Black Cat, uno Zucchero nero ma non troppo

29 Aprile 2016 di Paolo Morati

Zucchero Black Cat

Zucchero torna con Black Cat. Titolo scattante per un disco registrato tra Los Angeles, Nashville e New Orleans, che arriva a quasi sei anni dall’ultimo di inediti, con tre produttori diversi (T Bone Burnett, Brendan O’Brien e Don Was), la partecipazione di Mark Knopfler alle chitarre e di Elvis Costello e Bono ai testi inglesi. Insomma, ancora una volta un ensemble di prima grandezza per un progetto musicale che mantiene il consueto gusto internazionale a cominciare da nomi e luoghi coinvolti. Queste prime righe di introduzione giusto per fornire qualche informazione di base su un lavoro che da sostenitori di vecchia data, ancor prima che ascoltatori che scrivono di musica, ci ha messo da tempo in attesa, dopo gli auspici pubblicati in occasione dei 60 anni di Fornaciari. Anticipato dal singolo Partigiano Reggiano, musicalmente trascinante e poderoso di suoni e che da un mese martella dalle radio italiane, Zucchero lo ha definito il suo disco più nero di sempre. Sarà vero? Qui bisogna come sempre intenderci sul significato delle parole.

La black music include un ventaglio di generi diversi attorno ai quali Zucchero ha corso in decenni di carriera, soprattutto tra la metà degli anni ’80 e i ’90. È quella la fase che possiamo considerare più vicina ai dettami del R&B e soul, con lavori che da Rispetto a Spirito DiVino si arricchivano di arrangiamenti e tappeti sonori di derivazione afroamericana declinati nelle correnti mediterranee. Ecco, Black Cat parte con il piede giusto su questo versante proprio con Partigiano reggiano, già tormentone con quel suo ’slempito’ che invoca un mondo libero tra fiati e ritmiche… pulsa il basso nella successiva 13 buone ragioni, una filastrocca che scorre lieve, veloce di rintocchi e apparentemente scanzonata mettendo di buon umore, prima che la voce dell’Adelmo da Roncocesi si faccia molto aggressiva in Ti voglio sposare, probabilmente il brano più duro di Black Cat.

Con la prima ballad, Ci si arrende, arriva la prova di come il caro buon vecchio Sugar resti sempre grande interprete. E da lì è tutto un saliscendi di emozioni in buona parte centrate, dalla capacità di far suoi e trasformare al meglio brani altrui (Ten more days registrata anche da Avicii) al ritmo di L’anno dell’amore fino all’apice gospel di Hey lord. E siamo solo a due terzi di Black Cat, con il viaggio che prosegue tra la parte più dolce di Fatti di sogni (dopo ripetuti ascolti emerge come un apice) e quella più carnale di La Tortura della luna. Perché Zucchero resta sempre in bilico tra ‘diavolo e santiera’ anche in questo nuovo capitolo della sua storia discografica che si chiude ufficialmente con un altro pezzo da novanta di musica, Love again, e infine le speranze di un viaggio verso una Terra incognita. Una ballad, quest’ultima, tra quiete e rimpianto che potrebbe diventare singolo natalizio. Due gli episodi, lasciati a parte, in coda. Voci, lanciata come singolo sul mercato internazionale reinventando un brano di Loney Dear, campionato e ribaltato, sorprendente, già in odore di classico e top nei suoi concerti in giro per il mondo. E la più che anticipata S.O.S. (Streets of Surrender): versione in inglese di Ci si arrende, con testo di Bono scritto pensando all’attentato parigino al Bataclan.

In definitiva con Black Cat Zucchero dimostra di non arrendersi all’epoca del tutto subito, delle note urlate e delle ritmiche preconfezionate, per proporre qualcosa di antico e ragionato nell’appiattimento totale delle modà dell’epoca nostra. Con quelle colte contaminazioni e quella voce capace di dare la carica così come di emozionare, intatta e felicemente sofferta e goliardica su testi a volte rapidi a volte profondi, che qui e là non mancano dei suoi famosi giochi di parole, attorno alla quale ruotano strumenti che respirano e cervelli veri, mani e pensieri, ma anche cappelli e tube, e nastri analogici sui quali è stata portata parte del lavoro (i lenti), fino a incendiare le nostre fortunate percezioni. Oggi basta già questo, sarà poi il tempo a dirci che cosa resterà nella memoria.

Ma sì vedi vedi come s’incendia la notte, come anche un ricordo brucia l’anima che si arrende… (Ci si arrende)

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