Fuffa

13 Dicembre 2015 di Paolo Sacchi

Mi chiamo Fuffa, sono nata nel 2010 e vivo in una città della provincia veneta. Non conosco Biro di persona, né probabilmente mi capiterà mai. A dirla tutta, a noi gatti interessano relativamente i rapporti a distanza: già dopo sette settimane, volenti o nolenti (più nolenti che volenti), ce ne andiamo di casa e i genitori non torniamo a trovarli manco per le feste comandate. Ho una gemella che si chiama Missie, che frequento dalla nascita insieme al nostro umano di riferimento. Abbiamo trascorso un infanzia da telenovela sudamericana, a tratti comune a molti di noi gatti: padre assente, madre volenterosa che ci ha sfamato ma poi è stata costretta a emigrare per colpa di bipedi insensibili, oltre a una serie infinita di traslochi. Da diversi anni però le cose stanno andando meglio: abitiamo in una casa in mezzo al verde, dove abbiamo addirittura ritrovato nostra sorella minore Marlene (è una storia lunga, che vi risparmio). In tutta onestà, i miei rapporti con le mie sorelle non sono idilliaci e, devo ammetterlo, non di rado finisce a schiaffi per i motivi più futili, come ad esempio per la viabilità alla botola che collega la casa con l’esterno. Dunque preferisco di gran lunga la compagnia dei miei amministratori umani. Con loro intrattengo un costante dialogo e ne assecondo pure le velleità culturali. Certo, mi tocca talvolta assistere alla proiezione di film d’essai – che paradossalmente preferisco ai posticipi di Lega Pro – ma almeno mi sdraio nel bel mezzo del divano mentre mi grattano la pancia. Lo ammetto, non c’è volta in cui non mi addormento: il fatto è che non sono quasi mai la prima. Quando invece gli umani sono assenti, cerco di rendermi utile: mentre le mie sorelle si divagano tra loro e socializzano con i nostri simili del vicinato, io mantengo l’ordine pubblico all’interno del nostro territorio. Non per vantarmi ma ho un ruolo socialmente utile: sono una specie di poliziotta di quartiere. Ogni tanto faccio scattare le manette: pettirossi, lucertole, cavallette, topolini senza fissa dimora. Una volta arrestati, dal giardino li traduco direttamente presso il salotto di casa. Non sempre i miei sforzi sono apprezzati dagli umani (il ruolo di coroner non gli si addice) ma alla fine finisce sempre a tarallucci e vino. Vengo premiata con prodotti secchi (volgarmente definiti “crocchini”, con una nota marca vicentina a farla da padrona tra le mie preferenze) oppure morbidi, pescando spesso tra quelli che i bipedi considerano scarti delle loro cena, in realtà estremamente graditi da noi tutte. Ah, mangiamo a turno: pur essendoci tre ciotole, ci siamo autoregolamentate. Prima si servono Missie e Marlene, poi è il mio turno. È un sottile gioco di equilibri che replichiamo, ad esempio, nel come e dove trascorrere la notte. Anche qui abbiamo trovato un accordo di massima: d’estate solitamente loro due rincasano spesso tardi (le mie sorelle intendo, gli umani ormai tracollano verso le dieci), mentre d’inverno usufruiscono del lettone (in questo caso intendo tutti) mentre io preferisco posizionarmi sulla poltrona del cosiddetto studio da cui posso osservare l’esterno e controllare, tra un pisolino e l’altro, chi entra e esce di casa. Tutto qui. Dunque, caro Biro, ecco le mie foto, destinate all’immortalità. Sperando che gli amministratori di altri gatti, cani, pesci, eccetera, trovino il tempo e la voglia di condividere le loro. (testo raccolto da Paolo Sacchi)

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