Saloni del libro per non lettori

28 Luglio 2016 di Stefano Olivari

Forse qualcuno avrà nelle ultime settimane seguito il derby Milano-Torino per ospitare le future edizioni del Salone Internazionale del Libro o come si chiamerà, tema che ha occupato le pagine culturali e locali dei giornali, con la svolta arrivata dopo una riunione dell’AIE (l’associazione degli editori) e che si può sintetizzare così: il Salone del Libro propriamente detto rimane a Torino, non essendo di proprietà degli editori ma della Fondazione per il libro (nel cui consiglio c’è anche l’AIE ma che di fatto è emanazione della politica torinese e piemontese del momento, che occupa tutti i posti chiave e decide la linea), mentre quasi tutti gli editori punteranno su una nuova manifestazione che si terrà a Milano (Rho, nell’area Fiera) a maggio, come il Salone di Torino. Nome provvisorio MiBook, che speriamo venga cambiato: gli angloamericanismi per sfigati hanno raggiunto il limite della sopportazione umana, lo diciamo anche da appassionati di pallacanestro. Il voto non è stato unanime, fra i grossi nomi si sono smarcati Feltrinelli ed Einaudi, ma la decisione è stata presa.

Un po’ per i costi (600.000 l’affitto dimezzato del Lingotto, 200.000 la Fiera), un po’ perché il riscontro mediatico di qualsiasi iniziativa organizzata a Milano è superiore all’equivalente torinese e molto perché gli editori da ospiti di una manifestazione hanno voluto prendere il pallino in mano svincolandosi da Torino e puntando sul tris Milano-Roma (dove sarà potenziato l’appuntamento per i piccoli editori) e Sud, con una manifestazione itinerante in un mercato storicamente depresso. Di certo queste iniziative centrate sui libri o con i libri sullo sfondo hanno quasi sempre un ottimo riscontro di pubblico, che diventa clamoroso se confrontato con quanto si legge in Italia. Proprio ieri sera, al termine di una giornata passata per metà sui mezzi pubblici, mentre leggevamo questa notizia abbiamo pensato di non aver visto una sola persona (una!) con un libro aperto fra le centinaia incrociate. Forse un Kindle, ma non ci giureremmo.

Qualche numero di fonte ISTAT ad integrazione dell’osservazione personale. Nel 2015 solo il 42% degli italiani di età superiore ai 6 anni, quindi in grado di leggere, ha letto almeno un libro per motivi non scolastici o professionali. Guardando al sesso, la percentuale è del 48,6% fra le donne e del 35% fra gli uomini. Una buona notizia è che i giovani leggono più dei meno giovani: i lettori di libri al di là degli obblighi sono oltre il 50% nella fascia fra gli 11 e i 19 anni. Ai nostri tempi non era così, quindi non è vero che una volta fosse tutto meglio. Il Sud meriterebbe un discorso a parte, al di là dei dati che sono inequivocabili: da Napoli in giù ad avere letto almeno un libro nell’intero 2015 è il 28,8% della popolazione. A meno di non voler dare la colpa al sole e al mare che distraggono, come purtroppo abbiamo letto su alcune di quelle che una volta si definivano ‘terze pagine’, questa sì che sarebbe materia di dibattito. L’eBook ci salverà? Qualche segnale buono c’è, visto che l’8,2% degli italiani ne ha scaricato almeno uno. Si è rivelata una barzelletta la storia del libro come acquisto anticiclico, cioè (traducendo dal cialtronese) con maggiore diffusione, visto che costa relativamente poco in proporzione al tempo di fruizione, nei momenti in cui non si hanno 25.000 euro da spendere per un’auto o 3.000 per un viaggio. La spesa per libri, giornali e periodici nell’ultimo quinquennio si è contratta del 18%, quella per l’acquisto in generale di beni soltanto del 6.

Conclusione? Il libro non è un valore in sé, anche se per qualcuno (magari nemmeno lettore) è un feticcio. Personalmente siamo convinti che non sia nemmeno sinonimo di cultura, la cultura si esprime e si assorbe in mille modi diversi. Ma è indicatore quasi infallibile di un atteggiamento nei confronti della vita, perché il lettore nei confronti della lettura non è mai passivo: il libro è quindi da cittadini, non da sudditi.

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