Un passo indietro a Bologna

27 Giugno 2016 di Oscar Eleni

Oscar Eleni col sacco a pelo cercando il miracolo della pioggia a porta Saragozza, puntando verso il colle bolognese della Guardia dopo le notti dell’incanto e della nostalgia. Ci voleva un Lorenzo Sani con ispirazioni spagnoleggianti per sbagliare una paella, ma per centrare tutto il resto. Meraviglie di chi mette la genialità al servizio dei viandanti che scoprono, ogni volta con dolore, che l’amore che avevano non ricorda più neppure il loro nome. Certo non saremmo mai arrivati nella casa sotto la collina senza Alessandra Morcianova, il Pigi che trova poesia fra canini e molari, sognando un basket dove i Ciccio Cantergiani, l’ex rettore dell’Università bolognese Ivano Dionigi, esule in terra virtussina e fortitudina, lui che cantava dalla curva pesarese, possano ritrovarsi scoprendo che la felicità è avvolta nella carta profumata di un sigaro al caffè rosso, il vulcano degli affetti dove Boscia Tanjevic nasconde il desiderio di vivere regalando agli altri quello che ha imparato nel lungo viaggio da Pljevlja alla cappella Farnese dove il basket italiano si è ricordato che doveva davvero tanto a questo geniale uomo di sport, allenatore è troppo poco, uomo di basket, ma con gli occhi sull’anima e sul mondo, che nella sala Farnese a palazzo D’Accursio è stato benedetto come nuovo e autorevole membro di una casa della gloria della pallacanestro italiana dove, prima o poi, dovremo anche stendere un tappeto rosso per chi ha indicato la vera strada, da Van Zandt a McGregor, senza doversi fermare davanti ai passaporti perché un professor Nikolic ci ha dato il sublime e ha indicato una strada.

Tanjevic e il profumo del tempo che non abbiamo mai perduto aggredendo il nostro fegato come nella notte dell’addio all’isola culinaria del Campione dove abbiamo ritrovato le magie della meravigliosa coppia capace di fare della Braseria una casa per campioni sperduti, famiglia, affetto, creatività in stile Bononia con dolorosa previsione sulla sconfitta del calcio argentino alla coppa America dove il Cile ha vinto ai rigori, quella che nel pranzo ufficiale, dopo la sauna alla cappella Farnese, ci ha restituito alle cose in cui si può ancora credere pur essendo più di là che di qua, sapendo che Petrucci pregherà per noi, oltre che per Azzurra, come faceva per l’Arrigoni che alle Olimpiadi di Mosca lo sbalordì parlando alle ragazze della prima Italia ammessa ai Giochi come facevano nelle strade di Parigi.

Preambolo per irritare un po’ tutti, ma come difensore ho un rinomato professore che sussurra ad ogni tipo di animale, cercando di portarvi nella Bologna perduta, quella che ritrovi nelle facce deluse dei grandi virtussini, nella camminata fra le stelle della musica, del jazz, fino ai sotterranei di piazzale Azzarita dove ci siamo fermati davanti ad ogni stazione per ricordare i campioni che furono con la maglia della Effe, dal barone Schull a Carlton Myers, ma trovando ispirazione soltanto davanti alla gigantografia di Beppe Lamberti perché secondo le visioni del badante Tony Cì, nella sera in cui la Fortitudo di oggi ha dovuto lasciare il sogno alla Brescia che aveva tutto e di più, pur avendo dovuto perdere le penne e l’abito regale nelle due sfide al Madison, sicuramente l’uomo di Monzuno e Parisini avranno dovuto arginare la furia dell’avvocato Porelli nella sala per fumatori allestita lassù, nella reggia dei canestri perduti, delle anime che ricordiamo sempre e a cui ci raccomandiamo spesso, anche oggi in un regime dove ti dicono e ti fanno capire che non è facile essere buono se dentro sei cattivo come dicevano da Stelio Cigui a Trieste dove certi triestini di oggi non li avrebbero fatti sostare neppure sulla porta. Certo anche l’avvocatone avrà fatto tanta fatica a capire come la sua Virtus è potuta cadere nel pozzo della retrocessione in un campionato dove una soltanto era condannata a lasciare l’arengo, dove oggi ci aspetta l’incontro ravvicinato con il primo presidente di società, nell’era moderna, che promette di andare anche in campo per mostrarci il suo tiro da tre nel Cantuchi russificati.

Per essere chiari per questo finale di A2 voto 9 a Boniciolli, lui e Menetti allenatori dell’anno, anche per diverse strade fra pazzia e buonumore, 10 a Brescia che torna in serie A dopo 28 anni, a Sandro Santoro che come manager dei leoni ha gestito con classe la difficile situazione che si crea sempre in Italia dove i palazzi sono troppo vecchi, soffocanti, dove la cultura sportiva è al minimo, dove c’è sempre chi vorrebbe essere notato più dei protagonisti sul campo. Nove ad Ario Costa che questa nuova Brescia l’ha creata, nel nome di Pedrazzini e del barone Sales che lo rapirono ai gnocchi di Cogorno, prima di tornare nella Pesaro che gli ha dato gloria, Sette ai giocatori delle due squadre, tutti bravi, come spirito almeno, sulla tecnica chiedete ai loro allenatori, otto a Diana per aver resistito anche in tempi difficili.

Tornando a noi, alle notti bolognesi come eravamo abituati a viverle, discutere fino all’alba senza sentire la stanchezza, il caldo, la delusione di avere una voce che quasi non si sentirà più, adesso che ai vincitori è concesso quasi tutto. Grazie Boscia, grazie al gruppo di Willie the King che cerca ancora anime come nei giorni di San Lazzaro anche dovendo respingere macchine blu e stormi dirigenziali di chi non ha vergogna e pretende di codificare le scelte volontarie facendole diventare kermesse per chi meriterebbe di andare in ceppi davanti a Malagò, presidente del Coni. Direte che con questo caldo avvicinarsi alla Nazionale prendendola così da lontano è crudele. Be’, cara gente, perché non portarvi dove abbiamo abbracciato molti della grande Ignis, Guido Borghi in testa, sempre cauto nei movimenti perché se intorno ci sono Ossola, Meneghin e Zanatta, nessuno può sentirsi al sicuro e il peggio sarà sabato prossimo all’ippodromo varesino dove tutti gli ex della valanga gialla sono stati invitati per bere nel nuovo trofeo, Bianca Rossi dal sorriso coinvolgente, Achile Canna, la roccia come il Gamba che lo ha raccontato, Iwan Bisson, è sì la W doppia è l’ultima scoperta per l’uomo che oggi vive  a Roseto e in campo era bello da vedere anche se poi fuori ci diceva che la sua vita era come  quella dei giovani del suo tempo, golf e bridge, ma dai, direbbero ancora oggi Marino, sia Zanatta che l’amatissimo Cappellini venerato ancora oggi dal Galleani che ha vinto nei mari più tumultuosi, legandosi per la vita a campioni straordinari, ma anche rompicoglioni che sul lettino dei massaggi confessavano tutto. Peccato non averla davvero a Bologna questa casa della gloria. Per sempre. La Sala Borsa sarebbe perfetta. Ma la città ha anche altri posti dove custodire la memoria. Purtroppo non quella dell’ultima esibizione di Azzurra.

Eccoci arrivati fra una bestemmia e l’altra, nel caldo, nelle code, sulle strade sbagliate dove un vecchio pensionato voleva mandarci l’ambulanza per un trasferimento al neurodeliri vedendo Tanjevic che dopo il campo Falchi, sulla via Osoppo, cercava di stemperare la tensione spiegando, per la milionesima volta, come deve stare un giocatore in difesa. Un falso ideologico, visti i giocatori che oggi considera superiori nella povera italietta che a lui piace tantissimo. Vorrebbe esserne di nuovo l’allenatore nel 2020, salvo poi chiedere la presidenza nel 2024 con il benestare di Petrucci. Insomma eccoci ad Azzurra che dobbiamo riconsiderare tenera se contro l’avanguardia canadese, quella che farà tremare i francesi a Manila, la sfida a rimbalzo dice 51 a 33 per gli uomini d’acero. Per capire la confusione, nella pericolosa eccitazione del preolimpico, il titolo di un giornale che dovrebbe educare e non confondere, ci ha detto che è stato il primo stop per Messina. E sì. Questo resta davvero un paese dove gli allenatori sono maghi di Oz fino alla prima sconfitta, dopo liberi tutti di rimpiangere e criticare. Diciamo che per il poco tempo a disposizione Messina avrebbe avuto bisogno di partite come quella con il Canada, non certo con la Cina o le Filippine. Anche lui ha ammesso che preferirebbe perderle tutte prima di scendere sul campo per le sfide che contano, ma nell’euforia delle investiture, nel viaggio verso  il sogno di Rio, ci siamo dimenticati che era necessario programmare le cose in maniera diversa. No, cara gente, un Messina che sorride davanti alla puttanata, contro il Canada un delirio, ci spaventa di più dei viandanti  e delle troppe wags sotto i portici bolognesi. Doveva avere prove provate di chi, in questo gruppo, resterà scorpione per sempre, di chi recita la parte del giocatore che gioca con e per gli altri, ma poi, in difesa, perde quasi sempre il suo uomo al primo palleggio.

E no caro Boscia, che vedi gloria prima coi croati e poi coi greci, anche se li temi più della squadra di Aza Petrovic, ci sono cose da sistemare e così poco tempo per farlo. Naturalmente alzando il livello della competizione atletica si rischia  anche l’infortunio. La botta  a Belinelli è stata brutta, il dolorino che ha tormentato Hackett ci ha fatto ricordare altre situazioni poi non risolte, questo Bargnani che si ferma ogni due giorni sembra uno di quei treni trappola per i pendolari. Peggio sarà con i portoricani a Biella se  ricordiamo bene certe sfide, anche amichevoli, ma con loro di amichevole non c’è mai stato niente, sul campo, e questo crea allarme.

Messina aveva pregato a San Luca per avere tutti in salute. Non sarà così. Per far capire come sognava un futuro veramente azzurro ha mandato un messaggio alle truppe arruolabili: se venite in Nazionale dovete fare un passo indietro, soltanto così faremo un passo avanti tutti insieme. Eh sì, cara gente, Gallo impetuoso e inguardabile contro il Canada, prima di sognare la sfilata a Rio bisognerà conquistarsela. Meglio che le abbiate prese adesso, ma attenzione, anche se il tempo per scoprire la vera natura di certi giocatori, le debolezze di uomini che sanno tutto sulle tecniche per essere simpatici e belli da presentare al mercato, è stato così poco, noi confidiamo che chi lavora con Ettore Messina abbia portato le relazioni giuste, non quelle che vengono dettate alla servitù impegnata, casualmente a scriverne anche sui giornali. Questa Nazionale andrà a Rio se fino a Torino sarà chiusa nel castello del Toranaga Messina, vero shogun, e non penserà ai balli imperiali, alla caipirinha o casciassa brasiliana prima di aver mangiato pane duro e dormito senza telefonino accanto

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