Piazzisti del Mamba

25 Luglio 2016 di Oscar Eleni

Oscar Eleni su un treno in partenza dalla Victoria Station e diretto a Glyndebourne, East Sussex dell’Inghilterra, che sta in coda a Calais, dove si fanno picnic in smoking ascoltando musica lirica. Come compagno di viaggio abbiamo lasciato a casa lo stupido di turno che dopo quarant’anni di giornalismo, nel mondo, per i mondiali di tutti gli sport, dal calcio al rugby, e dieci olimpiadi, pensa che certe critiche nascano dalla poca fede soltanto perché la cosca gli ha detto che sono ripicche per interviste non concesse. Non esiste l’intervista pilotata, comperata, oliata dal padrone. Un prodigio non concedere interviste mai richieste. Pazienza. Preferiamo altri compagni di viaggio al posto dei dementi bavosi, degli ex compagni di avventure che fanno graduatorie di cui non conoscono il valore o il significato, un po’ come gli imbonitori che prima dello splash di Torino ci raccontavano che era in campo la Nazionale più forte di sempre, come piace alle curve masochiste (esistono davvero) che godono nel cantare ‘Non abbiamo mai vinto un cazzo’. Fra questi amici diversi uno è Chicco, il cacatua di Fiorenza Mursia, l’unico che può volare oltre le gabbie nel parco brianzolo dove aspettano la cattedrale di Gerasimenko per il nuovo Pianella, accontentandosi, per ora, di avere anche soltanto buone notizie su un allenatore per guidare la squadra che ancora non c’è.

A Chicco chiediamo di tenere il tempo sulla musica, ma anche di aiutarci a capire come vanno le cose in questo basket di marpioni oni oni, gente che te la canta e te la suona, inventori della famosa acqua calda spacciata per luce di Eragon cavaliere dei draghi. Sì, pensando un po’ anche a noi stessi, perché, prima o poi, i dementi l’avranno vinta e ci sarà un miglio verde da percorrere, abbiamo guardato con stupore, dopo il dolore, il breve annuncio sulla morte di Beppe De Stefano, uno che ha portato davvero il grande basket a Torino e ha lavorato nell’organizzazione Benetton quando Buzzavo poteva fargli acquistare fenomeni veri come non ne abbiamo più visto in Italia, da Del Negro a Kukoc. Sul Tuttosport lo spazio per De Stefano era lo stesso concesso al prode Atripaldi che rientrava da Las Vegas, terra dove tutto è in gioco, territorio dove molti sono andati a spese loro o, magari, delle società, per farci sapere che nella fiera c’erano tanti talenti. Ohibò.

Noi stiamo dalla parte dei Basciano che ci promettono un derby di Bologna con dieci italiani in campo, con il giovane Candi che ha appena firmato un quinquennale in casa Fortitudo dove, come dicono quelli che hanno rischiato davvero, le chiappe se le sono giocati società ed allenatore, non certo il giovane talento che gli arguti cronisti di casa hanno visto tornare ad alto livello soltanto dopo la firma del contratto. Se siamo già a questo punto allora fermate il mondo e fatelo tornare alla casella di partenza. Lo dicono perché ha dato una mano a Flaccadori nella vittoria per il quinto posto europeo nel torneo under 20 dove ne abbiamo più prese che date, perché la nuova generazione sarà magari pronta per il tiro da quattro, come vuole qualche tapiro locale, tipo l’allenatore che non punisce la colpa grave del giocatore perché quello è il migliore che ha, ma non certo per trovare spazio. Neppure il Mussini svezzato a St.John’s ci sembra tanto migliorato, lo preferivamo nella cantera reggiana.

Tornando a De Stefano, non abbiamo letto molto. Così passa la gloria nel piccolo mondo. Lo sappiamo bene e non abbiamo bisogno della voce suadente di un badante che promette, in caso di morte, un bel trofeo giovanile alla memoria, per capire che sono tutte balle. Ce lo ha spiegato chi parlando di campetti ha citato la via, ma non il nome dell’uomo a cui il campo era stato dedicato, eppure in tanti avevano combattuto per vedere intitolato il campetto di via Dezza a Mario Borella, maestro per generazioni di giocatori milanesi di un certo livello, padre dell’ultima nidiata alla Canotttieri, quella affidata al suo ex giocatore Bruno Sala, uno che dal Borletti era arrivato in serie A, quella con tre allenatori di serie A, due grandi manager, gente che ha fatto strada.

Passate le feste non esistono santi. Notorio. Sempre sulla Gazzetta, ad esempio, hanno citato i padri fondatori delle grandi società giovanili di Milano e alla voce Enotria non hanno messo quella del commendator Davide Eleni, 16 anni come dirigente al Milan, oltre 30 per la società che oggi neppure organizza un memorial in suo nome sui tre campi conquistati dopo dure battaglie.

No, non siamo stupiti, lo vediamo su questo stesso sito quando qualcuno prende fischi per fiaschi, quando sentiamo il cinguettio di chi è andato a servizio e insiste a volerci proporre personalissimi elenchi di campioni del ballatoio da offrire come migliori di… non si sa cosa, come direbbe la vera Europa. Già. Adesso parlano meno. Dopo Torino c’è una revisione e allora meglio spostarsi su altre pozioni da vendere.

Abbiamo visto gli occhi adoranti dei piazzisti quando si è presentato Kobe Bryant per farci sapere che se l’Italia del basket ha bisogno di una mano lui è pronto. Certo la foto trasmessa dalla FIP sul colloquio riservato Petrucci-Messina-Mamba ci ha colpito: sembrava un vero summit per la rinascita. Lasciamo perdere il costo. Messina dovrebbe tornare, magari non gratis come a Torino, ma senza esagerare. Il Mamba è ricchissimo, dopo il consulto al capezzale è andato a Maranello a comperarsi una nuova Ferrari perché lui crede ancora che sia migliore della Mercedes o della Red Bull, quindi chiederà soltanto il giusto. Già, ma cosa è il giusto per uno che ragiona in termini NBA, gli stessi che sembrano lasciare in braghette di tela il Bargnani al quale sembra non stiano arrivando offerte “degne di lui”, offerte superiori a quelle che potrebbe fare Milano ammesso che Repesa abbia voglia di aumentare le spese per le cure al fegato, oltre a quelle per il cuore adesso che gli hanno fatto capire come non ci sia troppa gloria per l’Olimpia a vincere per forza in un’Italia dal basso profilo, se devi far ricordare meglio un filmato in rosa, un libretto, una paginone sponsorizzato, da parenti poveri, mentre il vero obiettivo è la grande Europa dell’ULEB un po’ distante da quella danese che troverà Sassari nel nuovo viaggio sulla tradotta della FIBA.

Sul prato inglese abbiamo brindato con moderazione alla nazionale di Sacripanti che è foto allarmante, esattamente come quella della nazionale che ha perso tanto in Friuli. Ci urla al telefono il conte Aquari perduto dietro al talento di Cecilia Zandalasini che non se ne può più di questo basket ancorato alla vita sul tiro da tre e si accartoccia sui rollaggi intorno a blocchi semoventi. Certo non gli farà piacere sapere che la ragazza di Broni, tesserata a Schio, non aspetterebbe neppure il secondo volo se la chiamassero nel mondo professionistico americano dove a New York c’è il Bill Laimbeer che ci ricorda il Riccardo Sales, un altro dei grandi dimenticati anche se a Brescia hanno riproprosto le maglie della favolosa Cidneo di Pedrazzini. Almeno lui adesso passeggia fra grandi del passato, qui si dimenticano anche di chi meriterebbe di passeggiare nei posti d’onore, non sbattuto in tribuna, o, peggio, neppure ammesso in barba alle famose tessere d’oro del CONI che quasi nessuno dei nuovi capi bastone pensa di onorare. Calpestare, fingere, squittire per grandezze che sono microcosmi, perdere la lingua a leccare scarpe di gente che si fa bella coi soldi altrui.

Siamo in pieno regime di una dieta dove ai giocatori non si parla, li si manda in giro e poi se non vanno bene una bella lettera di congedo, un po’ in stile Bonitta con Valentina Diouf fatta fuori dalla spedizione olimpica della pallavolo con un messaggino telefonico.

Siamo nello stesso paese dei campanelli dove il sindaco di Rio, davanti alla giusta indignazione degli australiani per un villaggio degno della peggior favela, ha spiegato che avrebbe mandato un canguro nel giardino per farli sentire a casa.

Eh sì. Ci telefona il basketmaniaco Dallera, capo dello sport al Corrirerone, per chiederci come mai quelli della pallavolo quando organizzano danno sempre l’idea di essere avanti tre piste. Su tutti. Figurarsi il basket. Non abbiamo trovato una risposta pronta, ma poi gli abbiamo fatto i nomi di chi guida questa Lega, e allora perché andare avanti a cercare una spiegazione? Questa pallavolo magari non avrà i soldi del basket, ma intanto alle Olimpiadi porta ancora due squadre. Questo volley dove litigano e spesso non si capiscono, però si compatta per i momenti importanti ed è uno del basket ad armonizzare spesso il regno del caos, il Righi che in Lega leguccia non potevano certo preferire ai prescelti in base al passato senza storia perché serve vendere. Cosa? Ah, saperlo con quei campetti da esordio sulla terra dell’Arena di Milano che ora non ha più neppure una pista decente per l’ atletica.

Siamo contenti che Forni abbia trovato la forza per dare a Torino una squadra di qualità, da play off, lui e Atripaldi, eh sì, stanno costruendo bene, la città è pronta a rispondere sperando che ci si ricordi di chi l’aveva prima sfidata e poi stregata portando i suoi giocatori sottaceto da Asti al Ruffini.

Nell’ultima puntata sullo splash di Azzurra, che ora è colpa soltanto del bayon, avevamo dimenticato la ricetta Recalcati apparsa sulla Provincia. Come nei giorni dell’addio, quando ci consigliò di fare abitudine a lacrime più che sangue, anche stavolta ha chiesto meno obblighi e più incentivi. Non ci sarà tempo per ascoltarlo, c’era l’urgenza del baffo per far diventare Bryant santo subito nel nome delle nuove crociate. Palleggio raffinato: Kobe l’uomo giusto. Italiani affidatevi a me. Messina allenatore pronto per i Lakers. Petrucci bel dirigente oltre il Circeo. Adoratori prostrati, quelli che non dovevano stare in coda al caldo. Quelli che contano adesso e magari domani. Sul dopodomani chiedere ai santi bevitori del paradiso.

Tanto per restare nel giardino inglese da smoking, vi diciamo che nessuno dei nuovi bardi bardotti ha scritto un pezzo più bello di quello con cui Franco Bertini, sul Carlino di Pesaro, ha salutato il ritorno sulle maglie della Vuelle, del marchio Butangas per far sorridere e piangere Ivano Dionigi ex rettore dell’Alama Mater bolognese, grande amante del basket come ci ricorda sempre nelle sue lunghe telefonate di denuncia il duca di Carimate, il Gianni Corsolini che non ne può più degli imbonitori a passo dell’oca. Una bella storia legata all’addio del maestro Fava, agli inizi di tanti talenti. Da inserire nella cartella stampa, se ce ne sarà una, per la presentazione del prossimo campionato che sarà più o meno come l’ultimo, ma con Milano ancora più dominante perché ora la verità del gruppo è nota a tutti e, anche con tre reduci dalle Olimpiadi, si potrà lavorare comunque abbastanza bene, nella speranza che non ci siano cani sciolti e gruppi troppo ristretti, con l’angloserbo come seconda lingua, anche se l’italiano potrebbe dominare e questo è un bel messaggio.

Dimenticavamo. Non avendo potuto toccare e adorare Bryant gli facciamo sapere a nome di Magnoni e dei Maturi baskettari che se vuole potrebbe unirsi a Julius Erving che ha chiesto di entrare nella famiglia dove almeno qualcuno cerca di ricordare, magari aiutato da badanti, ma con sincero affetto.

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