Burton Albion, il fascino sostenibile del family club

15 Febbraio 2015 di Paolo Sacchi

“Ho sempre tifato per le squadre piccole. Solo le uniche che possono davvero far sognare i tifosi. E comunque senza di loro, le grandi non sarebbero tali”. Così raccontò alla BBC qualche anno fa Elton John, ex proprietario del Watford con lui asceso fino ai vertici della Division One. Il giantkilling, ovvero la piccola che batte la grande, è la quintessenza del fascino del football britannico, La base di quel “modello” invocato dai dirigenti calcistici italiani in realtà spesso per riferirsi – incredibile ma vero – alle celle negli stadi. Anziché dal Chelsea, per sviscerare la vera anima del “modello inglese” si può tranquillamente partire da più in basso: da una specie di Carpi d’oltremanica con il sogno di emulare un giorno l’ascesa del Chievo. O del Watford, giusto per restare in patria. Il Burton Albion è un club di League Two, in pratica la C2 che fu o la Lega Pro 2 appena abolita. Ha sede in una cittadina dello Staffordshire di cinquantamila abitanti, situata 20 miglia a sud di Derby.

I “birrai” – ovvero i “Brewers”, per via dei numerosi birrifici del luogo – sono partiti dalla base delle gerarchie calcistiche e sotto la guida di Nigel Clough, figlio del mitico Brian, hanno iniziato a ottenere risultati interessanti: il cielo con un dito lo toccano nel 2009, in FA Cup, quando costringono al replay il Manchester United. A Old Trafford a seguire i giallo-neri vanno in undicimila, inebriati dal poter veder giocare la loro piccola squadra del cuore per la prima volta su un palcoscenico così importante. Il 5-0 finale (con doppietta di Giuseppe Rossi) non toglie nulla rispetto un’esperienza indimenticabile. Non è finita: alla fine della stessa stagione arriva la storica promozione in quarta divisione, la League Two, ultimo livello della Football League. S’inizia a fare sul serio.

Nel frattempo, nel 2005, aveva visto la luce il Pirelli Stadium, costato 7 milioni di sterline e costruito in meno di due anni. In grado di rispettare i canoni del calcio pro, con una capacità di settemila spettatori al coperto, l’impianto è adatto alle esigenze del club: confortevole, dotato di aree comuni gradevoli, con ottima qualità di servizi per il pubblico in qualsiasi settore e palchi per sponsor, sale riunioni con vista sul campo. “Pirelli”, esatto, con tanto di naming rights. Grazie al nuovo stadio il Burton Albion incrementa le attività sul territorio, sia sociali che di marketing, con ovviamente un’attenzione agli aspetti commerciali per stimolare investimenti e sponsorizzazioni. Nel frattempo i Brewers si stabilizzano nella Football League e iniziano guardare oltre. Dopo aver sfiorato la promozione in League One lo scorso maggio – svanita nella finale playoff di Wembley- quest’anno puntano al grande salto.

Per questo in panchina è chiamato l’olandese Jimmy Floyd Hasselbaink, già bomber in Premier e in Liga. Un obbiettivo che sembra alla portata del club, oggi primo in classifica. Non è una novità nel mondo del calcio che i risultati sul campo enfatizzino i progressi e valorizzano il lavoro dietro le quinte ma in Gran Bretagna forse anche di più, Un esempio? Il giorno della partita. Al Pirelli Stadium l’atmosfera è frizzante, tra pranzi o cene per ospiti (paganti), presentazioni di progetti con tanto di video, rinfresco e relatori (a un’ora dal calcio d’inizio, con sala piena e tutti ad ascoltare), club shop, ristoranti e bar in piena attività, fino al’intrattenimento pre-partita. Accoglienza e servizi (inclusi per quelli per gli addetti ai lavori), dimensioni a parte, non hanno molto da invidiare a un club di Premier.

“La città è in fermento ma dobbiamo restare coi piedi per terra” racconta orgoglioso Ash Willis, ufficio stampa del club, col sogno di un derby contro gli amici-rivali del Derby County. “La speranza è salire di categoria e magari riuscirci davvero quest’anno. I risultati lasciano ben sperare: Hasselbaink è un gran personaggio e può essere l’uomo giusto per la promozione”. Per dirla tutta, non è unicamente sul campo da gioco che il Burton focalizza la propria attenzione. “Migliorare la squadra è importante ma è parte di un sistema. Gli investimenti sono mirati a perfezionare i servizi offerti allo stadio, nelle aree comuni. Siamo e rimaniamo un family club nelle dimensioni quindi è importante avere un riscontro costante e un rapporto continuo con chi ci segue, conoscere le necessità di chi viene alla partita”. La Football League anni fa ha istituito un premio specifico per il migliore family club di ogni divisione: per valutare i servizi erogati alle famiglie utilizzo anche la tecnica del mystery shopper. “È un premio prestigioso e faremo del nostro meglio per vincerlo. Periodicamente organizziamo dei “forum” con i rappresentanti dei tifosi: il nostro presidente Ben Robinson è attivissimo e costantemente impegnato in prima persona. Insieme al manager li incontra, ascolta le loro idee che poi possono trasformarsi in progetti concreti. Ben inteso, non si parla di tattiche di gioco o giocatori da ingaggiare ma d’iniziative, di attività sul territorio, di problematiche di ogni genere come la vendita dei biglietti, la varietà del menù del ristorante o come migliorare l’atmosfera allo stadio la presenza di un suonatore di tamburo o delle mascotte. Il nostro scopo è avere i tifosi soddisfatti per quanto investono in passione e in biglietti. E in definitiva avere tanti bambini presenti alle partite casalinghe: loro sono il futuro del club”. Eccolo, in toto, il “modello inglese”.

Da Burton, in esclusiva per Indiscreto, Paolo Sacchi

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