Soukhoroutchenkov, il più grande fuori dai pro

5 Maggio 2015 di Simone Basso

Il 30 Aprile 1981 si disputava la quinta tappa del Giro delle Regioni. Da Arezzo, lo stabilimento della Del Tongo in quel di Tegoleto, fino a San Marino: la frazione chiave di una competizione contraddistinta, fin lì, dallo strapotere sovietico. L’Unione Sovietica del ciclismo, diretta col pugno di ferro da Viktor Kapitonov, non aveva nulla da invidiare – in quanto a talento (bulimico) – alla leggendaria Sbornaya dell’hockey, lo squadrone di Kharlamov, Maltsev, Fetisov e compagni. In Italia quella volta, intenti a razziare qualsiasi traguardo, c’erano Zagretdinov, Mitchenko, Barinov, Kachirin. Tutti campioni. E poi Soukhoroutchenkov, che faceva storia a sé.

Una delle tre gare a tappe più prestigiose del mondo dilettanti, le altre due erano la Corsa della Pace e il Tour de l’Avenir, il Regioni veniva organizzato da Eugenio Bomboni e L’Unità. Il quotidiano del PCI trovò come sponsor principale della manifestazione la Brooklyn – cioè la Perfetti – col fortunatissimo slogan “La gomma del ponte”. Il capoclassifica, sovente uno dei corridori dell’Armata Rossa, vestiva così i colori biancorossoblu della bandiera americana… Si correva per nazioni e si faceva maledettamente sul serio: gli europei dell’est, baionetta fra i denti, dovevano dare sempre il cento per cento. La loro carriera, prima di rientrare nei ranghi dell’esercito, durava un quadriennio olimpico. I nostri, gli italiani, i francesi, i belgi, gli spagnoli, venivano travolti da una vis agonistica debordante, impietosa.

Quella mattina il comunista (…) che indossava la maglia “americana” del comando era Charkid Zagretdinov. Si partì, al solito, alla garibaldina. Fuori dagli stabilimenti Del Tongo fuggirono subito in tre: l’olandese Hogervost, il britannico Lawrence e il cecoslovacco Kostadinov. Al primo gipiemme – Bibbiena – i battistrada avevano tre primi di vantaggio. Salendo verso Chiusi della Verna, col bulgaro Lozev a bagnomaria nel tentativo di ricongiungersi con i fuggitivi, la scena madre. Soukho forò. Attese l’ammiraglia, col plotone allungato a mo’ di fisarmonica, notando l’improvvisa accellerazione di quelli davanti. In testa c’erano gli azzurri, squadra A e squadra B insieme, che – accortisi della défaillance meccanica del ras di Trostnaya – si misero a tirare come se il traguardo fosse dietro l’angolo. ‘A bloc, Davide Cassani, Giuseppe Petito, Fabrizio Verza, Franco Chioccioli. Tutti per il capitano Fedrigo, dilettante a vita per scelta.

Sergei, con la ruota in mano, si arrabbiò. Risalì in sella, furioso, cominciando la rimonta: saltò un gruppetto dietro l’altro e mise nel mirino il plotoncino dei migliori. Li affiancò nel tratto più difficile della salita, spingendo – a una frequenza oltraggiosamente bassa – un rapporto durissimo. Nemmeno la sua Colnago rossa fosse collegata a un filo invisibile, a una teleferica nel cielo, passò loro senza degnarli di uno sguardo. Doppiò Lozev e raggiunse il trio in avanscoperta. Lawrence, sui saliscendi che precedevano il Passo di Viamaggio, provò – per qualche minuto – a stare in scia al fuoriclasse sovietico. A cento chilometri dall’arrivo Soukhoroutchenkov rimase da solo. Sergei proseguì a un’andatura non consentita ai comuni mortali; dietro, gli inseguitori (?) saltarono in aria. La motostaffetta dei cronometristi iniziò un curioso andirivieni tra il Merckx del Volga e gli altri. Due, tre, quattro minuti di distacco. Poi cinque, sei, sette, otto, dieci. Uno spettacolo: Badia Tedalda, Novafeltria, le pendici del Monte Titano sbranate dal biondo. Che, una volta toccati i quattordici minuti di vantaggio, iniziò ad amministrarsi.

Per noi occidentali era Soukho, i russi invece lo soprannominarono Soukhar, pane secco. Figlio di contadini, messo in bici dal fratello maggiore Viktor che – negli anni Sessanta – fece parte del quartetto della Cento ai Mondiali. Quelle gambe prodigiose, ipertrofiche, le sviluppò andando a scuola, pedalando ogni dì dalle parti di Briansk. Lo conoscemmo al Tour de l’Avenir 1978, che dominò stritolando la concorrenza in montagna e a cronometro.  Erede naturale di quell’energumeno di Aavo Pikkuus, anche nei rapporti tempestosi col cittì Kapitonov. L’unico periodo di tregua con il selezionatore fu in vista di Mosca 1980, un percorso folle, tortuoso, perfetto per esaltare la potenza di Sergei. Il (gran) giorno della prova olimpica Soukho, favoritissimo della vigilia, fece un numero dei suoi. Partì dopo un giro e mezzo, si accompagnò a Lang e Barinov nella fase centrale e poi, nella canicola, li salutò. Centocinquanta chilometri di fuga vincente. Per assistere a qualcosa di paragonabile, ma non troppo, in una competizione a Cinque Cerchi, abbiamo dovuto aspettare Londra 2012 e Marianne Vos. Che, sotto il diluvio, battè Armitstead e Zablinskaya. Olga, medaglia di bronzo, è uno dei sette figli di Sergei.

A San Marino, Soukhoroutchenkov firmò un’impresa degna della Cuneo-Pinerolo di Coppi. Alle spalle del mostro, a distanza siderale, sbucarono Youri Barinov (a 11’26”) e Giovanni Testolin (a 11’28”). Quarto, a 11’37”, Mitchenko; il cubano Alonso e Chioccioli precedettero di qualche secondo i resti del gruppo: a quasi dodici minuti, Petito, Zola, Cardet, Fignon, Zagretdinov, Riccò, Hekimi, Gorospe e Fedrigo.  Sergei corse quel Giro delle Regioni raggiunto, in Francia, dalla notizia della morte della madre. Fu l’ultima annata – trionfale – di quel gruppo: Soukho, allontanato da Kapitonov nel 1982, ritornò due stagioni dopo per inseguire il sogno del bis olimpico. I Giochi di Los Angeles svanirono a causa del boicottaggio del blocco orientale, ma si consolò rivincendo la Corsa della Pace con un assolo lungo l’erta di Karpacz.  Il più grande ciclista russo di tutti i tempi divenne pro a trentadue anni, nel 1989, in un’Alfa Lum nella quale fece da chioccia ai vari Konychev, Poulnikov, Tchmil.

Simone Basso, in esclusiva per Indiscreto

Share this article