Il sole di Trento

25 Maggio 2015 di Oscar Eleni

Oscar Eleni davanti ad una delle tante chiese di Agrigento, leggendo Pirandello che nella città dei templi è nato, pensando a Camilleri che nel regno cartaginese ha studiato, sognando di essere Tobino, di Viareggio ma morto ad Akragas. Perchè la Sicilia? Be’, hanno portato una squadra di basket in finale per andare in serie A. Lo ha fatto Ciani, un allenatore di qualità, con alle spalle una storia di vita che dovrebbe ispirare un film o un nuovo capitolo nel libro di Sani che non hanno fatto partecipare al Bancarella Sport perché c’era molto di peggio da premiare. Ci siamo andati sapendo che il simbolo della città sono i tre giganti, ma anche per un servizio uscito da poco: Agrigento, la beffa dell’acqua pazza. Bollette da capogiro (costo 4 volte più che a Milano), ma rubinetti a secco. Da anni c’è chi la vende, questa acqua, da molto tempo se ne parla, si indaga, ma niente. Italia nostra. Agrigento patrimonio dell’umanità. L’acqua? Ci penseremo dopo aver preso Marte. Eppure hanno una squadra sportiva che farà comunque storia nella finale con la Torino degli azzurrati Spinelli, Mancinelli, Rosselli. Loro hanno un palazzetto che non sembra da serie A, non lo è di sicuro, ma con questa Lega, si sa, non è il primo problema, basta che entrino le telecamere, se poi stanno fuori gli altri pazienza. Torino, di palazzi, ne ha tre. Usa il glorioso Ruffini e spera di ripresentarlo nel massimo campionato. Vedremo. Intanto hanno sofferto davvero contro Brescia in una partita per figli d’arte di qualità: Alibegovic, Benevelli, Bruttini, Gergati.

Da Agrigento uno sguardo ai play off della massima serie che domenica hanno perduto Trento. Eliminata da Sassari dove tutto è così bello che i giocatori ben pagati della Dinamo resistono alla fatica per periodi non tanto lunghi, quando sentono il profumo della vittoria e del mare si distraggono. Se lo faranno in semifinale contro Milano non potranno raccontare niente di questa loro avventura splendida e spledente. Il playoff al meglio delle sette partite non si decide in una sola notte come le due coppe Italia portate via sotto il naso dei paperoni di Armani, la supercoppa vinta all’inizio di stagione. Serve altro, insomma serve avere la faccia del Formenti che ha allungato bene le rotazioni di Meo Sacchetti, non lo pensavamo, ma ha dentro il fuoco e questo basta se hai anche un po’ di talento. Certo non serve la “tristezza” del Sanders che gioca a rovescio, forza subito e subito viene rimesso a sedere. Piuttosto che avere in panchina un tipo del genere meglio mandarlo a mangiare gelati con quel custode della vecchia palestra che ai campionati universitari di cinquant’anni fa tirò a lucido con la cera il parquet della palestra di Sassari per fare bella figura con quei ragazzi del basket goliardico che stavano al Platamona Hotel. Poi messo a ferro e fuoco da quelli di Roma e del Cus Bologna dove i fratelli Bonaga erano l’arma letale della zona pressing che Augusto Giomo sperimentava prima del basket con la musica che ora ha come sacerdote Antonelli, Massimo di nome e di fatto.

Su Sassari avremo tempo per tornare. Di sicuro meglio di questo, in Italia si capisce, in Europa ci ha deluso tantissimo, non poteva fare la squadra che Sacchetti dirige sentendo più i suggerimenti della scuola Guerrieri che quella del Sandro Gamba, uno schietto come lui, che pure lo ha portato ai massimi livelli internazionali. Discuterlo, fare le pulci affogate non ha senso. Bravissimo. Può andare oltre? Non lo pensiamo, anche se l’anno scorso a Milano ha vinto contro l’Armani più che a Sassari. Perché? Se la squadra di Banchi ha qualche difetto caratteriale, strutturale, quella di Sacchetti ne ha invece molti di questi difetti e come avrebbe detto il grande e compianto John Nash questa partita è stata già giocata quando sono state fatte le squadre a settembre. Tutti e due gli allenatori sanno che il meglio che si può ottenere nella vita sportiva, ma non soltanto come diceva Calvino, è evitare il peggio.

Ma veniamo all’eliminata numero due. La Trento che ha dimostrato quanto fossero inutilmente presuntuosi quelli che l’hanno accolta al famoso piano di sopra, pensando che dovesse stare nella stanza della servitù come in una vecchia casa inglese. No. Fra i servi del luogo comune, delle banalità gestionali, devono starci molti altri. Questi hanno fatto una grande cosa partendo da un progetto antico, succhiando il midollo alla passione di Rovereto, mettendo uomini giusti al posto giusto in una Regione che spalanca le braccia al meglio e poi te lo rivende con passione. Trento, il Trentino. Bravissimo Luigi Longhi, un giornalista che ha cavalcato con intelligenza, ironia, fra vecchie mansarde e petulanti portinaie del sistema, duellando con la “grande pallavolo” già padrona del territorio, ma senza farsi ferire. Certo dietro aveva un muro altissimo. La creatività produttiva di tutti quelli che hanno sposato anche il basket, dopo volley, sci, ciclismo, sport in generale. Mele deliziose, come il vino, le luganeghe che cambiavano il sorriso al nostro amico Grigo, si capisce.

Dirigere è facile se il tuo stratega è Salvatore Trainotti, premiato come miglior manager di questa stagione. Lui ha fatto tutto bene. Avere soddisfazioni non è impossibile se puoi presentare alla serie A un allenatore come Maurizio Buscaglia cresciuto bene e protetto dalla società quando, all’inizio, qualcuno storceva il naso. Preso nel 2002 nel quinto campionato, lasciato nel 2007 nel quarto. Ripreso nel 2010 nel terzo e ora consacrato nel primo. Hanno resistito, lo hanno fatto anche con i giocatori che sono partiti dal quasi nulla e adesso hanno uno come Pascolo che ancora non abbiamo scoperto del tutto e, se gestito bene, non con la spocchia che sappiamo in altri conventi tecnici, potrebbe davvero saltare oltre la figura sbilenca che spesso lo ha fatto scartare, o mettere da parte quando le “presunte grandi” andavano a vederlo.

La figura davvero emblematica si chiama Toto Forray, italiano di Buenos Aires, classe 1986, a Trento dal 2010, terza serie. Alla fine della sfida con Sassari che davvero ha fatto prendere paura a Romeo Sacchetti, l’allenatore che secondo Sales aveva i polpacci di Nureyev, ha abbracciato tutti gli avversari e a lui ha detto “non pensavo che ce l’avresti fatta a questo livello, sei stato proprio bravo”. Quello che si sentì dire, tanti anni fa, quando mugugnava sulle mafie che escludevano giocatori come lui dal grande giro. Siamo contenti che un talento come Flaccadori, classe 1996, abbia scelto Trento per crescere, siamo contenti che Buscaglia si sia tenuto uno come Baldi Rossi, il 2.07 di Vignola, classe 1991, che senza l’incidente in mezzo alla stagione, sarebbe stato davvero la rivelazione più interessante e anche se nel ruolo ha una certa concorrenza noi lo terremmo presente per la Nazionale. Sì, certo il Buscaglia allenatore dell’anno ha avuto anche il Mitchell MVP della stagione, ma deve essere stato difficile far capire al georgiano cresciuto in Alabama che se aveva tanta luce lo doveva al sacrificio degli altri, da Owens a Sanders, per non parlare del gruppo Italia dove Spanghero ha fatto cose molto interessanti. Salutare Trento sapendo che l’anno prossimo sarà ancora più bella, meno timida, meno Alice in un basket con poche meraviglie. Sono stati davvero la rivelazione dell’anno e loro, insieme ad Agrigento, ci hanno detto che non è tutto oro quello che luccica se lo porta al collo gente con poca fame, poche idee, poca sostanza quando è il momento di tuffarsi sulle palle vaganti come il McAdoo che a Livorno toccò quella mela dorata a spicchi che agli occhi blu livornesi sembrava pronta da infilare nel canestro in contropiede.

Ora è chiaro che Torino, per la promozione, e Milano, per andare in finale scudetto, sono le favorite, ma esiste anche la teoria dei Giochi di Nash e allora devono fare tutti attenzione, anche chi è pagato tanto per stare seduto in poltrone dove non si beve acqua, ma roba millesimata, pazienza se costa tantissimo.

Oscar Eleni, in esclusiva per Indiscreto

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