Andiamo a comandare, a ogni epoca il suo Rovazzi

9 Giugno 2016 di Paolo Morati

Fabio Rovazzi

Avete mai provato a stare in auto con preadolescenti che continuano a chiederti di cambiare stazione radio dopo due note di una canzone finché non incrociano quel tormentone che hanno conficcato in testa? Tutto al di fuori di quello è uno ‘schifo’, anche solo dopo averne ascoltati tre secondi, perché evitare ciò che non si conosce è un segno di appartenenza al gruppo di compagni di scuola e amici che hanno playlist ben selezionate e allineate. Ecco allora che di questi tempi è molto difficile per genitori, parenti e adulti vari evitare il brano del momento di quei dodicenni desiderosi di diventare degli youtuber alla stregua dell’ormai più che ventenne Favij, inserendo di malavoglia i compiti tra una partita a Clash of clans e l’altra, e trascinando anche i fratelli più piccoli nel vortice delle loro scoperte. Stiamo parlando di Andiamo a comandare, di Fabio Rovazzi, anche lui esploso grazie al ‘tubo’ e dominatore con il suo primo (e forse unico) brano delle orecchie di ragazzini con cappellini da baseball (o similia) ben calzati in testa, scatenati nelle feste di fine anno prima di lanciarsi in vacanze estive indimenticabili.

Per chi è cresciuto con in mente la scena de Il Tempo delle mele sulle note di Reality di Richard Sanderson è dura rassegnarsi a questo scenario, eppure se andiamo a guardare indietro al 1983, ossia l’estate dei nostri dodici anni, tra una Billie Jean di Michael Jackson e una Let’s Dance di David Bowie le onde radio di tutta Europa sparavano Vamos a la playa dei Righeira. Ardito fare un paragone tra questo brano gettonatissimo (quando esistevano ancora i jukebox) e quello di Rovazzi? Non ci inoltriamo troppo in disquisizioni nostalgiche, se non per dire che anche allora i due ‘fratelli’ non erano certo considerati dalla critica più snob degli intellettuali della musica, avendo tuttavia poi lasciato un segno indelebile su un’epoca. Tornando ad Andiamo a comandare, già il testo appare ai nostri occhi come un composto di termini attuali messi qua e là in modo più o meno casuale. Ci sono i selfie (mossi), c’è il kebab (con la testa che gira come), ci sono le immancabili canne (che lui non si fa) ma c’è soprattutto un video che mostra una danza disequilibrata che i ragazzini sembrano tanto voler imitare e che poi è il vero centro di tutta la storia e l’elemento ‘geniale’ dell’insieme.

Mentre scriviamo sono quasi sedici milioni le visualizzazioni su Youtube per il video ormai del tutto virale di Andiamo a comandare e i commenti (migliaia) dimostrano come sia di fatto un brano che trascina i ragazzi, che lo mettono a scuola, scatenando il loro movimento e le conseguenti reazioni dei ‘prof’. Poi si potrà dire che non è la venerata musica d’autore, ma tutto sommato sarebbe anche ingiusto criticare Rovazzi da parte di chi ancora oggi dopo più di 30 anni non disdegna l’ascolto della migliore italo dance. Altro livello? Possibile, ma alla fine può anche trattarsi di invidia per quell’età disincantata che non c’è più e che innesca anche in questo caso e al rovescio il rifiuto per ciò che non si conosce o ci si è più semplicemente dimenticati. E allora, almeno per qualche minuto, andiamo tutti a comandare, facendo gruppo… per poi tornare tranquilli e sereni alle nostre, care, one shot preferite.

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