American Sniper, l’ispirazione di Chris Kyle

18 Febbraio 2015 di Stefano Olivari

Da vecchio attore di Sergio Leone, maestro di rielaborazione e a sua volta stra-rielaborato, Clint Eastwood conosce la materia della citazione. E il suo American Sniper, grandissimo successo in mezzo mondo (forse non nei multisala del Medio Oriente) e oggetto di dibattiti profondi in America (anche legandosi all’attualità, visto che è appena iniziato il processo all’assassino del protagonista, Chris Kyle), si presta al discorso, visto che come spirito, ideologia e anche alcune scene fa pensare ad un misto fra il maschilissimo ma non maschilista The Hurt Locker di Kathtryn Bigelow e all’angosciante Black Hawk Down di Ridley Scott, che rappresenta come mai al cinema il concetto di lesione. Nel suo ultimo film il quasi 85enne Eastwood, prendendo spunto da una storia vera, butta dentro tutto il suo bagaglio ideologico da repubblicano libertario, ben lontano dall’ottusità Bible Belt: lo spirito della frontiera (Kyle ha un passato come campione di rodeo ed è appassionato di caccia), la fascinazione e l’orrore per la guerra, un patriottismo degno di miglior causa ma sempre meglio di nessun patriottismo, un fatalismo che permette di prendere tutto abbastanza bene e al tempo stesso abbastanza male. Nel film e nella realtà, che differiscono in qualche particolare (tipo l’esistenza e soprattutto l’uccisione di Mustafa, il cecchino per così dire rivale), Kyle è un texano che decide di dare una svolta alla sua vita arruolandosi nei Navy Seals già da grandicello (30 anni nel film, 25 nella realtà), lì la sua mira viene subito notata e così diventa il responsabile della copertura dei compagni in ogni missione. La situazione gli sfugge presto di mano e lui da cecchino infallibile si autoelegge difensore di tutti i militari americani in Iraq, con danni permanenti nella sua psiche che quando torna a casa, fra un turno e l’altro, non riesce a gestire né da solo né in relazione alla famiglia. A nostro modesto avviso la situazione sfugge di mano anche a Eastwood, che dà alla rappresentazione dell’eroe americano effetti caricaturali forse involontari, con sconfinamento nel fumetto (Kyle, con il volto inespressivo di Bradley Cooper, che telefona alla moglie, interpretata da Sienna Miller, durante un combattimento non si può guardare, così come quando si improvvisa detective), mentre la parte di introspezione non prende mai quota. Il film è però molto spettacolare e deve gran parte del suo successo all’essere stato etichettato come film da vedere contro la cultura dominante dello star system hollywoodiano. Benzina sia per para-fascisti che per anime belle, figure che con pesi diversi convivono in tutti noi.

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