L’ultimo time out di coach Reeves

25 Marzo 2016 di Stefano Olivari

Coach Reeves non significa soltanto i bei pomeriggi di Italia Uno di una volta, dopo Dee Jay Television e prima di uscire a giocare (il lato positivo dei professori sessantottini è che bocciavano soltanto i casi disperati), ma anche la più bella fiction sportiva della storia, The White Shadow, da noi conosciuta come Time Out. Il pretesto per parlarne ci arriva, come nelle peggiori tradizioni, dalla morte dell’attore che interpretava il protagonista: Ken Howard, che nella sua carriera ha fatto tante cose ma che è anche in America ricordato per la sua credibilità come allenatore bianco di una squadra di pallacanestro di high school di un quartiere degradato di Los Angeles, con giocatori di varie razze e culture, ma tutti di estrazione sociale bassa.

Un telefilm da adulti, per i temi trattati (razzismo, politica, soldi, sesso, violenza familiare, droga, alcolismo, gravidanze non volute), ma proposto senza problemi a ragazzi. Ideato e diretto da Bruce Paltrow (padre di Gwineth) e arrivato in Italia negli anni Ottanta inoltrati quando l’ultima delle 54 puntate originali era andata in onda sulla CBS nel 1981, Time Out rimane nel suo genere un esempio insuperato, se parliamo di serialità. Scene di basket non se ne vedevano molte, anche se erano memorabili (misurazione dell’altezza del ferro compresa, prima della finale: quasi un classico del genere), tutto era più centrato sulle vicende personali dei giocatori e sul modo in cui Reeves riusciva ad aiutarli ad uscirne. Ex professionista nella NBA, non un grande talento ma ancora relativamente giovane (infatti in una puntata è tentato dal ritorno), Reeves è per i ragazzi una figura di sicuro più credibile e carismatica dei loro genitori. E pur non proponendo mai grandi ricette di vita, sa farsi ascoltare ed è lui stesso una persona tormentata.

Impossibile dimenticare i componenti della sua squadra: Coolidge (l’attore, Byron Stewart, aveva e avrebbe avuto altri ruoli come giocatore di basket) il leader della squadra, Thorpe il battutaro, l’ombroso ‘Salami’ (nella vita fratellastro di Dick Van Patten, il padre della Famiglia Bradford), l’introverso ebreo Goldstein, il grintoso ispanico ‘Go-Go’ Gomez, CJ, Reese e altri. Menzione d’onore per Thomas Carter, che interpretava Hollywood e che è diventato un famoso regista, con al suo attivo anche un eccellente film sul basket come Coach Carter.  Non è insomma un caso che The White Shadow sia diventato culto ben al di fuori del circuito della nostalgia, visti i temi trattati e la complessità di quasi tutti i personaggi, mentre è strano che non sia più stato possibile proporre una fiction sportiva (mentre invece i film di alto livello sono stati tanti) senza infantilismo, retorica della vittoria, macchiettismo. Avremmo voluto un allenatore come Reeves, uno che ti insegnasse la vita senza fartelo pesare.

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