FIFA-Blatter, il problema è la democrazia

30 Maggio 2015 di Stefano Olivari

Joseph Blatter è rimasto presidente della FIFA, contro quasi tutti i media del mondo ma non i 133 presidenti di federazione su 209 che hanno votato a favore del suo quinto mandato come guida del calcio al termine di un venerdì carico di tensione, indotta anche dall’allarme-bomba arrivato verso le undici del mattino e che per un’ora e mezzo ha interrotto i lavori del sessantacinquesimo congresso. Blatter ha vinto sul l’attuale vicepresidente FIFA Ali Bin Al-Hussein per il ritiro del dirigente giordano dopo il primo scrutinio, nonostante mancassero 6 voti al raggiungimento del quorum di 139. Ma al secondo scrutinio ne sarebbero stati sufficienti 105. Quindi Al-Hussein, che partiva da 73, ha preferito accorciare l’agonia per la gioia, molto contenuta, di Blatter: “Sarò il presidente di tutti, grazie per avermi accettato ancora una volta. La FIFA ha qualche problema all’interno della sua organizzazione, ma lo risolveremo. Dobbiamo fare tutti di più, avere più donne come dirigenti e difendere la Coppa del Mondo. Sono un uomo di fede: Dio, Allah o come lo volete chiamare ci aiuteranno a salvare la FIFA. Il mio obbiettivo sarà quello di consegnare al mio successore fra quattro anni una federazione più forte”.

Per il 79enne vallese si tratta della quinta volta in cui viene eletto presidente FIFA: la prima l’8 giugno 1998, alla vigilia del Mondiale in Francia, dopo 24 anni di Havelange, poi le riconferme nel 2002, nel 2007 e nel 2011. Dopo l’indagine dell’FBI e gli arresti effettuati dalla polizia svizzera di vari personaggi, fra i quali due vicepresidenti FIFA su otto, a sorprendere non è stata la vittoria di Blatter a Zurigo ma le sue proporzioni. È vero che l’Europa (53 voti) si è divisa, ma anche che i continenti pro-Blatter hanno nel segreto dell’urna dato un segnale chiaro: 133 voti sono 53 in meno dei 186 presi nel 2011 (su 203 federazioni). Di sicuro esce ridimensionata una UEFA che ha ormai dichiarato guerra a Blatter, un po’ perché Platini pensava fosse arrivato il suo turno e molto perché le grandi nazioni europee, grandi anche in termini di diritti televisivi, non sopportano più che il voto delle Isole Cayman valga come quello di Germania e Inghilterra. Della UEFA fa ovviamente parte anche la Russia di Putin, che di Blatter è invece aperta sostenitrice e mercoledì ha osservato che gli Stati Uniti non hanno titolo per essere il gendarme del mondo del calcio (né di altri settori, sottinteso). I dietrologi professionisti ricordano che l’Inghilterra è stata la grande delusa per l’assegnazione della Coppa del Mondo 2018 alla Russia, mentre gli USA lo sono stati per quella 2022 al Qatar. E fra le parole più pesanti degli ultimi giorni ci sono proprio quelle del presidente della federcalcio inglese Greg Dyke, che sulla scia di Platini ha parlato di possibile boicottaggio del prossimo Mondiale da parte dell’Europa. Minaccia con i piedi d’argilla, considerando le varie correnti di pensiero all’interno della UEFA.

Ieri a Zurigo i grandi scenari internazionali hanno lasciato spazio alla politica spicciola, quella in cui ogni voto va guadagnato con promesse per il futuro o restituzione di favori passati. Pubblicamente i due concorrenti rimasti, dopo il ritiro di Van Praag e quello più polemico di Figo, si sono limitati durante il congresso ad affermazioni di principio. Di certo la battaglia non si è svolta sui programmi, generici e nella sostanza uguali. Poco aggressivo Al-Hussein, forse già rassegnato alla sconfitta nonostante il sostegno dell’UEFA e il fatto che Van Praag e Figo avessero fatto convergere su di lui i voti che asserivano di controllare: “Gli occhi del mondo sono su di noi e dobbiamo mandare un messaggio. Con la trasparenza riconquisteremo il rispetto che la FIFA merita”. I toni forti erano stati evitati anche da Blatter, con la sua dichiarazione prima del voto: “Rimanete con me, la FIFA ha bisogno di un leader forte ed esperto. Cambieremo, a partire da domani. Bisogna combattere non soltanto la corruzione, ma anche il razzismo, le partite combinate e il doping”.

Tra una frase in politichese e un incontro con gli indecisi il presidente della FIFA ha dovuto gestire anche il caso Palestina, la cui federazione ha presentato una mozione per l’espulsione di Israele dalla FIFA. Blatter ha preso tempo, di sicuro è contro la mozione, ma questa sarà un’altra situazione esplosiva di cui tenere conto. Anche perché fra Putin e tutto il resto la grande politica internazionale (anche Cameron e Hollande) è entrata a piedi uniti nelle vicende della FIFA. Bei tempi quando i problemi erano le date delle amichevoli…

Il voto è segreto, ma simpatie e antipatie sono state palesi. Così è sicuro che la Francia abbia votato per Blatter, senza seguire Platini. Stesso comportamento ovviamente di Russia e satelliti, mentre è probabile che anche la Spagna abbia rotto il fronte UEFA. Alla fine delle nazioni europee che sono state campioni del mondo sono rimaste sulle barricate Germania, Inghilterra e quasi certamente Italia. Per il resto non c’è stata partita: dalla parte di Blatter l’Asia, nonostante lo sfidante Al-Hussein sia vicepresidente FIFA in quota Asia, l’Africa e sicuramente i paesi della CONCACAF tranne gli USA. Il Sudamerica al di là dei nomi altisonanti ha 10 voti e quindi conta poco, mentre le piccole federazioni dell’Oceania hanno più che bilanciato l’atteggiamento critico dell’Australia. Andando sul concreto, il miliardo e mezzo di franchi di liquidità FIFA di cui si favoleggia se diviso per 209 ha un’importanza diversa per la Germania rispetto a Vanuatu. Potrà non piacere, ma questa è la democrazia e ognuno vota secondo i propri interessi.

(pubblicato sul Giornale del Popolo di sabato 3o maggio 2015)

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