Perfidia, Ellroy è arrivato al prequel

11 Giugno 2015 di Stefano Olivari

Cosa ti lasciano dentro novecento pagine di James Ellroy? Dopo la lettura di Perfidia, l’ultimo romanzo dello scrittore californiano, la domanda è legittima visto che per il primo libro di una nuova tetralogia di Los Angeles, dopo quella che lo lanciò (Dalia nera, Il grande nulla, L.A. Confidential, White Jazz), Ellroy ha fatto scendere in campo moltissimi personaggi dei libri precedenti. Ambientati temporalmente dopo il dicembre 1941 in cui si svolge l’azione di Perfidia, che quindi diventa in stile Guerre Stellari una specie di prequel con protagonisti e comprimari a noi familiari. In questo senso una buonissima scelta, perché il principale difetto dell’Ellroy ipertrofico non è quello del numero di pagine ma della quantità di nomi e situazioni, di cui è spesso impossibile tenere il conto e di cui lui si innamora al punto di gigioneggiare, quasi rivolgendosi personalmente ai suoi lettori, rendendo poi forzati e sciatti certi snodi della trama: un difetto in Europa, un crimine in America.

Tutto parte nella Los Angeles che si aspetta l’entrata in guerra da un momento all’altro, che puntualmente si materializza con l’attacco giapponese a Pearl Harbour. Da quel momento ogni giapponese residente sul suolo americano, anche americani che di giapponese hanno soltanto genitori o nonni, diventa un potenziale nemico o un appartenete alla cosiddetta quinta colonna. Hideo Ashida, cittadino modello e consulente scientifico della polizia, riesce a scamparla in virtù della sua utilità materiale, ma è un’eccezione. In questo clima di sospetto, eccitazione, paura, rabbia, patriottismo, tutte le contraddizioni dell’epoca esplodono nella corrotta polizia di Los Angeles, dove Bill Parker e Dudley Smith, non i più alti in grado ma senz’altro i caratteri dominanti, sono al centro della cronaca e della storia infrangendo praticamente ogni legge, in un misto di carrierismo e di idealismo che non lascia indifferenti.

Come quasi sempre avviene, Ellroy è maestro nel mescolare realtà e fantasia, così la storia degli internamenti degli americani di origine giapponese è il contesto da cui partono vicende e sottovicende spesso oltre i confini del grottesco. Chirurghi plastici che vogliono trasformare i giapponesi in cinesi, star del cinema tipo Bette Davis che sbavano per poliziotti tossici, film porno girati da prigionieri, speculazioni immobiliari, miliardari (l’immancabile Kennedy senior, anche se non manca un’apparizione di un giovane e ovviamente infoiato JFK) invischiati nei traffici più loschi, finti suicidi rituali, nazisti non dell’Illinois, psicoanalisti doppiogiochisti, comunisti gay, bische clandestine, messicani corrotti, incesti, la solita quantità industriale di farmaci e alcool, eccetera.

Da ellroyani della prima ora, ma non della seconda (la stima infinita è arrivata fino ad American Tabloid compreso, quindi a metà anni Novanta) né tantomeno della terza, quando in lui vedevamo un quasi Chandler anche se un po’ troppo compiaciuto, abbiamo letto Perfidia (in Italia edito da Einaudi) in scioltezza e archiviato anche Kay Lake nella galleria di donne misteriose e al tempo stesso banali di questo tipo di romanzi. Il miglior Ellroy in circolazione nel 2015 rimane quello delle interviste, orgogliosamente in fuga dal presente (per lui la storia americana si ferma al 1972) ma che invece il presente lo spiega benissimo. L’Ellroy scrittore rimane comunque un gigante, per il senso della storia che si avverte in ogni riga e l’orgoglioso artigianato. Per rispondere alla domanda iniziale, cosa ti lascia dentro Ellroy oggi? Non più stupore, ma sempre quel sentimento di innocenza perduta che esiste anche nel più squallido dei suoi personaggi di fantasia.

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