Il testamento di Dean Smith

30 Marzo 2015 di Oscar Eleni

Oscar Eleni da un cespuglio americano fra oceano Atlantico e monti Appalachi, non tanto lontano dalla casa di Mike Krzyzewski che ha portato Duke, università per filosofe e medici, alle finali NCAA di Indianapolis. Dodicesima volta per lui, l’uomo di Durham che vive fra conoscenza e religione come dice il motto dell’università che a fine settimana affronterà gli Spartani di Michigan State nella festa di Indianapolis dove Kentucky, che sembra imbattibile, ma ha sofferto tanto contro Notre Dame, sfiderà Wisconsin vincitrice su Arizona. Ci inchiniamo al nostro Buster Keaton dal naso sempre arrossato anche se per anni lo abbiamo detestato. Colpa della sua difesa che metteva a nudo, crudelmente, i difetti dell’Azzurra che Gamba aveva portato a lezione negli Stati Uniti. Sembrava una esagerazione, come diceva Della Valle.

Insomma un po’ come il Banchi stile, che sul più venti contro Sassari, su fischi dubbi, ma non davvero sbagliati, girava tarantolato davanti alla panchina urlando “vergogna, vergogna”. È sicuro che sia davvero vergogna non accettare tutto di una difesa da eurolega in campionato? Certo dovrebbero adattarsi gli altri, per progedire, e non soltanto con sorrisini amareggiati come faceva il Romedo Sacchetti impotente davanti alla strage dei suoi giocatori non proprio innocenti. Ma come, in coppa Italia li avevano stregati e adesso hanno fatto da materasso per una seduta di salute generale che all’Emporio servirà moltissimo nella trasferta chiave di Istanbul contro o diabbolo Ivkovic che non ha uno squadrone, ma ha sempre voglia di insegnare e giovani di talento non mancano anche se poi lo aspetterà lancia in resta l’Obradovic del Fener in scadenza di contratto. Battere l’Efes e poi pensare al CSKA che a Novgorod, sotto di 13, ci ha detto di essere la solita Armata, anche se ogni tanto depone le armi e si gode il samovar.

Ma torniamo nel Nord Carolina e dopo aver reso omaggio ai Diavoli Blu del “polacco” eccoci davanti alla tomba del compianto Dean Smith che fu molto più dolce con Azzurra, con tutti i viandanti italiani, come ci raccontava spesso Messina che in Italia gli faceva da traduttore quando Iellini e i giocatori di Milano non capivano il valore del ringraziamento dopo un buon passaggio. Un genio, un gigante, un grand’uomo. Nel suo testamento ha lasciato 200 dollari ad ogni giocatore che ha reso importante la storia della North Carolina University. Lui lo ha fatto perché amava il gioco e i suoi protagonisti. In Italia chi poterebbe farlo? Non riusciamo ad immaginare. Qui i miliardari chiedono ai poveracci di andarli a vedere nelle partite del cuore per tirare su cifre che sono l’uno per cento dei loro ingaggi. Voraci.

Via dal marzo pazzo degli americani che ci aspettano ad Indianapolis per tornare dove il rosso risplende e non soltanto per i cento anni di Ingrao. Ferrari, Valentino Rossi,persino Emporio Armani che la sua maglia rossa l’ha regalata al Fedez supertatuato seduto in parterre di fianco a re Giorgio. Sembrava divertito l’irriverente ma anche il monarca. Bella copia. Merito dei giocatori in campo anche se adesso, dopo il balletto di Brooks, per la sua mitragliata su Sassari, non vorremmo cadere nella fase imitativa di quei grulli che al calcio si divertono con i selfie, con le dediche amorose, con tutto quello che dovrebbe allarmare: se ci fate caso il gol, il canestro per per la gioia individuale. Quella che una volta era squadra adesso è servizio in camera per i più dotati. Guai a contraddirli o trattarli un po’ male per farli migliorare ogni giorno. Questi sacramentano, fanno in fretta a mettere condizioni in società sempre più deboli e fragili dopo sguardi da lavativi seriali verso le tribune dove stanno i loro “cari”. Come noterete, dal calcio al basket, la primavera porta pochi consigli e tante turbolenze fra allenatori, giocatori, pubblico, dirigenti per il rinnovo dei contratti. Non mi aumenti lo stipendio, non mi stai a sentire quando dico che la palla deve sempre arrivare a me? Be’, sai che ti dico, anzi cosa ti dice il mio agente? Ce ne andiamo. Vedremo come farete a spiegare. Delicate forme di ricatto. Una confusione che manda fuori giri anche chi, pagato per essere un critico sereno, si era inventato il ruolo di cavalier servente, salvo poi trovarsi all’indice per aver seguito i “suggerimenti” che nelle società malate, non solide, arrivano sempre da chi vive sul ricatto, non soltanto morale. Dove succede ? Dappertutto.

Siamo felici che Frates abbia ridato il sorriso ad Avellino, ma non diteci che Vìtucci lavorava per far piangere pubblico e giocatori. La stessa cosa si potrebbe dire per altri posti, la stessa Milano che, ve ne sarete resi conto non ha davvero rivali se le prime avversarie, insomma quelle che stanno dietro in classifica, hanno preso delle legnate pazzesche come direbbe il Fantozzi della Potemkin, si tormenta sul domani non avendo ancora vinto niente oggi, almeno in questa stagione. Deve preoccuparsi Milano delle voci di mercato? No. Anche se intorno non vede avversari all’altezza, fa record, certo vince battaglie e perde guerre, ma insomma se la godono i licaoni scorpioni di Banchi. Quindi niente rivali? Venezia? Asfaltata in casa e al Taliercio. Reggio Emilia? Meno 50 al Forum. Sassari? Be’, con loro il contenzioso è aperto perché le ultime tre coppe sono andate in Sardegna, ma in campionato sono state lezioni vere e proprie.

Confusione nel villaggio per il modo in cui è stato accolto Ron Artest, voi chiamatelo come volete, per noi quello è il nome delle sue vere guerre per esistere, per giocare, per diventare campione, come Cassius Clay anche se da Alì fu ugualmente immenso. Certo che siamo quasi tutti felici ed è davvero ridicolo che a Pistoia se la siano presa con la Gazza degli orgasmi per una foto di code chilometriche al botteghino collegandole con l’esordio del grande Ron in campionato. Era un’immagine vecchia. Code prima della sfida contro Siena quando gli scudetti andavano tutti sotto la Torre del Mangia, senza voler fare dell’ironia. Cosa c’è di male a montare un po’ l’avvenimento? Sono tutti felici. Dal Petrucci che annuncia le nuove rubriche televisive affittate su SKY dalla Federazione, agli stessi avversari, anche se quasi tutti hanno palazzetti da far schifo. Per fortuna non c’è bisogno di Ron Artest per far sapere che a Treviso, oltre 5000 domenica per la sfida di vertice contro Ravenna, al PalaDozza per la Fortitudo, a Torino, tre palazzi, nessuna squadra in serie A, la gente va volentieri a vedere il basket, anche quello proprio minore, senza tanti stranieri in campo.

Via con le pagelle inginocchiati davanti alla lapide che ci ricorda Dean Smith scomparso il 7 febbraio a Chapel Hill.

10 Al maestro e direttore d’orchestra pesarese Michele MARIOTTI, ex cestista, tifoso dell’Inferno, lui si godeva le sfide in via dei Partigiani, nell’hangar degll scudetto, figlio dell’ex direttore del Rossini Opera Festival dove andava l’Annesse regalato al “giornalismo serio”, che ha chiarito bene cosa conta l’uomo che dirige altri suonatori, giocatori: “Non è un solista, non esiste senza gli altri”. Ma esiste e non è vero che conta così poco come pretendono certi tennisti prestati al gioco di squadra.

9 A BROOKS e Alessandro GENTILE, finalmente guarito, perché in questo momento sembrano davvero dei moschettieri a cui non può fare paura nessun avversario, come del resto all’Emporio che, casomai, dovrebbe subire processi per le sconfitte con Sassari, i meno 19 o 20 con Novgorod e Vitoria, poi rullate come la squadra di Sacchetti.

8 Al Tomas RESS che anche a Venezia indica una strada difficile da percorrere per giocatori che non siano stati nel grande sistema senese. Recalcati furente con la squadra benedice il suo soldato scelto, peccato che non abbia voluto esserlo in passato anche per la Nazionale.

7 Alla dinastia SABONIS che continua con il figlio più piccolo che fa belle cose con la maglia dell’Università di Gonzaga, anche se l’incrocio con Duke ha messo fuori l’ateneo dove un tempo studiava Bing Crosby.

6 A Bobby JONES che ieri a SportItalia ha parlato del suo film in uscita luglio su Vimeo: “Basketball Jones: viaggio oltremare”, un lavoro che servirà a tutti, agli smaniosi infelici senza l’altra metà del cielo cestistico, la più ricca, a chi non aiuta davvero i giovani a crescere raccontando soltanto palle spaziali. “Questo film- dice Jones nel comunicato che riporta Francesca Mei nella famiglia del grande basket – l’ho fatto per dimostrare ai più giovani che non c’è bisogno di essere campione NBA per realizzarsi. L’importante è imparare, anche grazie al basket, ed apprezzare i benefici dello stare insieme, del condividere anche diverse culture”. Gli abbiamo dato sei, ma merita dieci e lode e dovrebbe esssere il manifesto per una Federazione che ha veramente voglia di cambiare il rapporto con associati che sembrano sempre così lontani, ma anche per allenatori che accettano troppi ragazzi i cuffia e pantofole.

5 Al “povero” Mike D’ANTONI che ha messo in vendita per quasi 9 milioni di dollari la sua villa californiana di Manhattan Beach dove avremmo voluto volentieri passare qualche giorno ricordando il passato che dispace a lorsignori. Vuol dire che sta facendo i bagagli, vuol dire che qualcosa si muove, anche se in Europa, giura lui, nessuno lo ha cercato, men che meno a Milano. Be’, nel regno dell’Emporio si parla di Pianigiani e Recalcati più che di lui e Obradovic, sarà per questo che Banchi sembra sempre più un Conte furente.

4 A PAOLINI e VALLI che denunciando i cali mentali dei giocatori, la perdita di voglia in vista di obiettivi modesti quasi raggiunti da Pesaro, ma stia attenta alla Caserta di fuoco, e dalla Virtus Bologna, si domandano se non sia il caso di essere più duri. È il caso, anche se ai pesaresi si può imputare meno gnagnera di quella bianconera dove la barca si è arenata quando sembrava entrare in acque degne di una grande società tormentata da bilanci modesti.

3 A Romeo SACCHETTI per non aver reagito davanti ai suoi legionari con bandiera bianca. Dire che la fisicità di Milano ha sorpreso la Dinamo sembra un barzelletta se pensiamo alla finale di coppa Italia. Non sarà che il suo avversario ha preparato un po’ meglio una sfida che non diceva niente, solo record effimeri, ma era pur sempre un contatto ravvicinato con i migliori? Dove sta ora l’asticella di Sassari?

2 Alla lega spagnola ACB perché la grafica sulle partite del campionato è così bella, completa che non c’è neppure bisogno di ascoltare telecronisti che non stanno mai zitti. Togli l’audio e vai fino in fondo. Ci fa invidia tutto di quel mondo basket, dai palazzi, all’organizzazione. Perché dobbiamo soffrire così e dare ascolto a dei ciarlatani che litigano persino per prodotti di qualità mediocre come i nostri?

1 Alla PISTOIA fumantina che si è arrabbiata con la Gazzetta per una foto dell’anno scorso, code prima della partita contro Siena, spacciandole per febbre da prevendita per l’esordio di Artest. La passione della città per il basket esiste da tanto tempo, non è certo provincialismo agitarsi per il grande arrivo, anche perché se la squadra conta tanti abbonati, tanto pubblico, si sarà resa conto che il lunedì passato sul campo, per l’interesse generale, non era prprio come gli altri.

0 Al BASKET MESCHINO che in un convegno alla Bocconi, dove Bassani, uomo immagine dell’Eurolega, ha detto cose importanti sul fair play finanziario che si dovrà tenere in futuro nel basket europeo, non ha mandato nessuno. C’era Milano, ovviamente, con Portaluppi, c’era Pianigiani che si ascolta sempre volentieri e poi la città potrebbe diventare sua se alle combinazioni europee andasse male e Messina non trovasse un posto da capo allenatore NBA, c’era Sardara per Sassari, ma lui è un vulcano che studia sempre e cerca di imparare tutto, per il resto vuoto. Siamo fatti così. Basta vedere il caso Artest, come viene manipolato e pastrugnato da mani adatte all’onanismo di casta

Oscar Eleni, in esclusiva per Indiscreto

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