Creed, il grande testamento di Stallone

2 Febbraio 2016 di Stefano Olivari

Tutti a dire che Creed-Nato per combattere non è Rocky VII ma un qualcosa di nuovo, al massimo uno spin-off, a partire da Sylvester Stallone. Invece Creed, due settimane nei cinema italiani, non solo è Rocky VII anche se per ovvie ragioni Rocky non è sul ring, ma è uno dei migliori Rocky. Amaro come l’I e per certi versi fumettistico come il IV, non è firmato da Stallone (che finora aveva diretto tutti gli episodi, tranne il primo e il quinto) regista ma da Ryan Coogler: uno che quando Ivan Drago diceva ‘Ti spiezzo in due’ non era ancora nato. In realtà Creed è la summa del pensiero stalloniano: la poetica dei perdenti anche quando si vince, il buon senso apolitico e prepolitico, il rimpianto dell’innocenza perduta anche quando c’è poco da rimpiangere, il sottile disprezzo per il machismo Alfa, una coscienza di classe urlata, un fatalismo che anestetizza gioie e dolori.

Creed è ovviamente il cognome di Apollo: suo avversario nel primo e nel secondo episodio, amico e maestro nel terzo (che si conclude con un incontro a porte chiuse, di cui finalmente Rocky adesso rivela l’esito), campione di cui vendicare la morte nel quarto. Adonis è il figlio di Apollo, avuto da una relazione extraconiugale ma recuperato dalla vedova di Apollo (interpretata da Phylicia Rashad, personaggio notevole e da noi conosciuta soprattutto come la moglie di Bill Cosby nei Robinson) in un riformatorio, fatto studiare e protetto fino a quando l’ossessione per la figura paterna lo spinge sui ring puzzolenti di Tijuana, per poi mollare un lavoro nella finanza e giocarsi tutte le chance nel professionismo vero. Adonis, interpretato da un Michael B. Jordan (e meno male che c’è la B) quasi monoespressivo, si trasferisce da Los Angeles a Philadelphia, riuscendo a convincere Rocky e anche una meravigliosa Tessa Thompson a credere in lui, che in tempi brevi ma non assurdi (se un ipotetico figlio di Tyson salisse sul ring ci sarebbe la corsa ad offrirgli una chance mondiale) arriva a combattere per il mondiale contro l’inglese Ricky Conlan, nella sua Liverpool, in un Goodison Park strapieno (le riprese del pubblico sono state effettuate durante un Everton-West Bromwich Albion). Tantissimi i riferimenti alla boxe vera. Conlan è interpretato da Tony Bellew, che è davvero di Liverpool ma che soprattutto è il campione europeo dei massimi leggeri. Leo Sporino (da molti spettatori scambiato per Fedez), che Adonis incontra al suo primo match vero, è interpretato da Gabriel Rosado, un ottimo peso medio nel giro dei potenziali sfidanti mondiali. Jacob ‘Stitch’ Duran è uno dei migliori cutman e ha lavorato con mille pugili, dai Klitschko a Pacquiao.

Essendo cinema-cinema non possiamo raccontare la trama a chi magari in questo momento ha intenzione di vedere Creed, ma possiamo senz’altro affermare che questo film è una delle migliori prove di Stallone come attore: autoironico senza sconfinare nel gigionismo, epico senza bisogno di scene spettacolari, commovente in più punti, quando la fusione con il personaggio è totale. Per certe scene abbiamo pianto, al contrario dei tanti giovanissimi che affollavano la sala e ai quali il film è piaciuto per altri motivi: per loro Rocky è sempre esistito, è quasi un elemento della natura. Però chi ha visto al cinema il primo film della serie forse apprezzerà ancora di più questo finale di partita. Il testamento di un genio del cinema, aperto con lui ancora in vita. Da vedere e rivedere, come gli altri sei.

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