Torneo NCAA, le nostre tre settimane vintage

18 Marzo 2015 di Stefano Olivari

Il torneo finale NCAA che è appena iniziato ha una vincitrice più annunciata che mai, Kentucky, che fa riflettere sulle distorsioni del basket di college. Il cui fascino e magia sono legati all’epoca che fu (ammettiamo che i due tempi da 20′ ci scaldano il cuore come poche altre cose), nemmeno tanti anni fa, mentre adesso il sistema è ad alto livello retto da una colossale ipocrisia: i più bravi sono infatti costretti a starci un anno, con Adam Silver che minaccia il raddoppio facendo propria la visione di Stern (la NBA avrebbe soltanto vantaggi dall’arrivo nelle sue squadre di personaggi con aspettative pompate da un biennio di prodezze NCAA), mentre gli allenatori delle squadre ambiziose hanno rinunciato al loro ruolo di formatori per essere semplicemente reclutatori-motivatori di ragazzi, in certi casi fenomenali, che giocano un basket di strada o, peggio ancora, da stelle di high school in un contesto pieno di Richie Cunningham o di gente in ogni caso molto distante da loro. Comunque sia, non c’è scommettitore al mondo che non abbia preso in considerazione l’idea di cavalcare la squadra di Calipari, usando anche gli spread, fino alla fine: il 6 aprile a Indianapolis dovrebbe essere dopo quasi 40 anni (1975-76, l’Indiana di Knight, con i campo gente come Scott May, Kent Benson, Quinn Buckner e Tom Abernethy) la prima squadra a tagliare la retina al termine di una stagione con zero sconfitte.

Insomma, i pronostici vanno fatti prima. Ma dietro a Kentucky (che si presenta al torneo 34-0, quindi potrà-dovrà chiuderlo a quota 40, mentre Indiana ebbe bisogno di sole 32 partite per completare la perfect season) e al suo numero di prime scelte assicurate può accadere praticamente di tutto, come confermano le previsioni dei tanti esperti. Necessariamente diverse, visto che nemmeno chi per mestiere segue soltanto il basket NCAA può aver seguito tutte le partite non diciamo di Division I ma anche solo delle 25 migliori squadre del paese. A proposito di vedere, chi non ha Sky Sport o Fox Sports può come negli anni scorsi andare sul sito March Madness Live, streaming ufficiale e gratuito della NCAA, per non perdersi nessuna delle partite del torneo.

In un basket purtroppo sempre più simile a quello NBA (con molti appassionati, fra i quali anche Obama, che chiedono la riduzione a 30″ del tempo per azione, per velocizzarlo ulteriormente), la nostra simpatia va a Wisconsin e al suo gioco controllato, equilibrato (una delle poche grandi squadre ad avere un gioco di post) e fatto di passaggi accurati, anche se Frank Kaminsky è tutt’altro che un centro di una volta: l’atletismo un po’ così forse gli impedirà l’ultimo passo. Delle quattro numero uno dei rispettivi quarti di tabellone quella più vicina a Kentucky (l’altra è Villanova) come versatilità e talento è secondo noi una Duke che Coach K di fatto lascia andare per la sua strada, confidando che Jahlil Okafor trascini i compagni verso il quinto titolo. Per Okafor, lontano parente di Emeka, si sono sprecati tutti i paragoni importanti possibili per il ruolo di centro, soprattutto usando Olajuwon, a noi personalmente sembra un Tim Duncan più atletico (“Eh la Madonna”, detto come lo direbbe Maurino Di Francesco). Nessun dubbio su chi sarà la prima scelta assoluta al draft.

Certo è che la NCAA è a un bivio, perché nella maggior parte dei casi i programmi di basket sono in perdita. Traduzione: i giocatori vengono pagati ufficialmente solo con borse di studio per meriti sportivi (a dare materialmente soldi, auto ed altro a parenti famelici sono di solito i cosiddetti ‘booster’, cioè tifosi danarosi che sostengono il loro college in maniera indipendente, con tutti che fingono di crederci), ma tutto il sistema costa tantissimo. Dall’allenatore-guru al suo staff, dall’impianto alle spese di trasferta. Le entrate sono legate a diritti televisivi e sponsorizzazioni ed è logico che premino soprattutto i soliti noti: ESPN utilizzando il report ‘Equity in Athletic filings’ ha collocato ai primi posti come profitti per il programma di basket 2013-14 soltanto le ‘grandi’ tradizionali: Louisville, Arizona, Ohio State, North Carolina, Duke, eccetera. Insomma, piove sul bagnato e soltanto nuove regole per il reclutamento potranno in qualche modo rimescolare le carte. Certo è che in queste tre settimane il gusto per il vintage prevarrà su tutto, facendoci dimenticare gli aspetti deteriori di un mondo che non si può giudicare soltanto con un metro sportivo: quella al college è infatti, in una nazione da sempre flessibile sotto ogni aspetto, una delle appartenenze più forti di un americano che ci ha studiato o che semplicemente ci abiti vicino. Da turisti-giornalisti possiamo solo intuire, magari sbavare per i mock draft e per i record di presunti santoni che spesso non valgono la metà di Bucchi o Caja, ma non davvero capire.

Share this article
TAGS