La pensione dei nonni era un furto

20 Maggio 2015 di Stefano Olivari

Aria fresca su Indiscreto, diciamo qualcosa di sinistra in omaggio alla parte migliore (più buona, più intelligente, più presentabile in società) del paese. Vorremmo parlare di pensioni, non della nostra che non prenderemo mai nonostante i puntuali versamenti trimestrali all’INPS più tutto il resto ma di quelle dei nostri genitori (ne è rimasto uno) e dei nostri nonni (nessuno in vita, però ai loro tempi la pensione l’hanno presa), con ‘nostri’ che sta anche per ‘vostri’. Nella discussione intorno alla decisione della Corte Costituzionale di restituire i soldi dell’indicizzazione bloccata dal governo Monti, interpretata creativamente da Renzi e trasformata in un ‘bonus’, si parla troppo poco (secondo noi, come tutto: dovremmo sempre mettere questo asterisco in un blog? Mica siamo la Gazzetta Ufficiale…) della natura delle pensioni della maggior parte degli italiani. Lasciamo da parte falsi invalidi, casta, immigrati clandestini, rom, eccetera, parliamo soltanto di noi e di chi ci sta vicino.

In Italia il totale delle pensioni è di 20,2 milioni, ovviamente maggiore (fra reversibilità, indennità di accompagnamento e altro) del numero di pensionati che secondo l’ISTAT è di 16,4 milioni. Va anche detto che di quei 20.2 milioni la bellezza di 3,7 sono di assistenza e quindi slegate dalla vita lavorativa già nelle premesse. Rimandiamo a questo interessante articolo del Fatto Quotidiano per le tabelle e il dettaglio, di nostro aggiungiamo una considerazione dolorosa. La stragrande maggioranza delle pensioni (3,7 assistenziali, 12,4 delle 14,3 di privati e autonomi INPS, 2,8 di ex dipendenti pubblici), quasi 19 milioni di pensioni sui 20,2 (95% e dintorni) sono non commisurate a quanto versato in proprio o dal datore di lavoro nella propria vita contributiva. Alla fine le uniche riforme serie in materia sono state fatte da Dini, che nel 1995 pur creando una maggioranza di vecchi privilegiati bloccò il sistema retributivo ‘totale’ (i privilegiati in senso stretto sono quindi quelli che prima di quella data avevano più di 18 anni di contributi), e dalla vituperata Fornero con il blocco delle rivalutazioni bocciato dalla irresponsabile Corte di futuri superpensionati, con le ragioni della finanza pubblica difese (difese?) da un’avvocatessa anti-renziana.

Conclusione? Il sistema sconta un peccato originale, che va al di là dell’importo delle pensioni attualmente erogato (comunque quasi sempre superiore a una teorica capitalizzazione dei contributi versati), quanto la concessione indiscriminata di pensioni decenni fa a fronte di nessuna vita lavorativa o in ogni caso di nessun versamento. Bieca manovra di consenso allora, che ha attraversato decenni di assistenzialismo scaricato sulle generazioni successive e che è arrivata ai giorni nostri: schiacciati, anche dal punto di vista elettorale, fra genitori che prendono più di quanto gli spetti (il prossimo ‘Di qua o di là’ sarà ‘Ripartizione o capitalizzazione?’) e figli che aspettano il reddito di cittadinanza, si potrebbe cominciare a pensare che lavorare in nero sia un diritto. A meno che non sia un dovere pagare la campagna elettorale di un democristiano degli anni Sessanta, di un comunista dei Settanta o di un socialista degli Ottanta.

Ma non dovevamo dire una cosa di sinistra? Eccola. Per impostare un onesto sistema a capitalizzazione è troppo tardi e gli inviti a spendere soldi anche per una previdenza integrativa sono un’istigazione a tirare molotov. Più trasparente (anche se ingiusto) e diretto stabilire che la pensione sia sempre assistenza, chiamiamola anche solidarietà, che metta tutti i cittadini sullo stesso piano a prescindere dalla propria vita lavorativa. Mille euro al mese per tutti gli over 70?

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