Dean Smith, il mondo in quattro angoli

9 Febbraio 2015 di Oscar Eleni

Oscar Eleni fra le macerie del Palalido cercando la pietra dove si era fermato per allacciarsi una scarpa Dean Smith, il Nelson che combatteva Napoleone Wooden e e poi Rasputin Knight. Re degli allenatori, ma anche democratico antirazzista, combattente vero nel mondo strano del Kansas dove è nato, del North Carolina dove è diventato leggenda. Quando andammo a trovarlo nei suioi uffici a Chapel Hill, era il viaggio con la Nazionale di Gamba (sante benedette scelte per emancipare giocatori, dirigenti e anche giornalisti), scherzava sul fatto che gli avevano dedicato un palazzo meraviglioso, il regno dei Tar Heels, catrame, resine, calcagni che schiacciavano, quando era ancora in vita. Siamo andati fra i fantasmi dietro piazza Stuparich, quelli ululanti dell’impianto chimera che, probabilmente, non sarà pronto neppure per la prossima stagione, perché volevamo sentire l’eco della voce di questo straordinario allenatore che raddoppiava su tutto, la cortesia, la strategia, il senso dell’umorismo, il progetto difesa collegato bene con l’attacco, ricordando che, nella Milano così diversa da quella che oggi pretende di presentare alla ribalta una nuova classe dirigente “costruita” con fatica in terra comunque fertile (il ballismo figlio del bullismo che pensa di farsi notare applaudendo ed irridendo arbitri scadenti), Dean Smith, il profeta che ha vinto oltre 800 partite nella NCAA, torneo conquistato da giocatore con la maglia di Kansas, era stato chiamato nel 1976 per ricreare un mondo che andava perdendosi con la crisi economica. Smith e la sua passione per il gruppo, la vita in comune. Pretendeva che i giocatori in campo ringraziassero sempre il compagno per un buon passaggio.

Giulio Iellini, triestino, giocatore straordinario, senso dell’umorismo, voglia di vivere e creare, sempre, si divertiva con quel santone. Fingeva di non ricordare la raccomandazione, ma arrivato a metà a campo urlava fortissimo il suo grazie, anche se, per la verità era quasi sempre lui a servire palloni con l’anima giusta. Figlio naturale di una grande scuola, l’allievo che Gianfranco Pieri aveva aiutato a crescere nella casa Olimpia, il caro Iello che Rubini considerava, insieme a Brumatti, con l’affetto per i figli mai avuti, uno che il basket ha lasciato andare ai margini, annoiandolo, nauseandolo. Adesso la sua vita è nel porto di Trieste e del basket si ricorda soltanto quando vanno a trovarlo Kenney o Bariviera, magari Zanatta e Meneghin, suoi compagni di filibusta nella seconda carriera di un campione che dopo Milano scelse Varese. Iello, che fu anche nostro compagno di tante tavolate, si divideva volentieri il barattolo di senape nelle trasferte francesi, lo ricorderemo sempre perchè un giorno, inseguì, zoppicando, il medico della nazionale garantito da chi comandava, urlandogli: “stregon, stregon, ti ammazzo”. Con mano poco ferma gli aveva soltanto ustionato il piede con il nitrato d’argento.

Salutare Dean Smith che alle Olimpiadi canadesi, nel nuovo mondo di Montreal, ci aveva tenuto in piedi il giochino della sfida possibile ai suoi americani che dovevano vendicare Monaco 1972. Convincemmo persino Gianni Brera a seguire l’Azzurra di Primo per poi sentirlo ululare e maledirci mentre se ne andava: ”Mai fidarti degli italiani abate Oscarre”. Smith sosteneva che quell’Italia arrivata quinta era di grande talento e lui conosceva appunto Iellini, Bariviera, Meneghin, sapeva che in quella squadra con Recalcati, il povero Vendemini, Della Fiori, Zanatta, Marzorati, Gigione Serafini, Bisson e Bertolotti, questi ultimi due persi di vista e abbandonati un po’ depressi dal basket che amavano, potevano esserci pericoli. Non grandi come quelli che portarono la grande Jugoslavia in finale rubando la vendetta agli americani con il successo nel turno decisivo contro i sovietici, ma una squadra che pensavamo adatta per far soffrire al centro Kupchack e LaGarde, non facendo i conti con Phil Ford, Adrian Dantley di Notre Dame, con lo Scott May che poi il barone Sales portò a Brescia e il professor Guerrieri volle con sé a Torino, anche se quello squadrone vinse di un solo punto contro Portorico del vendicativo Butch Lee (15 su 18 al tiro) che, fatto fuori dalle selezioni per la squadra di Smith, cercò rifugio dove ancora vedevano la televisione in bianco e nero.

Un canto libero per Dean Edward Smith da Emporia, fra Topeka e Wichita, che al nostro basket ha dato tanto come Carnesecca, una inchino per Jasikevicius il lituano leggendario delle quattro euroleghe, il genio sregolato che l’ULEB ha fatto entrare nella sua casa della gloria. Adesso fa l’assistente a Kaunas. Un passo per volta. Da noi abbiamo più fretta e spesso si combinano disastri. Essere stati grandi giocatori non basta. Bisogna aver studiato prima, durante, ma moltissimo dopo. Ne parleremo un’altra volta e non pensando subito ad Inzaghi o, magari a Pozzecco.

Campionato in agitazione perché la resurrezione di Caserta sferzata da diablo Esposito, riequilibrata con acquisti giusti, mette in angoscia Pesaro, che con il nuovo assetto si era convinta di poter sfuggire alla falce della retrocessione, ma non lascia tranquille Capo d’Orlando e Varese. Ci voleva per scuotere l’albero dove Luca Banchi e i suoi ragazzi dell’Emporio si mangeranno tranquillamente tutto fino alla fine, mascherando la muffa europea come la ricerca che si fa per il Gorgonzola doc. Chi invidia il raso e il cachemire Armani spera soltanto che i ragazzi bruciacchiati l’anno scorso dalla coppa Italia esagerino nel voler dimostrare che qui soltanto loro hanno diritto agli elogi, ai pienoni, alle dirette televisive con ascolti decenti. Vedremo. Sulla strada per il ventisettesimo scudetto il vento porta, ogni tanto, qualche ramo da schivare, mai tronchi invalicabili sia chiaro, ma è difficile capire cosa tengono in tasca davvero le sfidanti. Prendete Sassari, la più attrezzata per una botta dolorosa e via, coppa Italia, supercoppa, ha perso uomini al centro e non li ha ancora rimpiazzati. Misteri per nascondere una crisi economica che tormenta anche l’isola del benessere creata dal Sardara in armi per una Lega diversa?

Pagelle dalla cucina del ristorante dove Giovanni Trapattoni ci ha fatto morire d’invidia più del Sani di “Vale tutto” e dell’uranio impoverito facendo da giudice per la migliore cassoeula.

10 A Renzo BARIVIERA il rancoroso perché questa sua idea di creare un’ organizzazione per aiutare vecchi compagni in difficoltà, per indicare una strada diversa ai professionisti di oggi, che ascoltano soltanto la voce del padrone agente, le società non hanno quasi più potere sui loro stipendiati, ci sembra interessante e da sviluppare.

9 A MORETTI ed ESPOSITO che si scontreranno nel prossimo turno perché insieme hanno dato uno scossone all’abero delle mele, proprio come facevano quando andavano in campo a giocare. Due personaggi da studiare, valutare, di sicuro due che hanno studiato e sanno come insegnare. Speriamo li sorregga sempre la fede e la passione, con Esposito è basilare.

8 Al MOZGOV russo che piaceva tanto a D’Antoni, glielo rubarono, insieme a Gallinari, quelli di New York per andare nella brace di Carmelo A., perché non ha mai preteso di essere considerato un campione e non ha mai dato la colpa ai giornali generosi come la Gazza se dopo la cantatina è arrivata la battutina.

7 Al BUVA che qualche sapientone aveva definito giocatore inutile per questa Cantù, considerato, leghisticamente parlando, un usurpatore di spazio che spettava, invece, agli italiani. Siamo contenti che la società abbia resistito all’urto delllo sconforto, adesso, forse, il playoff finale non è più un sogno proibito.

6 Al Piero BUCCHI che dopo aver rotto quattro o cinque dischi, cercando variazioni al tema per motivare giocatori che cambiano umore e rendimento come i calzini, ha finalmente scoperto la musica che ha riportato Brindisi nel regno di sopra dove la povera Pesaro ha medicato le tante ferite dell’Avellino vitucciana.

5 Al PAOLINI saltato sul cavallo pesarese dopo Dell’Agnello per essersi preso tutte le colpe nello schianto del terzo quarto contro la Sidigas. Lo aveva già fatto Pozzecco e guardate un po’ come stanno andando le cose a Varese.

4 Al VESCOVI silente che deve assolutamente dare una mano a Gianmarco Pozzecco. Ingaggiando giocatori veri? Be’, sarebbe un buon inizio, anche se siamo perplessi davanti all’innamoramento per il Jefferson di Mantova definito dal suo presdidente uno che da due mesi sta facendo di tutto per farsi cacciare. Ora nella polveriera varesina serve tutto, meno un tipo che gioca a gettone e guarda alle sue convenienze, sbattendosene dei compagni.

3 Alla LEGA IN DIFESA DEL GIOCATORE ITALIANO perché abbiamo prove di molti finti talenti che si nascondono dietro l’incomprensione dell’allenatore, gente che timbra il cartellino e si allena più in disco, nei ristoranti fusion, che in palestra. Guardavamo Mantova contro Verona nella TV federale affittata da SKY. Molti italiani considerati vittime per essere stati relegati in serie B. Be’, alla fine, il presidente mantovano ha sparato a zero, oltre che su Jefferson, anche sull’intera squadra. Come mai? Voi direte che è colpa dell’allenatore, noi no.

2 Alla LEGA vera, o presunta tale, che deve discutere di massimi sistemi, che riceve messaggi dai nostri Marco Polo in viaggio nel mondo scoprendo che in tantissimi fanno meglio. Ce lo hanno detto quelli andati in Spagna, normale, quelli che stanno in Germania, adesso ci ha raccontato un mondo nuovo Fabrizio Frates reduce dall’esperienza in Cina. Forse più delle telecamere da posizionare sulla propria cravatta bisognerebbe viaggiare e capire, informarsi, studiare davvero. Messaggio da bottiglia nell’Oceano. Molti non sanno neppure la storia di casa nostra.

1 Alla VIRTUS BOLOGNA per il gelido congedo a Bruno Arrigoni, dispensato dal seguire trasferte ed allenamenti. Non ci piacciono le memorie corte, pur comprendendo la nuova politica societaria. Ci si può separare in maniera molto più elegante, riconoscendo la professionalità di un ricercatore di giocatori in miniere a basso costo, perché poi le ruote girano e se ti tocca lo stesso schiaffo del soldato, magari, ne soffri.

0 A TREVISO e FORTITUDO BOLOGNA che eravamo andati a rivisitare nei giardini dei campionati minori, felici di aver ritrovato grande entusiasmo, un bel pubblico, tante idee, perché passata la festa televisiva nella Marca, dove lavora il saggio Pillastrini, il grande abbraccio dei leoni di un tempo a quelli un po’ miseri di oggi affidati al credente Claudio Vandoni, abbiamo dovuto registrare due sconfitte in campionato. Certo sorride la Ravenna dell’Antimo MARTINO per dare una delle poche gioie al Boniciolli, vergognosamente disoccupato con la voglia di lavorare e insegnare che tiene dentro, che segue con affetto la vita professionale del suo ex assistente ai tempi di Roma, ma Treviso e Fortitudo meritano una nota sul registro, sperando che basti: i veneti scavalcati da Ravenna dovrebbero farcela a salire, ma la Effe, che pure si è rinforzata con il leone Carraretto, resta in bilico.

Oscar Eleni, in esclusiva per Indiscreto

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