altri, allora capirete che a Sherazade c’erano soltanto serpentelli d’acqua.

Sì stiamo parlando del gruppo finalmente formato da fratelli per fermarci un attimo ad Alessandro Gentile, colpevole come tutti in questo caso, uno che non avrebbe mai dovuto accontentarsi di essere solo ras di quartiere, perché la natura gli ha dato abbastanza, non tutto, ma quello che serve per accendere gli zolfanelli nostrani. Questo mettere insieme attori che amano essere soli in scena porta a finali fotocopia delle partite che contano. Che differenza avete notato fra la conclusione della partita contro la Lituania, che è costata il posto a tavola e la testa a Pianigiani, e quella di Torino con la Croazia? Nessuna, dovreste dire se c’è un minimo di onestà critica. Dovevamo tutti denunciare prima, magari allertando anche Messina, che non era tutto oro quello che luccicava in Trentino, dove mancavano ancora anelli della catena arrugginita, ma non riuscivamo ad aprire la porta di quel castello dove il vaso di Pandora era custodito dai troppi girovaghi con la divisa azzurra.

Ci hanno chiesto il perché di voti così “alti” per chi ha fallito e abbiamo cercato mille scuse. Fra i ciechi è chiaro che gli orbi trovano spazio. Non dovevamo cadere nella trappola che ha coinvolto persino il Garlando pittore della Gazzetta convinto che davvero quella squadra di Torino avesse grandi giocatori prestati, come il grande allenatore, dalla NBA. Fumo. Ubriacatura che il nostro asinello di sostegno ha cercato di mascherare tenendoci in piedi.

Volevano, vogliono, in tanti, anche la testa di Petrucci che certo ha innescato la bomba ad orologeria della tensione esagerata quando si è rifiutato di mettere vicino gli uomini delle medaglie di Mosca, Nantes, Parigi, Stoccolma e Atene, con questi che lui considerava, speriamo che abbia almeno cambiato idea, i migliori di sempre senza ascoltare le ingiurie del professor Paratore e di Giancarlo Primo che pur vincendo meno avevano fatto capolavori. Tutto è cominciato su quel Rubicone dove hanno inventato l’Italia più forte di sempre. Esiste un mercato o un mercante che non cerchi di vendere qualcosa che mai avete visto prima?

Ora Petrucci ha sbagliato a mettere aureole a certa gente, ma per il resto ha fatto il massimo perché le belle gioie potessero trovare il tappeto volante per andare a Rio dove, purtroppo non ci sarà il Gimbo Tamberi che se lo era meritato davvero, lui campione senza dover ingannare nessuno. Eh sì. Il male degli sport di squadra, come ci ha insegnato Conte, come spiegava bene il paron Rocco, è che ci si deve adattare ai venditori di pozioni che guariscono ogni male. Atletica e nuoto hanno un giudice che non è nascosto fra contratti, famiglie che vogliono sentirsi dire come guadagneranno sulle spalle del fiol di talento. Puoi vincere aperitivi tirando da seduto, nei modi più strani. Guai però se non lo fai quando davanti c’è chi non è stato pagato per farti apparire come uno dei santi che marciano in questo paradiso.

Ora è giusto che Petrucci cerchi di trattenere Messina. Ci sono ostacoli, ma l’Europeo 2017 servirà all’allenatore per purificarsi come fece dopo il primo flop con Azzurra quando il nume tutelare era Porelli e Petrucci sognava il riscatto per tutti. Deve riprovare, ma questa volta passi al metodo Bogoncelli, quel genio che inventò la vera Olimpia di Milano e quando doveva prendere un campione lo tormentava per ore con le domande più assurde per scoprire se poteva andare bene con gli altri che già erano in squadra. La verità non te la dicono mai. Figurarsi. Però il grande condottiero sa leggere nei fondi di qualsiasi allenamento. Al momento della fatica, della paura, quello è il momento. Non esistono allenamenti lunghi, devono valere solo quelli intensi e allora si scopre la verità. Quanta gente, negli anni passati a scrivere di sport, dall’atletica al basket, passando in mezzo ai mondiali di tante discipline, ci ha giurato di aver speso tante ore sul campo di allenamento, quanti, dopo lo splash, hanno pianto dicendo che non capivano. C’era un grande campione che sul campo correva dietro alle moto, un altro che stava sul campo lo stesso tempo, ma correva dietro ai raggi del sole. Uno era Mennea, gli altri boh. Cambiare il modo di vedere, alimentarsi, ascoltare, prendendo a calci gli imbonitori come si faceva alla scuola di Formia, come ha fatto Gamba prima di Tanjevic.

Una carezza all’asino che è in tutti noi cercando nella Val Nerina il basket che ci separa dall’inizio di una nuova stagione ascoltando il brusio intorno all’Emporio Armani che ha costruito una squadra dove torna a vivere il grande panslavismo di una scuola che avremmo dovuto imitare, invece di osteggiare, adesso che, con lingua fuori dal finestrino, come cani randagi, vediamo Serbia e Djordjevic, Croazia e Petrovic, andare verso Rio come la Francia dove sanno distinguere i veri NBA da quelli fasulli anche se pure loro, ogni tanto, cadono nella trappola. L’unica cosa che lascia perplessi, meglio, che lascerebbe perplessi se non conoscessimo chi cura certe strategie dell’amore-terrore, della rivoluzione nel nome di padri mai conosciuti, di gente impossibile da imitare, è questa cessione del prode Cerella, il più amato dalla gente del Forum.

Anche a Varese consideravano troppo alta la richiesta di Cerella, salvo poi pentirsi andando a prendere gente di poco valore umano. L’argentino che Messina aveva messo in rosa non è certo il più bravo, ma tiene corazon. Per lui si sono giocati molto Banchi e lo stesso Repesa. Peccato perderlo nella stagione dove un nuovo scudetto sarà soltanto la cura ricostituente per puntare al massimo nell’Europa vera del basket dove avremo una sola squadra italiana, Milano, appunto. Questo è un peccato che sconteremo perché non impari vincendo le gare di paese. Come diceva Velasco ai pallavolisti imbronciati che criticavano lo stile di vita nelle repubbliche socialiste, sarà meglio cercare di capire perché vi battono sempre pur mangiando così male. Esami che contano, non esibizioni con arbitri compiacenti.

Ci chiedono una messa di suffragio per la Roma che non è stata ammessa neppure alla serie A2 dove si era autoretrocessa e dove si è salvata soltanto per le sfortune di Omegna. Non la diremo. Non rimpiangiamo questa Roma, come avrebbe detto Remo Remotti, perché quella che ci manca davvero era quella del Banco, di Bianchini, di Acciari, certo più di quella spendacciona del Messaggero, era quella che Pesic, Repesa, Tanjevic, Boniciolli, Bodiroga, hanno cercato di salvare dalla crisi delle idee più che dei quattrini, è sicuramente quella che Calvani ha portato alla finale scudetto, purtroppo la stessa tenuta nel sottoscala di viale Tiziano per risparmiare quando le telecamere erano tutte sul basket, la medesima società che cacciò l’allenatore finalista. Ora, come diceva Remotti, ci si allontana da questa Roma del volemose bene e annamo avanti perché è la stessa degli appuntamenti dove non si arriva mai puntuali. Ora avranno tutte le ragioni da mostrare in tribunale, ma possibile che soltanto loro, su oltre 150 società, siano rimasti confusi dal refuso federale sulle date per il versamento? Non ci prendete in giro. Siamo amareggiati per Corbani, non per Toti e chi lo consiglia.

Fra le stelle del firmamento federale dove Petrucci ha visto scoppiare pianeti che pensava alleati resta il bubbone arbitrale. Dimissioni dell’Enrico Prandi che non poteva farcela in quel ginepraio. Se sono gelosi i giocatori figurarsi quelli che decidono con un fischio il bene e il male di una partita, una società, un allenatore. Ora l’uomo della provvidenza, quello di cui il presidente federale Petrucci si fida davvero è lo Stefano Tedeschi, capo del comitato dell’Emilia che ha davvero accolto bene nel circolo Bononia il corteo presidenziale in cammino verso Torino. Sarà lui il commissario nel vespaio. Buona fortuna. Dicono che sarà anche il nuovo vicepresidente.

Nello splendore estivo dove le squadre giovanili femminili hanno fatto cose bellissime sembra nata una stella. Su Cecilia Zandalasini, ventenne talento che gioca a Schio, seguendo le tracce di Chicca Macchi, si dicono meraviglie e anche l’argento della Under 20 in Portogallo è arrivato grazie a questo fenomeno di 1.82 che non deve assolutamente perdersi. Tenere alla larga falene e gente del genere. Dimenticavamo anche la medaglia della under 17 dove c’è una vera figlia d’arte, nata dai lombi di un cestista di qualità come Trucco e una azzurra di buon valore, oggi anche consigliere federale, come la Palombarini. Sfatata la maledizione dei figli che rinnegano lo sport dei padri. Quelli della pallavolo al basket e viceversa, come direbbero anche in Serbia.

Verona sembra aver sistemato la casa rimasta vuota dopo la crisi nel dopo Crespi, dopo la delusione nell’era Ramagli. Hanno scelto Fabrizio Frates per ridarci una città ed un campo da vera serie A. Peccato per De Pol che merita certo di avere la sua grande occasione perché ha qualità, lo speriamo per lui e per Gregor Fucka che un basket ottuso lascia ai margini. A proposito se guardate bene in giro vi accorgerete che nel campionato d’argento, la serie A Due, ci saranno cose più belle che al piano superiore. Del resto chi li guida ha mostrato fantasia, cervello. Difficile vedere lo stesso coraggio nella serie A alla puttanesca.

Poche lamentele a Cantù per l’esilio a Desio. Quando la Cremascoli era costretta a questi trasferimenti brianzoli c’era malcontento. Ora no, perché il Gerasimenko ha promesso di restituire, entro un anno, il Pianella al popolo del Cantuki. Lo ha detto, insieme alla moglie, nella festa con grigliata organizzata dai tifosi, le Aquile, e tutti hanno applaudito. Ora dispiace che dovendo ricostruire così tanto allontani dalla società chi ci ha lavorato bene per molto tempo. L’ultimo il figlio di Ciccio Della Fiori che aveva già dovuto faticare per sostituire Bruno Arrigoni. Per fortuna non se lo è fatto scappare Verona e allora restiamo in attesa. Sicuri che in Veneto non hanno sbagliato, mentre restiamo perplessi sulla nuova Cantù dove si dovrebbe costruire.

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