Libertà dell’elefante

6 Marzo 2015 di Stefano Olivari

Esiste qualcosa di più triste del circo? Non occorre essere Stephanie di Monaco, costretta a presenziare ai vari galà circensi nel Principato con una faccia fra le più scazzate mai viste (superata solo da quella che aveva nel video di Ouragan) nell’emisfero boreale, per detestare questo anacronistico spettacolo e il modo in cui sfrutta gli animali. Per questo è una grandissima notizia che il famoso Ringling Bros abbia annunciato di voler escludere gli elefanti dai propri programmi, nonostante siano di solito inseriti fra i numeri più caratterizzanti. Un annuncio un po’ alla Renzi, perché ai pachidermi si rinuncerà solo dal 2018, ma almeno l’intenzione è buona e la pensione degli elefanti sarà di buon livello, in un parco della Florida. Una decisione presa per gli animali e anche per il marketing, visto che questo circo è stato più volte accusato di maltrattamenti pur essendone uscito sempre pulito in sede giudiziaria (anzi, ha ottenuto anche il pagamento di danni per l’equivalente della nostra calunnia: nei paesi civili funziona così, non è che gli scagnozzi di un procuratore ti fanno perdere tempo per anni…). Va detto che, tenendo fede al suo soprannome di The Greatest Show on Earth, questa azienda è davvero la più grande nel mondo del settore, essendo nata da una fusione di famosi circhi, fra cui quello mitico del signor Barnum. Ma anche senza storie provate di maltrattamenti, in realtà molto più diffusi in piccoli circhi locali (in Italia accadono cose agghiaccianti, sotto gli occhi di genitori dementi che meritano di allevare piccoli Pietro Maso), il problema è lo stesso concetto di divertimento usando un essere senziente ma non consenziente. Il calciatore di LegaPro è libero di decidere se farsi sputare in faccia dai tifosi senza nemmeno prendere lo stipendio, l’elefante invece no.

 

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