Mario Cervi, Montanelli senza il montanellismo

17 Novembre 2015 di Stefano Olivari

Ricordiamo poche presenze di Mario Cervi in televisione, eppure abbiamo letto centinaia di suoi articoli e tutti i suoi libri: Storia della guerra di Grecia il più famoso, La piovra corporativa il più illuminante. Molti altri, fra i suoi libri, sono entrati nella memoria collettiva come ‘I libri di storia di Montanelli‘, quando il grande Indro si limitava ad una supervisione del lavoro di un uomo del quale si fidava ciecamente. Discorso che vale anche per Roberto Gervaso, altro grandissimo writer poco ghost. Come Montanelli ex ufficiale dell’esercito, ma per motivi di età al fronte in una guerra persa (cremasco classe 1921, combattè e fu fatto prigioniero in Grecia), Cervi è stato la quintessenza del grande inviato senza mai diventare un personaggio divisivo alla Montanelli, oppure ‘una media azienda bene avviata’ (velenosa e geniale definizione di Bocca) come Biagi. Cervi non era un marchio, un brand, per apprezzarlo bisognava leggerlo sia nei grandi reportage da dove accadevano i fatti da libri di storia che nei meditati commenti, in equilibrio miracoloso fra mercato e disinteresse per il mercato stesso. La voce (a ‘La Voce’ aveva anche partecipato, in mezzo alla sua vita al Giornale e dopo i decenni al Corriere della Sera prima della svolta sinistroide) di quella borghesia liberale che in Italia ha contato qualcosa soltanto quando non esisteva il suffragio universale (cioè fino al 1912, riferendosi solo ai maschi) e che ai giorni nostri è purtroppo soltanto un clubbettino di liberi pensatori. In questo senso il dignitoso conservatorismo di Cervi avrebbe potuto avere più futuro politico della pur geniale anarchia di Montanelli: fu più lucido del maestro nell’intuire che la maggioranza dei lettori di Montanelli era tante cose, ma di certo non antiberlusconiana. E anche per questo seguì un po’ defilato la fase finale dell’amico, strumento forse inconsapevole dei Fabio Fazio di turno. Non abbiamo un aneddoto personale, neppure di quando abbiamo indegnamente lavorato nel suo stesso giornale, in omaggio alla filosofia di Cervi non lo inventeremo. Ma siamo felici di averlo da lettori apprezzato per tutta la seconda parte della sua lunga e ben impiegata vita. Come ben speso è stato il tempo passato sulle sue pagine.

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