Pokémon Go e la lunga estate dei Gramellini

18 Luglio 2016 di Stefano Olivari

Il programmatore che ha inventato Pokémon Go non si proponeva soltanto di salvare la Nintendo dal fallimento, ma anche tutti i Gramellini e i Severgnini dell’emisfero boreale da se stessi: intorpiditi dal millesimo pezzo sui pericoli del populismo, della Brexit e di Trump, stavano infatti perdendo i contatti con il cosiddetto paese reale mentre adesso possono di nuovo entrare in modalità ‘Signora mia, che tempi’ arrivando a settembre in scioltezza. Per interposti bambini abbiamo vissuto pienamente il boom di Pikachu, Ash, Misty, Brock, eccetera,  all’inizio del millennio: si tratta di uno degli ultimi cartoni animati di grande impatto lanciati da Italia Uno, prima che il frazionamento dell’offerta televisiva per i più piccoli decretasse l’impossibilità di passioni davvero condivise. L’abbiamo vissuto, ma i bambini non eravamo noi e quindi siamo immuni dall’effetto nostalgia che invece prenderà i nati negli anni Novanta costringendoli a smanettare sui loro smartphone con questa app gratuita che, come tutte le app gratuite, ha upgrade a pagamento (di sicuro le Poké Ball vanno comprate). Il meccanismo è semplice: all’inizio si ha a disposizione un Pokémon di base, con il quale andare a caccia di altri Pokémon: nel mondo reale (grazie alla geolocalizzazione, per certi versi pericolosa) o nelle mitiche e folli ‘palestre’. Negli USA, dove la app è già disponibile, si calcola che i suoi utenti la utilizzino per 33 minuti di media al giorno ed è prevedibile che anche in Italia si vada vicino a questi risultati.  Con una commistione fra reale e virtuale davvero esilarante, pur tenendo presente che le strade sono già piene di persone concentrate soltanto sul loro schermo e non si può quindi incolpare Pikachu della propensione umana a perdere tempo o a rifugiarsi nel già visto e già sentito.

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