L’Italia del rugby che piace a Lotito

26 Febbraio 2015 di Stefano Olivari

Qualche giorno fa mezza Italia si è improvvisata tifosa del Carpi, dopo le poco simpatiche frasi dette da Lotito a un dirigente dell’Ischia e registrate a sua insaputa (almeno ufficialmente, perché di solito questa triangolazione è usata per far conoscere il proprio pensiero senza rischiare querele). Non abbiamo come al solito capito nulla, decenni a scrivere delle motivazioni di Marchisio, di Ranocchia che parla da leader e dell’intelligenza tattica di Poli, quando invece di quelle tre squadre importava molto poco… Ci è venuta in mente questa vicenda leggendo diverse prese di posizione indignate contro la stampa inglese, rea di aver messo in dubbio l’utilità sportiva (non certo quella commerciale) di avere l’Italia nel Sei Nazioni da ormai 15 anni senza che si intravvedano progressi diversi da qualche partita eroica. Detto che il Sei Nazioni è un circolo chiuso in cui si può invitare chi si vuole e che nel rugby europeo non c’è un Carpi degno di essere ‘promosso’ (La Romania? La Russia? La Georgia? Da non conoscitori della materia, il loro livello ci sembra inferiore a quello italiano), non deve sfuggire la schizofrenia mediatica: da alfieri del diritto sportivo a cultori del modello NBA nel giro di poche pagine. Troviamo comunque becere le ironie sulle sconfitte dell’Italia, come se fosse meglio primeggiare in serie B (cioè la Prima Divisione del Campionato europeo) che prendere mazzate in un contesto di alto livello, anche se questo domani che non arriva mai ha almeno il pregio di smorzare la retorica del terzo tempo e dei valori. Senza contare che il vituperato calcio si pone almeno il problema dell’italianità di Vazquez, mentre il rugby dei valori canta l’inno nazionale a squarciagola ma lo fa cantare per una buona metà della rosa a stranieri.

Share this article