Un Gallo basta e avanza

31 Agosto 2015 di Oscar Eleni

Oscar Eleni dall’abbazia cluniacense dell’Italia Nord Settentrionale dove ci hanno spinto le roboanti telecronache del torneo di Trieste dei “canossiani” di Sky. Quelli che si sono messi in ginocchio sulla sabbia rovente, più che sulla neve, per riavvicinarsi al basket italiano. Adso Pessina da Aosta in venerabile condivisione di aggettivi, superlativi, del Gugliemo da Baskerville interpretato, o almeno convinto di poter interpretare la parte del veneralbile maestro, come al solito, dal Flavio dei Tranquillo, ci ha portato lontano dal Bernardo Gui inquisitore facendo capire al colto, all’inclita, cose che ci sfuggivano. Insomma, se hanno trovato positiva la partita di Gentile contro la Russia, lo 0 su 8 ci è sembrato il meno, vuol dire che questa Italia in partenza per l’Europeo è forte assai.

Seguendo i maghi Merlino del sistema sport italiano, ci siamo seduti spaventati sul bordo del fiume che porta a Berlino. La storia direbbe che è meglio arrivare alla grande manifestazione senza fanfare ed ottimismo. Persino a Capodistria, nell’ultimo europeo, il silenzio tombale della vigilia, la sfiducia generale, aveva generato buone prestazioni, salvo poi scoppiare, per motivi fisici e non tecnici pur considerando noioso e prevedibile il gioco di Azzurra, quando le partite davano i premi più alti. Nessuno sembra aver studiato questi fondi di caffè, ricordando che il titolo di Nantes nacque dalle perplessità della qualificazione, con la camminata per battere la Spagna e i cazzotti per silenziare gli slavi, mentre l’oro ’99 di Parigi partì nella sfiducia, accidenti Boscia aveva fatto fuori il Poz amatissimo, poi in Costa Azzurra che paura, per non parlare della bancata presa dalla Lituania a Le Mans, ma in quell’atmosfera di reale comunità, senza bisogno di ottici nascosti negli armadi, siamo andati oltre ogni aspettativa tanto che per quel regalo abbiamo poi preso a calci la grande occasione olimpica a Sydney dove, appunto, in troppi erano ottimisti e non sapevano del fuoco amico al di fuori del villaggio rumoroso e canterino.

Questo viaggio per scoprire come sarà il cielo sopra Berlino per il basket italiano dovrebbe essere tranquillo visto che tutti, in queste ore di sconforto per il rugby nazionale, sono impegnati a lavare i panni della povera atletica italiana che ai mondiali nel Nido ci ha spiegato, meglio di qualsiasi dato o dibattito, come stanno davvero le cose nello sport in un Paese dove non si guarda mai in bocca alle vittorie donate, nell’Italietta rimasta giù dal podio dove sono salite 43 Nazioni delle 207 iscritte alle festa pechinese, vera rassegna universale dello sport che insegna a tutti gli altri. Il quindicesimo campionato del mondo, fiesta mobile inventata da un genio di Scurzolengo nel 1983, è stato entusiasmante davvero. Meraviglie in pista e in pedana, l’umanità che cerca davvero i propri limiti, i campioni che si battono in gare certo più vere di quelle costruite per fare record in un meeting. Uno stato di dolce riflessione mentre già intorno impazzavano i mercanti del tempio calcistico dove, sembra, stanno preparando roghi per gli stessi che l’anno scorso sono stati beatificati: dal Sarri contestato a Napoli andavano a studiare e copiare in tanti sul campo di Empoli; per Allegri sono stati scomodati molti santi del Paradiso calcistico, non parliamo del costruttore di squadre Marotta, ma il mondo intorno a loro, adesso, è prontissimo alla tortura e la gogna sembra già pronta.

Per questo non andremo oltre un caloroso e sincero “In bocca al lupo” per la creatura che rende smanioso, nell’attesa, un presidente federale ossessionato dall’idea di poter benedire il mondo dal Corcovado di Rio; per una Nazionale di basket che assomiglia moltissimo all’allenatore che le ha cucito addosso il vestito delle sue certezze assolute, tipiche di chi te la spiega sempre e, se dovesse andare male, ha una spiegazione altrettanto pronta per far capire dove hanno sbagliato: gli altri, ovviamente. Una dote se vuoi dirigere altri uomini, ma non crediamo che il Piccolo Principe di una Lupa avara, incapace di dargli la gioia di un Palio da troppi anni, avrà vita semplice nel mettere insieme questa squadra diciamo atipica perché non ha certezze al centro, anche se accettiamo le ironie tranquille di chi sogghigna quando Danilo Gallinari fa il boia e l’impiccato, gruppo di troppe prime punte a cui servirebbero rifornimenti cadenzati secondo i voleri della luna come capita nella pallavolo.

Difetti nostri, fisici, tecnici, ma non siamo sicuri che Turchia, Germania, le due che dobbiamo assolutamente battere, siano senza problemi, non siamo certi che in casa Spagna e nel laboratorio Serbia ci sia questa gran serenità. Come diceva Velasco quando costruì la squadra di pallavolo del secolo, se non sai convivere con i tuoi difetti, se non cerchi di migliorarli, se pensi che gli altri siano troppo lontani per pensare di raggiungerli con la fatica, il sacrificio, allora smetti subito.

Non sembra che questa sia l’Italia dei cesti. Fasi entusiasmanti in attacco, la palla gira, tutti disponibili, anche se i loro occhi e la postura direbbero il contrario e questo lo capisci nelle pause collaborative che poi fanno rimontare anche squadre di brocconi come la Finlandia o ti mettono in difficoltà contro una Georgia che avrebbe figurato bene al campionato over di Orlando vinto dagli azzurri sopra i 45 e sfiorato, perdendo contro gli Usa, da quelli sopra i 50. Ha un‘anima da scorpione, punge sempre, anche quando uccide chi la sta portando al di là del fiume. Ci sono stati momenti in cui vedendo giocare l’Italia, che adesso è delizia per gli occhi dei canossiani di SKY, gli stessi che consideravano il basket al di fuori della NBA parrocchietta da Pentagono in trasferta, abbiamo gridato con la poca voce rimasta: uno alla volta, per carità. Aria rossiniana, roba per barbieri di qualità, come direbbero a Pesaro, adesso che trovano gusto nella giovane squadra affidata a Paolini, ma c’era necessità che le prime punte lasciassero spazio in scena anche al collega del momento.

Parlarsi addosso, cercare il pelo nell’uovo di un assist rende tutto artificiale, mentre ha un senso considerare assolutamente verboten, si va a Berlino accidenti, la perdita di consistenza difensiva da squadra. Niente sbuffi, braccia e occhi al cielo. Bassi sulle gambe, pronti a colpire tutto quello che c’è sopra il legno duro e, come diceva Rocco, se è il pallone è meglio perché abbiamo una panchina abbastanza lunga per reggere il muro di Simone. La natura, gli infortuni, poi, hanno liberato un po’ la scena per le ultime partite di prova, questa insistenza nel dire che erano partite vere faceva capire l’insicurezza dei soggetti, hanno permesso all’allenatore capo e alla sua quadriglia di capire almeno che era assurdo mettere in discussione il Polonara utilissimo proprio quando i dioscuri non trovano la manina fatata. L’assenza di Bargnani ha chiarito qualcosa, mai come la nota critica, assolutamente condivisibile del Pedrazzi sul Curierun, a proposito del Mago. Sul Datome da usare in rincorsa, insomma da miscelare per non tirare il collo alla prima punta Belinelli, al capo giocatore Gallinari, per rendere meno angosciosa l’attesa di munizioni del Matamoros Gentile, siamo fiduciosi. Ci servirebbe un Cusin convinto di poter fare cose importanti e ci auguriamo che la scelta finale dei 12, certo deve avere tante angosce il Cittì se ha atteso l’ultima ora per dare l’elenco alla FIBA, non sacrifichi il genuino talento di Amedeo dei Della Valle. Dispiaciuti soltanto per Pascolo, non per Cervi. Ci auguriamo anche che Cinciarini e Hackett, due uomini chiave, da cui dipende molto in questo europeo, capiscano come ci si divide il pane delle responsabilità.

Naturalmente speriamo che il Gallo canti sempre per tenere deste le galline del pollaio di Azzurra. Labbra viola, occhio febbrile. Si vede che non è al meglio della condizione fisica, ma mentalmente è il tipo giusto per legare tutto perché se uno accetta con serenità il destino riservato dai quesi sapientoni della NBA allora può anche dirigere il concerto dei troppi primi violini a cui piacerebbe usare il trombone in Azzurra semitenera se giocherà con la rabbia mostrata contro quello che resta della Russia, una immagine davvero opaca del vecchio impero e pensare a quelle maglie con il numero dipinto col pennarello sulla schiena, nella prima serata contro gli Spartans di Michigan, ci fa capire che il neopresidente Kirilenko avrà bisogno degli stessi diamanti che adesso serviranno alla nuova Siena per fare una squadra decente da mandare in un campionato con un solo sbocco verso la serie A, purgatorio che potrebbe durare nel tempo e questo, alla fine, magari renderà aceto il vino dell’entusiasmo che sembra animare molte iscritte dalla storia importante.

Via verso il viale dei tigli della Berlino che ci piaceva all’Est: né ottimisti, conviene, né pessimisti, è robetta da italianuzzi del nu vulevon savoir. Sappiamo cosa tiene in tasca Azzurra, ha difetti e qualche pregio. Basta non farsi trovare nudi sulla Sprea, il fiume dei Sorbi dove farebbe male prenderle da orbi.

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