La condanna calcistica di De Santis

20 Aprile 2016 di Stefano Olivari

Nel paese in cui pluriomicidi e mandanti girano legalmente a piede libero, con qualche ridicola associazione di anime belle come garante, l’unica cosa che viene presa sul serio è ovviamente il calcio. Da questo secondo noi deriva l’ergastolo chiesto dai pubblici ministeri per Daniele De Santis, che il 3 maggio 2014 prima di Napoli-Fiorentina di Coppa Italia sparò al tifoso napoletano Ciro Esposito, che dopo quasi due mesi sarebbe morto. De Santis, ultras della Roma, con la partita non c’entrava ma insieme ad altri del suo gruppo aveva aspettato i napoletani con cattive intenzioni, di qui la cosiddetta preordinazione (che è cosa diversa dalla premeditazione, oltre che meno grave). Sulla dinamica dei fatti si sono ovviamente scontrate accusa e difesa: De Santis ha sparato durante la rissa, quando aveva i tifosi rivali addosso, o l’ha fatto prima di essere circondato e picchiato? Sull’argomento abbiamo letto e ascoltato di tutto, di certo nemmeno in aula si è fatta chiarezza sulla dinamica dell’accaduto. Ma prendiamo pure in considerazione l’ipotesi peggiore per la colpevolezza di De Santis: in rapporto alla giurisprudenza italiana l’ergastolo non sta né in cielo né in terra, anche senza citare i casi di cronaca a sensazione di ogni giorno. Non lo diciamo per garantismo o per buonismo, visto che per reati simili saremmo favorevoli alla pena di morte e non abbiamo alcuna fascinazione per i ‘cattivi’ (la trasmissione della Leosini ci fa vomitare, uno spot contro il canone RAI), ma soltanto per senso delle proporzioni con il marito che ammazza la moglie dopo anni di maltrattamenti. Le sfortune di De Santis sono state, in questa vicenda, fondamentalmente due e si sono saldate perfettamente. La prima è quella di essere di estrema destra: situazione che può fornirti qualche amico disposto a menare le mani per te, ma che anche ti scatena addosso quasi tutti i media, per non entrare nel terreno minato dei magistrati (tutti hanno un’opinione politica, soprattutto quelli che asseriscono di non averla). La celtica, il ritratto di Miki Mantakas, i manifesti contro l’Europa: troppo. La seconda è quella che Ciro Esposito, che non era un ultras, è un morto di calcio: l’avessero ammazzato durante una rapina sarebbe di sicuro stato dimenticato da tutti, tranne che dai parenti e dagli amici, e in un processo non mediatico il pm avrebbe chiesto per il De Santis della situazione gli ormai purtroppo classici 16 anni (pochi, ma è un altro discorso) per omicidio volontario aggravato che si registrano nella cronaca di tutti i giorni. Senza la finale di Coppa Italia.

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