Mayweather-Pacquiao, il match di questo secolo

30 Aprile 2015 di Stefano Olivari

Ridurre il match fra Floyd Mayweather Jr. e Manny Pacquiao a una questione di soldi ha poco senso, perché lo sport professionistico ed in particolare la boxe sono stati una questione di soldi sempre. Nessuno sale su un ring gratis, a partire dai dilettanti di Stato che non sono certo più puri di chi combatte a torso nudo. Nessuno però si è nemmeno mai messo in tasca l’equivalente di 300 milioni di dollari complessivi, come faranno i due anziani (38 anni l’americano, 36 e mezzo il filippino) ma non vecchi, per gli standard attuali, pugili che dal 2009 si lanciano sfide e si inseguono, creando un’attesa che non è soltanto marketing. Se le previsioni di incasso da pay-per-view (quasi 90 dollari il prezzo del ‘biglietto’ per un residente negli USA, con previsione di 3 milioni di acquirenti) saranno confermate, Mayweather da domenica potrà contare su 180 milioni di dollari in più e Pacquiao su 120. Ma per entrambi l’ennesima sfida del secolo, sabato sera (da noi domenica mattina, più o meno alle sei, in diretta su DeeJay Tv) all’MGM di Las Vegas e ai suoi quasi 17mila strapaganti, ha un significato che va moltissimo al di là dei guadagni che pure sono un indicatore di qualità importante.

Prima di tutto si tratta del match più importante di due carriere grandissime in ogni caso e non solo nei pesi welter. Da predestinato assoluto quella di Mayweather, figlio di un buon professionista (Floyd senior) e nipote di due campioni del mondo (zio Roger sarà al suo angolo, così come il padre): derubato della finale olimpica (ad Atlanta 1996 fu solo bronzo a causa dei maneggi del capo degli arbitri, bulgaro come il suo avversario in semifinale Todorov), imbattuto in 47 incontri da pro, campione del mondo in cinque categorie di peso diverse, lo sportivo più ricco del mondo ha una boxe molto tecnica ma non anti-spettacolo. Certo non è un picchiatore o uno che si fa trascinare nelle risse, per questo ‘arriva’ poco al cuore dello spettatore occasionale. Il guardia destra (traduzione: mancino) Pacquiao ha invece avuto un percorso più travagliato, come testimoniato dalle 5 sconfitte e dai 2 pareggi (57 le vittorie), ma è stato campione in otto categorie di peso e soprattutto sa emozionare anche chi assiste al suo primo match di boxe grazie al fatto di prendere sempre il centro del ring, senza risparmiarsi o gestirsi.

In secondo luogo si trovano di fronte due grandissimi comunicatori, due personaggi capaci di uscire dal ghetto mediatico della boxe e anche da quello dello sport per diventare icone pop. Mayweather si ritiene superiore a qualunque altro pugile della storia, lo dice e lo scrive su ogni social network possibile. Brillante nelle interviste e nelle presentazioni, negli USA è stato paragonato non del tutto a sproposito all’Apollo Creed avversario cinematografico di Rocky-Stallone, mentre al passivo ha la fama di violento anche nel privato (le denunce delle sue ex in questo senso non mancano). Molto più segnata la faccia di Pacquiao, che ha avuto inizi più travagliati, ma ugualmente potente la sua voce: deputato in parlamento (nell’UNA, partito di centro-destra), religioso al confine della superstizione, appassionato giocatore di pallacanestro e cantante, sa come trascinare le folle all’inizio neutrali. Il pronostico è a favore di Mayweather, se si arriverà alla fine delle dodici riprese, mentre il campione filippino dovrà metterla subito sul piano della battaglia.

Ma questa è attualità, destinata ad essere superata da ciò che vedremo sul ring. Più interessante è collocare questo match dal punto di vista storico, in uno sport dove la proprietà transitiva non esiste: se A batte B e B batte C, non è detto che A sia più forte di C. Un esempio concreto è il messicano Juan Manuel Màrquez, vincitore su Pacquiao (peraltro dopo averci perso due volte e pareggiato una) e sconfitto con Mayweather: i tre stili sono così diversi che si possono soltanto fare congetture. È vero che le categorie di peso sono tante, diciassette, e le sigle che governano il pugilato professionistico troppe (quattro, volendo essere generosi, quelle serie: sabato saranno in palio le corone dei welter WBA e WBC, detenute da Mayweather e quella WBO di Pacquiao, manca giusto la IBF), ma ogni appassionato ha nella testa la sua classifica ‘pound for pound’ e in quelle della maggioranza sia Mayweather che Pacquiao sono ai primissimi posti. Mediaticamente sta loro vicino l’ucraino Wladimir Klitschko, campione nei pesi massimi per tre delle quattro sigle maggiori (tutte tranne il WBC) e fresco di difesa del titolo al Madison Square Garden, mentre il paragone può essere solo sportivo con il supermedio inglese Carl Froch, il mosca nicaraguense Romàn Gonzalez o il gallo cubano Guillermo Rigondeaux. Non è un gran periodo per i pesi massimi, la categoria che più colpisce l’immaginario collettivo, mentre lo è per i welter come Mayweather e Pacquiao: con una data di nascita leggermente diversa Bradley e Marquez avrebbero guadagnato decine di milioni in più.

È ovviamente impossibile dare un valore assoluto a statistiche basate su confronti con avversari diversi, la storica rivista The Ring da sempre ci prova al punto per molti appassionati il vero campione del mondo è quello di The Ring, il cui editore è nientemeno che Oscar De la Hoya. Cioè un altro che in questo girone dei match del secolo ci è finito: con Chavez, Trinidad, Mosley, Whitaker… poi a fine carriera, rispettivamente al terzultimo e ultimo match, De La Hoya ha battagliato con Mayweather e Pacquiao perdendo con entrambi.

Cosa differenzia il match di sabato dai ‘Fight of the century’ che hanno segnato la cultura popolare, prima ancora che la storia dello sport? Manca la contrapposizione razziale dichiarata, ma anche l’avvicinarsi di una guerra mondiale, di Louis-Schmeling. Manca la storia infinita Robinson-La Motta, cioè fra quello che è stato probabilmente il più grande di sempre e il simbolo assoluto del coraggio fisico. Mancano le grandi questioni politiche e storiche sullo sfondo di Alì-Foreman.

Però ci sarà la parola definitiva su due carriere semplicemente pazzesche. Pacquiao è l’unico nella storia ad essere stato campione in otto categorie di peso diverse, dai mosca ai superwelter: stiamo parlando di un pugile grande fra dai 49 ai quasi 70 chili di peso, con tutti i sospetti del caso sulla costruzione della muscolatura e sull’energia inesauribile. Solo sospetti, perché né Pacquiao né il suo avversario sono mai risultati positivi ad un test antidoping e per la sfida di Las Vegas si sono accordati per sottostare alle regole dell’USADA, l’agenzia statunitense. Mayweather è stato invece al di là delle categorie di peso campione del mondo di qualcosa dal 1998 ai giorni nostri, 17 anni che si commentano da soli, ma gli è sempre mancato il match definitivo, quello che attraverso il dramma sportivo può consegnare alla leggenda. Per questo tutto il mondo guarderà Mayweather-Pacquiao. Non sarà il match più importante della storia ma è da quasi vent’anni, cioè dal doppio Tyson-Holyfield, che non si sentivano queste vibrazioni. È il match di questo secolo.

(pubblicato sul Giornale del Popolo di mercoledì 29 aprile 2015)

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