Tristezza per l’atletica morta

28 Luglio 2015 di Stefano Olivari

Il fine settimana torinese degli Assoluti ha reso evidente che l’atletica italiana ha toccato il fondo rispetto alla sua spesso gloriosa, ma comunque sempre dignitosa, storia. Situazione ufficializzata poi dalle convocazioni per i Mondiali di Pechino: interi settori senza alcun atleta con il minimo o con la speranza di rientrare nel cosiddetto target number (in pratica se la specialità non ha un tot numero di iscritti si buttano dentro i primi fra quelli senza minimo: è il caso di Chatbi nelle siepi, di Schembri nel triplo e della Magnani nei 1500), pochissime punte (la Giorgi nella marcia e il duo Fassinotti-Tamberi se la gara dell’alto sarà, come a volte avviene nelle grandi manifestazioni, al ribasso), nessun segnale di risveglio fatta eccezione per le giovani mezzofondiste, anche se nessuna di quelle sane ha il minimo per Pechino (onore comunque alla Zenoni, vincitrice degli 800 dopo il bellissimo bronzo ai Mondiali Allievi), un clima di tristezza generalizzata che è stato sottolineato dalla presenza soltanto di parenti e amici sulle tribune del Nebiolo. Criticare i meno peggio, perché questo sono gli attuali 36 convocati azzurri, è stupido e in uno sport che in quasi tutte le sue specialità deve confrontarsi con il mondo è stupidissimo. Qualche considerazione però si può fare già prima di Pechino, senza poi scendere in piazza per un exploit da medaglia o linciare chi non poteva fare di più.

1) La situazione nei lanci, soprattutto a livello maschile, è pessima e ingiustificabile perché nelle specialità senza ‘mercato’ chi può contare sugli stipendifici militari (siamo rimasti noi e pochi altri) dovrebbe almeno essere presente.

2) I cosiddetti nuovi italiani, mettendo insieme quelli da matrimonio e quelli che davvero sono cresciuti in Italia, ottengono risultati in linea con quelli dei vecchi italiani e adesso, caduto l’alibi della razza e delle fibre, qualche allenatore-santone dovrebbe spiegare il perché. O magari lasciare la FIDAL e tornare al proprio posto tenuto caldo dalla scuola, dove non si presenta dai tempi dell’ultimo governo Fanfani.

3) La fu Coppa Europa è altamente diseducativa, per il meccanismo dei piazzamenti che premia la mediocrità e per certi versi addirittura la incentiva.

4) Il livello medio troppo basso allunga tante carriere per cui si dovrebbe scrivere la parola fine, come ha fatto pochi giorni fa Elisa Cusma. Da Pertile alla La Mantia, passando per lo stesso Donato (per carità di patria non chiediamo la rimisurazione del suo 16,91, un centimetro più del minimo mondiale) e magari anche Gibilisco che dopo questo anno sabbatico fuori dalle Fiamme Gialle potrebbe tornare per Rio.

5) Nessuna federazione, nemmeno se a capo ci fosse il professor Vittori, potrà invertire la tendenza finché fra gli uomini arriveranno gli scarti di altri sport e fra le donne aspiranti statali bisognose di tempo libero per gli studi o la famiglia.

6) La mancanza di atleti italiani di alto livello non è un problema di tifo nazionalistico o di share televisivo, ma proprio di pura sopravvivenza: sia di quel poco che rimane di meeting e gare professionistici, che del reclutamento di talenti decenti. Altra cosa l’atletica amatoriale, che complici la disoccupazione e sotto-occupazione diffuse sta conoscendo un vero e proprio boom.

7) Previsione per Pechino: una medaglia, dalla marcia o dall’alto. Ci andrebbe già bene, visto che nelle ultime tre edizioni dei Mondiali l’Italia ne ha portate a casa in totale proprio due: zero a Berlino 2009, il bronzo della Di Martino a Daegu 2011 e l’argento della Straneo a Mosca 2013.

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