Gianna Nannini e l’età delle cover

21 Maggio 2015 di Stefano Olivari

Qualche giorno fa siamo stati a un concerto di Gianna Nannini, che ci ha fatto riflettere sull’assenza di creatività che caratterizza oggi la musica destinata al grande pubblico. Fuori dalle nicchie di sperimentazione e dai circoli di fenomeni che si ascoltano fra di loro quasi ogni canzone ha qualcosa, per non dire tutto, di già sentito e non può essere un caso che quel poco che rimane della discografia sia dominato da grossi nomi che la creatività l’hanno salutata da anni, da imitatori da talent (anche quando sono bravi e si sforzano di essere originali: Fragola ne è un esempio clamoroso) e da bravi deejay-assemblatori (in questo momento non riusciamo a correre senza Volevo dirti di Donatella Milani remixata da Alex Farolfi). La Nannini fa parte ovviamente della prima categoria e ci è piaciuta la sua onestà: non quella fiscale (accusata di avere nascosto 3 milioni e 750 mila euro tramite società olandesi e irlandesi, situazione che ha portato l’anno scorso al sequestro di una sua villa a Siena, sta trattando con l’Agenzia delle Entrate) ma quella musicale. Hitalia, uscito lo scorso dicembre, è forse il miglior album di cover mai uscito in Italia insieme allo storico Italian Graffiati di Ivan Cattaneo (che aveva però tutt’altro scopo) ed è la base del tour della cantante senese. Che invece di copiare da se stessa, alla Ligabue, ha rivisitato in chiave rock alcuni successi della musica italiana: di grande impatto, eseguite anche al Forum, Dio è morto di Guccini, L’immensità di Don Backy e Lontano dagli occhi di Sergio Endrigo, ma bene anche quasi tutto il resto pur con gli asterischi di Volare, Caruso e Un’avventura, ascoltate così tante volta da detestarle in qualsiasi versione. Nella seconda parte del concerto la Nannini, sempre molto brava e credibile anche quando  un po’ del lavoro lo fanno pubblico e coriste, ha coverizzato invece se stessa non riuscendo per limiti di tempo nemmeno ad esaurire i successi maggiori, con brividi personali dati sempre da Ragazzo dell’Europa. E quindi? Nell’era di Deezer e Spotify (il prossimo ‘Di qua o di là è già scritto) la musica nuova che guadagna è quella che fa grandissimi numeri su base mondiale, giusto contrappasso (anche se come per le pensioni l’hanno pagata le generazioni non colpevoli) per troppi anni in cui si vendevano album con due canzoni decenti e otto riempitivi. La voglia e l’utilità di rischiare sono sempre meno, a maggior ragione per chi ha già un nome e un pubblico fedele. Impensabile oggi la svolta panelliana di Battisti, se non supportata da un’attività live fondata sui vecchi successi, molto più facile che un Briga azzecchi una canzone e con quella campi cinquant’anni come ospite televisivo.

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